logo GamerClick.it

10.0/10
-

Le visioni futuristiche di Osamu Tezuka rivisitate dai creatori di "Galaxy Express 999" e "Akira".
Il 26 maggio del 2001 esce nelle sale giapponesi "Metropolis", il film di animazione che rilancia la poetica di Osamu Tezuka in chiave cyberpunk combinando l’estetica rétro dell’animazione tradizionale con le più moderne tecniche di computer grafica. L’anime è basato sul manga del 1949, a sua volta ispirato all'omonimo capolavoro espressionista di Fritz Lang del 1927. Nel 2001 il grande mangaka è già scomparso dal 1989 e la Madhouse ingaggia Rintaro ("La spada dei Kamui", "Galaxy Express 999"), uno dei suoi primi e storici collaboratori, per lavorare alla versione per il grande schermo, mentre per scrivere il copione viene scelto il pluripremiato autore Katsuhiro Otomo ("Akira", "Memories", "Steamboy").

In un lontano futuro la città iper-tecnologica di Metropolis è divisa in due livelli, la zona dei sotterranei che accoglie una società di cittadini di serie B e robot schiavizzati, e la zona superficiale, dove vivono i cittadini di prima classe. Tra loro, il potente Duca Red mira a strappare il controllo della città ai funzionari eletti, e per conseguire il suo scopo ha creato una grande torre chiamata Ziggurat (dal nome del colossale tempio-palazzo dell'antica Babilonia). L'edificio simbolo del progresso tecnologico nasconde in realtà un trono destinato a Tima, il sofisticato androide creato dal rinnegato Dr. Laughton a immagine e somiglianza della defunta figlia del Duca Red. Il ruolo di Tima è quello di fondere il potere dei computer con l'immaginazione del cervello umano in una forza in grado di controllare l‘intera Metropolis con la minaccia di una micidiale arma elettromagnetica da giorno del giudizio. Il malvagio piano del gerarca viene però sabotato dal suo stesso figlio adottivo Rock, capo del partito fascistoide Marduk (dal nome dell’antica divinità mesopotamica), il quale prova un profondo disprezzo per i robot, è geloso di Tima ed è pronto a distruggerla in nome della presunta superiorità umana sulle macchine. L’incontro casuale tra Tima e Kenichi, il nipote del detective Shunsaku Ban recatosi a Metropolis proprio sulle tracce del Dr. Laughton, innescherà nell’androide un errore di calcolo che la doterà di sentimenti con conseguenze inaspettate.

Rintaro e Otomo impastano abilmente l’impianto del manga di Tezuka (specificamente per bambini) con la complessità ideologica e la visionarietà della pellicola di Fritz Lang, per mettere in scena un’inquietante distopia retrofuturistica, un film sorprendentemente profondo, ponderato e in linea con i temi prediletti del dio del manga: il superuomo, l'uso distorto della scienza, il totalitarismo, l’eterno conflitto tra natura e cultura, esplicitato nello scontro sociale tra umani e robot e già sviscerato da Tezuka in opere come "Astro Boy" e "Il libro della nostalgia" del ciclo "La Fenice", entrambi imperniati sulle leggi asimoviane della robotica e sulla fatidica domanda: una macchina può imparare ad amare? Il nodo del dramma è infatti la metamorfosi biomeccanica, la contaminazione tra umano e non umano che minaccia il sopravvento dell’inorganico sugli esseri viventi, idea fissa di Otomo già dai tempi di "Akira" e ripresa da altri due illustri predecessori come "Ghost in the Shell" di Mamoru Oshii e "Tetsuo - The Iron Man" di Shinya Tsukamoto.

"Sono un essere umano o un robot?", si chiede Tima nei dialoghi del film, quando comincia a prendere coscienza della sua individualità e a provare sentimenti simili a quelli umani, con quell’innocenza di chi guarda il mondo per la prima volta. Ma quando il Duca Red le rivelerà la sua vera essenza di intelligenza artificiale, si trasformerà in un’implacabile angelo dell’apocalisse alla guida della rivolta dei robot. D’altronde nel film gli umani non fanno una bella figura e rivelano il loro volto violento con il dispotismo del Duca Red, gli squadroni fascisti di Rock e i rivoluzionari capitanati da Atlas, che a loro volta manifestano altrettanta crudeltà. Forse l'unico eroe positivo è proprio Pero, l’automa detective denigrato dalla polizia locale che affianca Shunsaku Ban nelle sue indagini e che rivela doti di ironia, buon senso e grande sensibilità, oltre che di tragica dignità, quando si sacrifica sotto i colpi dei rivoluzionari per puro spirito di abnegazione.

La tentacolare città di Metropolis non è solo uno scenario mozzafiato in cui si muovono i protagonisti, ma si rivela sempre più protagonista nel corso del racconto, diventando uno di quei luoghi cinematografici in grado di colonizzare la memoria dello spettatore, qualcosa a metà strada tra la megalopoli di "Blade Runner" e la città metamorfica di "Dark City", il tutto animato dal traffico volante de "Il quinto elemento". Il contrasto tra le due zone della città è sottolineato dalla rapida panoramica a volo d’uccello che parte dall’altezza vertiginosa dei grattacieli, collegati tra loro da gallerie pensili e archi rampanti, per poi piombare giù attraverso i meandri claustrofobici e putrescenti dei sotterranei. È qui però che la città mostra ai protagonisti la sua natura ambivalente, da un lato ostile e pericolosa e dall’altro protettiva e accogliente come un grembo materno. Il cuore di tenebra della città è anche il territorio dei robot spazzini in un ambientazione industriale che rimanda al folle cantiere automatizzato di "Interrompete i lavori!", episodio finale di "Manie-Manie: I racconti del labirinto".

