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La storia apparentemente narra di Mari che si accorge che non ha fatto nulla di quanto si era proposta prima di iniziare le superiori, nemmeno saltare un giorno di scuola. Il motivo è che ha sempre avuto paura di fallire, o che le cose non andassero come voleva. Quindi per paura di rimanerci male, non ha mai iniziato nulla. Finché non incrocia -quasi letteralmente- Shirase. Ragazza la cui madre è morta tre anni prima in una spedizione in Antartide e per cui vuole, a tutti i costi, raggiungere quel luogo lontano e inospitale. A loro si aggiungeranno Hinata (ragazza che ha lasciato al scuola) e Yuzuki ragazzina attrice che sarà il modo per le altre di poter raggiungere l’Antartide.

Trama banale? Sì. Se fosse la vera trama. La vera trama è il viaggio attraverso l’amicizia, non solo l’amicizia che nasce fra le quattro ragazze, ma anche quelle false e ipocrite che si sono lasciate dietro e che, chi in più, chi in meno, hanno lasciato il segno. E’ un viaggio attraverso la loro presa di coscienza della amara realtà fatta, sì, di sogni, ma anche di gente meschina ed egoista. Ma così come in Antartide si sopravvive solo lavorando in squadra, così le loro ferite possono guarire solo grazie lavorando insieme. Hanno pianto insieme, hanno litigato insieme e insieme hanno mandato a quel paese chi non credeva in loro, chi le ha sfruttate e chi non ha mai creduto realmente in loro.

I personaggi sono ben fatti, con le loro forze, debolezze e vizi (avrei preferito una voce meno fastidiosa per Hinata, ma va beh…). Unica forzatura nella trama, o meglio, l’unico deus ex machina è lo scopo di Yuzuki che permette a tutte di fare il viaggio. Onestamente è l’unica cosa un po’ stonata. Tutto il resto non è per nulla irrealistico o assurdo: normali comportamenti di sedicenni allo sbaraglio, normali comportamenti di persone adulte che lavorano in ambito scientifico (giudizio dato con cognizione di causa). Sopratutto si assiste a una crescita di tutte e quattro le ragazze, ma non solo di loro, anche dei personaggi comprimari, cosa assai rara in ogni ambito.

L’anime è piacevole anche per le emozioni che suscita: rabbia (raramente ho pensato, guardando un personaggio, “che stron@!”), amarezza, gioia, tristezza; tutte emozioni costruite passo dopo passo, che crescono con naturalezza e sfociano, a volte, in qualche lacrima.

Si ride assieme alle protagoniste, si piange assieme a loro e ci si emoziona assieme a loro innanzi agli spettacoli che la natura sa offrire.