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Premessa: “Doremì” è il mio anime preferito, quindi ciò che andrò a dire in questa recensione sarà profondamente condizionato da questo.

“Majo Minarai wo Sagashite” è un film che, già dalla sinossi, ha generato non poche discussioni in chi attendeva un qualcosa che celebrasse a dovere i vent’anni di quest’opera. Generalmente le operazioni a stampo nostalgico prevedono un sequel, un remake, un reboot, o comunque un prodotto che inserisca al proprio interno i veri e propri personaggi originali, anche se del tutto ricollocati da un punto di vista spazio-temporale. Non c’è nulla di male nell’aspettarsi questo, ma perché non sostenere chi invece opta per una scelta meno scontata e più originale?

È il caso di questo film che si dedica totalmente ai fan e al fenomeno di “Ojamajo Doremì”, senza però risultare un documentario, genere cinematografico che, se fosse stato scelto, avrebbe avuto enormi limiti narrativi e stilistici. Comicità, musiche, profondità dei dialoghi e riflessioni personali dei personaggi rimangono invece le medesime che i fan di “Doremì” hanno avuto modo di amare a suo tempo. E questo nonostante le protagoniste siano dei personaggi inediti: Sora, Reika e Mire sono tre ragazze che differiscono per età e circostanze, ma unite tutte dall’amore che sin da bambine hanno provato per Doremì e le altre apprendiste streghe.

Tra di loro c’è chi ha visto la serie in diretta vent’anni prima, chi l’ha recuperata in streaming, chi invece ha iniziato a seguirla solo alle battute finali guardando il resto in home-video. Piccoli dettagli, elementi che forse sembrano marginali, ma che facilitano lo spettatore nell’identificarsi con il proprio bagaglio di ricordi in una delle tre ragazze. Inutile dire che ognuna di loro è anche legata a un personaggio in particolare della storia, sia per condizioni personali, che per predisposizione caratteriale e modo di ragionare.

Sora, Reika e Mire durante lo sviluppo dell’intero film non faranno che tornare con la testa ai tempi in cui vedevano “Doremì” da bambine, rimarcando a più riprese ciò che devono a questa storia in termini di valori, insegnamenti, relazioni umane e ispirazioni per la risoluzione dei problemi.

Le tre si conoscono per caso grazie a “Doremì”, dato che tutte si lasciano attrarre da un edificio che ricorda in tutto e per tutto il negozio di magia Maho. Decidono quindi di intraprendere un viaggio per il Giappone in cui visitare i luoghi a cui “Doremì” si è ispirato. Durante quest’esperienza capiranno che quest’opera le ha profondamente formate in infanzia e condizionate fino all’età adulta; questo non potrà far altro che creare da subito un legame viscerale tra loro, che però sarà comunque messo alla prova con dinamiche che ci consentiranno anche di esplorare le personalità di ognuna e i loro lati più cupi.

Questo film trasuda amore e gratitudine in ogni fotogramma, e solo lo staff originale poteva essere in grado di ricreare questo tipo di emozioni e atmosfere.

Spesso il film si focalizza su un concetto che era anche il perno della storia originale, ossia la relazione tra magia e mondo reale. Ha senso credere nella magia da adulti? Da bambini pensavamo che grazie alla magia tutto fosse possibile, che qualsiasi sogno potesse essere realizzato. Poi da grandi però arrivano le preoccupazioni, la cruda realtà, e mettiamo i nostri sogni in un cassetto. Smettiamo di guardare il mondo con gli occhi di un bambino e cessiamo di credere nella magia. Ma l’errore più grande è dimenticare che la magia non è un qualcosa fatto di polvere di fata, spille magiche, mondi segreti ed esseri incantati. La vera magia è un qualcosa che abbiamo già dentro dalla nascita, è il nostro talento naturale, la nostra unicità e la capacità di credere sempre in noi stessi. È il guardare il futuro in modo positivo, sapendo di poter contare sempre su di noi e sulle persone che scegliamo di avere accanto. A quel punto tutto sarà possibile.