I personaggi, ripresi di sana pianta dallo star system tezukiano, hanno tratti cartooneschi che rimandano ai primordi del cinema di animazione ma uniti alle più recenti innovazioni in fatto di computer grafica, e soprattutto ben caratterizzati e tridimensionali, tanto che anche il ruolo più microscopico ci appare intriso di vita. Fra gli stereotipi del genere non poteva mancare lo scienziato pazzo, il Dr. Laughton, forse un omaggio a Charles Laughton, l’interprete del Dr. Moreau ne "L’isola delle anime perdute" del 1932. Fra gli antagonisti il Duca Red è l'uomo più ricco e influente di "Metropolis", un villain maestro del complotto e con manie di conquista del mondo, di nascosto sovvenziona il partito Marduk che si distingue per azioni particolarmente violente contro i robot. Il suo giovane figliastro Rock è un personaggio senza scrupoli, frustrato da un affetto filiale non corrisposto, si dimostra spietato e non esita a uccidere a sangue freddo.

Kenichi e Tima seguono la tradizione disneyana degli eroi dai tratti infantili (enormi occhi espressivi e aria innocente) in perenne stato di minaccia, con l’ingenua eroina che dietro la superficie di fragile e angelica ragazzina bionda nasconde un potenziale letale e distruttivo, mentre l’investigatore Shunsaku Ban nella visione tezukiana incarna da sempre il buon senso dell’uomo comune giapponese. I personaggi di contorno hanno volti e proporzioni più realistiche, tra questi spicca Atlas, il giovane rivoluzionario che ha perso il lavoro a causa dei robot e che vive nei livelli sotterranei della città, infine il simpatico robot detective Pero della polizia di Metropolis, che omaggia la tradizione noir con tanto di trench e cappello in stile Borsalino.

"Metropolis" è scandito da un ritmo incalzante per tutta la sua durata e le scene d'azione si susseguono senza tregua. La realizzazione tecnica è imponente e portata alle estreme conseguenze virtuosistiche. Il film ha una tale densità visiva che una dozzina di fotogrammi (equivalenti a coprire qualche secondo sullo schermo) basterebbero ad allestire una galleria d’arte, e spesso si è tentati di mettere in pausa il film per poter meglio apprezzare i dettagli. Sin dalle prime inquadrature ci rendiamo conto di essere davanti a qualcosa di sorprendente, e dopo 107 minuti di scenari urbani minuziosamente dettagliati e straordinariamente vari, resi in una tavolozza di colori sgargianti ed effetti di luce che farebbero impallidire un direttore della fotografia live-action, il risultato è stimolante e al contempo estenuante.

Rintaro crea una serie di quadri memorabili. Si possono ammirare i meravigliosi disegni geometrici in stile Art Déco che addobbano gli interni degli edifici lussuosi, la flebile luce del sole che illumina i marciapiedi, la pallida fluorescenza che si diffonde nella notte, la candida neve che ci fa provare un brivido palpabile, la bizzarra ma sofisticata ambientazione dell'Hotel Coconut, che sembra riprodurre le raffinate carrozze ferroviarie in stile Orient Express.

Le animazioni sono fluide e cinematiche con gli adrenalinici movimenti di camera in 3D. C'è un sacco di CGI ma non è stridente, al contrario esalta al massimo il livello di dettaglio e la sbalorditiva quantità di lavoro degli animatori. Particolarmente curate sono le sequenze panoramiche che descrivono i moti popolari e le grandi agitazioni di massa con un incredibile numero di personaggi animati contemporaneamente nella stessa inquadratura, oltre al gran finale apocalittico in puro stile Otomo con un'impressionante scena di distruzione totale.

A completare l'opera, le sontuose musiche originali rappresentano un altro elemento chiave di connubio tra passato e futuro che dona al racconto una peculiare atmosfera ibrida dal sapore unico e originale. Toshiyuki Honda è un noto jazzista che in questo caso riprende alcuni brani in stile dixieland direttamente dalla New Orleans degli anni ’20. Dell’esecuzione se ne occupa una band, i Metropolitan Rhythm Kings, che (secondo uno spot giapponese) avrebbe incluso tra le sue fila lo stesso Rintaro al clarinetto basso. All’interno della colonna sonora trovano spazio standard del genere come "St. James Infirmary" di Joe Primrose, ma soprattutto la scena clou è nobilitata dalla voce di Ray Charles che canta "I Can't Stop Loving You" con un effetto spaesante che assomiglia moltissimo a "We’ll Meet Again" sul finale de "Il Dottor Stranamore" nella giustapposizione tra le immagini catastrofiche e il tono rassicurante della melodia.

Definito da James Cameron come "la nuova pietra miliare degli anime", "Metropolis" è un film con più livelli di lettura, oltre la superficie sfavillante della città del futuro offre un'avventura sorprendentemente stimolante che esamina una serie di tematiche complesse. Non è solo un tributo al dio del manga ma una vera e propria riscrittura, e l’opera di Tezuka non è mai stata così accessibile per le nuove generazioni che ancora non conoscono la portata della sua eredità. In conclusione, possiamo senz’altro definire "Metropolis" un film ambizioso, che si propone come punta di diamante dell'animazione giapponese, gettando un ponte non solo tra passato e futuro ma anche tra Oriente e Occidente della cinematografia d'autore.