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Nel titolo c’è già tutto.
“My”, mia, possessione, appartenenza, affetto.
“Broken”, rotta, spezzata, distrutta, violata.
“Mariko”, la sfortunata protagonista.
Per Shiino Mariko era sua, la sua migliore amica, una vita di affetto, devozione, un legame forte, indistruttibile. E quando viene a sapere del suo suicidio, in maniera banale, dal notiziario durante una pausa pranzo, il mondo le crolla addosso.
Ma com’è possibile? Com’è possibile che la sua amicizia non l’abbia salvata? Com’è possibile che abbia deciso di andarsene così, e di lasciarla nel suo vuoto, a farsi mille domande? Perché?
Dei flash back, che ci mostrano il passato di Mariko, segnato da abusi e violenze da parte del padre, si alternano al presente disperato di Shiino, la quale intraprende una folle decisione per dire per sempre addio, in maniera dignitosa, alla sua amica.
“My broken Mariko” è un capolavoro di parola e immagine, un pugno nello stomaco che ci lascia inermi e svuotati. E che non richiede altro se non l’essenzialità del tratto e dei dialoghi che lo accompagna, per urlare al mondo lo schifo e la vergogna della violenza