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8.5/10
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“...che la guerra è bella, anche se fa male” F. De Gregori

Se la storia del Medioevo anglosassone ha sempre esercitato un grande fascino nell’immaginario collettivo, e questo lo si vede nella grande produzione di epopee e saghe cavalleresche che si sono susseguite nel nostro continente e non solo, nel corso dei secoli, le cronache dei Vichinghi hanno sicuramente fatto meno presa sul pubblico, forse perché ciò che è arrivato a noi di loro è l’immagine di meri e feroci razziatori privi di scrupoli e di onore, o forse perché considerati troppo lontani, dalle nostre latitudini, per essere degni di ricevere le dovute attenzioni.

Intanto bisogna dire che con l’appellativo “vichingo” non si fa riferimento a un intero popolo, ma solo a dei pirati appartenenti a genti di origine scandinava. Tali comunità venivano chiamate dagli abitanti delle isole britanniche “Norreni” o “Normanni” (“provenienti dal Nord”), e molti di essi vivevano di allevamento e commercio; inoltre, i Normanni, sono stati tutt’altro che marginali nella storia d’Europa, visto che furono determinanti per la creazione di quello che poi diverrà il Regno Unito e per nulla a noi lontani, dato che i loro discendenti colonizzarono l’intero Sud Italia.

Non so come sia venuto in mente a un autore giapponese di raccontare le gesta di questi popoli, di sicuro c’è stato dietro un grande lavoro storiografico, dato che è riuscito a incastonare nella sua avventura avvenimenti realmente accaduti e personaggi davvero esistiti (chissà, magari ha usato un ottimo consulente alla “Barbero”), e, per quanto mi riguarda, il risultato finale è stato più che soddisfacente. Per i motivi già descritti in precedenza, a un livello prettamente commerciale, l’autore e il suo editore si sono anche presi un gran bel rischio nel narrare un frammento dell’epopea di tali popolazioni: i “Vichinghi” difficilmente riescono a produrre quell’empatia e immedesimazione nel pubblico, tali da indurre la gente ad appassionarsi alle loro vicende, anzi è più probabile che generino antipatia e repulsione, e infatti, nelle varie produzioni letterarie e poi cinematografiche che si sono succedute nei secoli, incarnano quasi sempre il ruolo di banali antagonisti dell’eroe di turno. In pratica, il solo nome evoca già uno stereotipo tutt’altro che positivo, tale da tenere alla larga gran parte del potenziale pubblico.

Questo anime, ambientato a cavallo del primo millennio dopo Cristo, ci fa rivedere la storia che in qualche modo abbiamo studiato (ah ah) a scuola, da un punto di vista invertito, dove il mangaka, portandoci in un villaggio edificato sulle brulle coste della fredda Islanda, ci permette conoscere una piccola e pacifica comunità norrena che cerca di andare avanti con fatica, in una terra dura e ostile. Il clima che si può percepire all’interno della comunità è fraterno e giovale, ed è in questo luogo che si “staglia”, non solo fisicamente, ma anche moralmente, Thors, uomo tanto forte quanto saggio, considerato forse senza la propria volontà capo del villaggio. Ben presto si capisce che fuori dal questo raccolto “rifugio” c’è un mondo crudo e ingiusto, dove sono molto più pericolose le persone che lo abitano e le regole che lo governano, piuttosto che le tormente di neve e le tempeste. Questo mondo “barbarico”, inevitabilmente, busserà alla porta dei protagonisti, stravolgendo le loro vite e dando il via a “Vinland Saga”.

La prima percezione che si ha è che la narrazione vada subito fuori tema: non ci vuole molto per capire cosa sia e dove si trovi “Vinland” (ed è piuttosto lontano dai luoghi trattati), mentre il focus di gran parte delle prime puntate è concentrato sulle vicissitudini del protagonista, e tutto questo rende il racconto piuttosto distante dalla definizione di “Saga”, ma ogni cosa ben presto acquisterà un senso, dato che, verso la metà della serie, il protagonista viene accantonato gradualmente, mentre cominciano ad acquistare sempre più peso quelli che sono stati dei veri personaggi storici, con i conseguenti eventi a loro connessi.

Non mi dilungherò oltre sulla trama, che comunque è sviluppata con abile maestria, ma invece vorrei soffermarmi su una serie di elementi che mi hanno fatto apprezzare questo autore, dato che, tra battaglie, razzie, duelli, cospirazioni e assalti, dimostra di avere una grande capacità nel saper scrutare piuttosto a fondo nella natura umana. Quasi furtivamente, Makoto Yukimura sbatte in faccia allo spettatore quello che è il vero elefante nella stanza del comportamento nella specie “Homo Sapiens”: non solo la propensione, ma addirittura la fascinazione verso il conflitto.

