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10.0/10
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Nel 1946, la finlandese Tove Jansson comincia la sua serie di libri per ragazzi dedicata ai Mumin, una sorta di ippopotami antropomorfi bianchi che vivono lontani dalla civiltà. Papà Mumin, mamma Mumin, il piccolo Mumin, sospesi tra fiaba e poesia, incontreranno tanti personaggi ciascuno portatore di una sua propria filosofia.
Tra gli altri possiamo ricordare Grugnina, l'eterna fidanzata di Mumin, che finge di non essere coraggiosa per non farlo sentire sminuito; Too-Ticki il marinaio («Non importa chi costruisce, ma che qualcuno lo faccia»); il pescatore, di una calma imperturbabile, che ci ricorda le filosofie orientali; il fantasma depresso perché non riesce a spaventare...

Non sembrano esserci umani veri e propri.
L'unico che ho visto finora è il guardiano del faro, adirato perché i Mumin non capiscono la loro funzione di custodi né comprendono che le modifiche da loro apportate possono costare la vita a qualcuno. L'unico essere umano, dunque, interviene per cacciarli via, facendoli tornare ai loro luoghi naturali: gli spazi aperti, i prati, i campi, la spiaggia. Tuttavia i Mumin hanno una casa, molto simile alla nostra, il loro ménage familiare con tanto di parenti eccentrici ricorda parecchio le idiosincrasie e le nevrosi della civiltà moderna, da cui non sembrano essere immuni.

Il fumetto ha avuto e ha un successo mondiale. È stato trasposto in almeno tre serie d'animazione giapponese, tuttavia risulta essere tra le storie più difficili da rendere sul piccolo schermo, vuoi per il peculiare microcosmo che si forma, vuoi per l'uso che Tove Jansson fa delle vignette. Si tratta di strisce a tre/quattro vignette come usava una volta, leggibili anche da sole, ma che, raccolte in volume, formano una storia di ampio respiro.
Esempi simili sono "Krazy Kat" (1913) e "Sazae San" (1946).
Tove Jansson non divide sempre le vignette con una semplice linea verticale, ogni volta che può inserisce un elemento della scena di forma e lunghezza sufficienti a "chiudere" lo spazio della vignetta (una scopa, un amo da pesca col filo attaccato, ecc.). Il che denota un uso consapevole del fumetto che purtroppo si è perso, difficilmente riproducibile in una serie TV.

La difficoltà di una visione completa dell'opera rende provvisorio il giudizio.
La serie del 1969, che si può considerare un meisaku ante-litteram, credo sia la migliore, ma è diventata rarissima.