logo GamerClick.it

-

Uno pensa Shinchiro Watanabe e subito viene in mente Cowboy Bebop, da un suo anime ci si aspetta per forza un capolavoro. Samurai Champloo non è di certo un capolavoro ma senza dubbio una serie piacevole che si lascia guardare, anche con qualche emozione, la visione continua spedita fino alla fine ma, dopo la fine, non ti rimane quel senso di soddisfazione, quel qualcosa che ti fa gridare al miracolo.
La commistione di generi e gli episodi autoconclusivi sono metodi ben rodati da Watanabe nella sua opera principale Cowboy Bebop e vengono riproposti in maniera fin troppo speculare in Samurai Champloo. Le tematiche gira e rigira sono sempre quelle: innanzitutto la commistione di generi che miscela una storia che si svolge nel Giappone feudale e ha come protagonisti i samurai con elementi moderni rap street-style con tanto di slang stile rapper del ghetto. Poi i protagonisti, personaggi apparentemente incompatibili l'uno con l'altro che hanno una cosa in comune: sono dei lupi solitari che in qualche modo si sentono incompleti; per qualche casualità si troveranno ad affrontare un viaggio insieme alla ricerca ognuno della sua completezza per accorgersi alla fine che la completezza che cercavano la avevano già trovata nell'atto stesso di viaggiare e che quelle persone con cui quasi per caso si era iniziato il viaggio erano diventate una vera e propria famiglia, per quanto strana e fuori dagli schemi.
Ora, questo è un concetto molto bello, viene espresso molto bene in entrambe le opere di Watanabe, solo che in Samurai Champloo non è più originale e rischia di diventare banale.