Sin dalle prime battute si vede il forte contrasto tra Thors, che ha vissuto la guerra e fa di tutto per rifuggirla, e i giovani maschi suoi conterranei (compreso suo figlio Thorfinn), che invece l’agognano, la bramano, la sognano, vedendone in essa solo il lato eroico ed epico, sopravvalutando ingenuamente le proprie capacità e sottovalutandone invece i pericoli. Non voglio generalizzare, perché sicuramente le cose sono più complesse di quello che sto per descrivere, tuttavia ciò mi ha riportato alla mente le immagini iniziali delle due Guerre Mondiali, dove, allo stesso modo, persone (soprattutto maschi) di opposte fazioni accoglievano con entusiasmo l’entrata nel conflitto del proprio Paese e orgogliosamente salivano su treni, navi e poi aerei, verso un viaggio che per molti di loro fu di sola andata, perché per ogni “prima” fatto di concitazione, entusiasmo, voglia di avventura e sete di giustizia, c’è un “dopo” fatto di morti, di reduci feriti nel corpo e nell’animo, di distruzione, di macerie e di nuovi rancori, ma questo “dopo” in qualche modo viene percepito come “strano”, “anomalo”, come un qualcosa che è “andato storto” e non come frutto di accadimenti connaturati nella natura stessa del conflitto e alimentati da un’immagine falsamente positiva della guerra, impressa da qualche parte nel DNA umano. Quello che traspare in quest’opera è un sano, sanissimo “fatalismo”, che solo apparentemente potrebbe essere scambiato per cinismo.

L’autore Makoto Yukimura si limita a prendere atto di questa attitudine umana alla guerra, non la cavalca come fa l’intero genere eroico della letteratura (poi adottato a piè pari nei film, nei fumetti e nelle animazioni), non la osteggia con una melassa buonista fatta di slogan ideali “Peace and Love”, “Fate l’amore, non fate la guerra”, ma delinea davanti al ragazzo un duro cammino di disillusione e nuova consapevolezza fatto di sangue, perdita, orrori (subiti e compiuti), dolore e sconfitte. È come se il giovane protagonista (con i suoi coetanei) non abbia nessuna possibilità di comprendere certe cose “per sentito dire”, ma che debba per forza viverle tutte sulla sua pelle, per poter giungere infine alla stessa comprensione di chi lo ha preceduto.

In questa orda di eventi caotici, traspare anche una costante che accomuna tutti i contendenti: lo scopo della propria esistenza. Per quanto possa essere illusoria, gretta o sconsiderata, la ragione per cui vivere sembra essere l’unica cosa che permette, a ognuno dei personaggi, di andare avanti; non a caso, colui che si dimostra più fragile di tutti è anche quello che non riesce ad averla. Riguardo questo argomento lascio un giudizio in sospeso, sicuramente sarà sviluppato nelle prossime stagioni, mentre volevo elencare alcune cose che invece non mi hanno convito appieno: ci sono delle “enfatizzazioni” fisiche di alcuni personaggi i quali o sono troppo forti o troppo resistenti o troppo alti, tuttavia queste piccole licenze, in un’animazione, che fa di tutto per essere “fantasy free”, possono anche essere comprensibili; ci sono poi alcune scene umoristiche totalmente fuori contesto, che invece di risultare piacevoli sono disturbanti; uno dei protagonisti stravolgerà in pochi istanti la sua personalità - è vero che stiamo parlando di un cristiano, e questo repentino cambiamento avviene dopo una caduta da cavallo (era quello che cercava lo scopo), però si passa troppo velocemente da un eccesso a un altro.
C’è poi un pirata che viene presentato come un “banale” capitano vichingo “accatastabile”, senza tante remore, nella sezione “cattivi”, ma che gradualmente acquista spessore, fino a diventare l’individuo più complesso dell’anime. È tra i personaggi più definiti con i quali mi sia imbattuto, dato che, da subito, mette in mostra le sue abilità di guerriero, ma gradualmente inizia a manifestare delle capacità politiche degne del Machiavelli. Lo considero sicuramente il personaggio più interessante dell’intera produzione, tuttavia ciò rappresenta una caduta di realismo, perché non penso che sia esistito nella storia dell’umanità un individuo tanto abile a combattere, quanto bravo a “tramare” dietro le quinte, e, se c’è stato, non lo conosco (magari chiederò a Barbero).

Il mix direzione artistica - animazioni - espressioni è eccellete: il regista riesce a far trasparire sui volti dei vari protagonisti, grazie anche a un grande supporto tecnico, le emozioni che essi vivono, rendendo ancora più intense le scene già di per sé drammatiche. Complice forse lo studio di produzione WIT, che è lo stesso de “L’attacco dei giganti”, un’ambientazione vagamente familiare a tale anime, nonché la stessa “de-romanticizzazione” della guerra, “Vinland Saga” sembra nascere da una sua costola, e più di una volta il piccolo Thorfinn mi ha ricordato il giovane Eren Jaeger. Il comparto grafico è ottimo, la CGI si integra piuttosto bene con le scene disegnate e smussa alcuni difetti, come gli inseguimenti sui cavalli, che erano molto evidenti ai tempi del famoso “Attacco”. Le due opening e le due ending le considero senza lode e senza infamia, da questo punto di vista si poteva fare molto di più.

Il mio voto finale non raggiunge il massimo, non tanto per le imperfezioni di cui sopra, che vengono eclissate dai grandi meriti portati in scena, ma piuttosto dal fatto che il manga, da cui questo anime è tratto, ancora non è giunto a conclusione, e l’autore stesso ha ammesso che la costanza non è il suo forte, quindi il rischio che vada tutto a ramengo, come purtroppo è accaduto a tante altre saghe che lo hanno preceduto, è sempre dietro l’angolo. Al momento, questa prima stagione è da non perdere!