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«Il castello invisibile» (originalmente “Kagami no Kojou”) è un manga, ideato da Mizuki Tsujimura e disegnato da Tomo Taketomi, tratto dal romanzo omonimo disponibile anche in Italia. Racconta una storia semplice ed elegante, raccontata con garbo e dall’incantevole atmosfera.

“Mamma mi fa male la pancia.”

La tredicenne Kokoro Anzai improvvisamente ha smesso di frequentare la scuola. Sua madre non ne comprende il motivo, non riesce a trovare il giusto dialogo per quanto si impegni con la figlia ritrovandosi costretta a rivolgersi a un centro di sostegno. Nessuno indaga, nessuno cerca realmente di comprendere il motivo dell'agire della ragazzina. Il dolore aumenta, la paura aumenta.
Un giorno uno strano personaggio dal volto coperto da una maschera da lupo e dall'aspetto fanciullesco la invita in un castello. Un ambiente situato dall’altra parte del grande specchio della sua stanza da letto.

Kokoro è una dei sette piccoli ospiti di quella strana padrona di casa. In questo luogo magico possono trascorrere il tempo come meglio credono, fino al 30 marzo. All’interno della struttura è nascosta una chiave, a chi la dovesse trovare un desiderio verrà esaudito. La signora lupo è chiara nel dettare le regole, avvisandoli: non possono pernottare in quel luogo, in quanto alle 17 un lupo divorerebbe chiunque sia rimasto nel mondo dello specchio. Devono tornare nel loro ambiente, non importa quanto spaventoso, non possono fare affidamento in eterno a qualcosa di magico.

“Se potessi esprimere un desiderio, vorrei che ogni giorno fosse così. Vorrei trascorrere giornate spensierate insieme a tutti gli altri avvolti da un profumo dolce.”

Cosa hanno in comune quei sette ragazzi? Perché sono stati scelti loro, cosa li unisce? Una prima risposta a cui giungono loro stessi è il non frequentare la scuola. Ognuno, per un motivo diverso, frutto delle proprie sofferenze, ha smesso di frequentare l’istituto scolastico. Racchiusi nella loro solitudine, nel loro mondo, trovano in questo ambiente magico una loro realtà, dove è possibile il sano confronto con gli altri e con sé stessi e insieme crescere e maturare, fino a convincersi di uscire dalla loro prigione, quella chiave tanto cercato cosa apre realmente alla fine?

La sensazione del lettore nel leggere i vari capitoli è quella di trovarsi di fronte a una favola, senza comprendere effettivamente quale essa sia. Si lascia stregare dall’innocenza dei protagonisti, sorride e piange insieme a loro delle piccole e grandi cose. A tratti malinconica spesso dolce come una carezza data da una persona di cui abbiamo solo un fievole e piacevole ricordo. Tutto è una metafora, un chiaro rimando a situazioni lontane e vicine, spesso troppo reali spingendo al dialogo e alla comprensione reciproca. Del resto ogni favola ha una morale.

“E se noi fossimo delle marionette in mano alla signora lupo?”
Eppure questa favola non sembrerebbe destinata a un lieto fine, la minaccia del lupo non è una metafora e realizzare un desiderio spesso porta a conseguenze nefaste e questa storia non sembra esimersi da tale regola. Tentare di sfuggire dalle conseguenze è come fuggire dalla realtà e quei sette piccoli e coraggiosi ospiti sono stanchi di farlo.

La situazione di Kokoro è subito chiara al lettore, ma quella degli altri lo sarà soltanto alla fine grazie a opportuni e lunghi flashback. Prima di quel momento avremo solo piccoli approfondimenti o veloci scambi di battute dove in realtà si potrebbe capire molto più di quanto si crede. Tutti i vari protagonisti godono di un'ottima caratterizzazione, lo stesso dicasi per i personaggi secondari come la madre di Kokoro, la sua frustrazione è chiara anche con poche battute, a volte basta uno sguardo intenso.

I disegni sono delicati, tenui, chiari. I volti espressivi. Si nota come l'autrice abbia volutamente omesso nel rappresentare ogni genere esplicito di violenza, viene accennata fermandosi al momento giusto, riuscendo a impressionare ugualmente il lettore.

“Da sola non sono riuscita ad arrivare fin qui. Non ce l’avevo fatta… era troppo lontano.”
Aki, Fuka Lyon, Subaru, Masamune e Ureshino, ognuno di loro nasconde un passato interessante, ognuno di loro ha sofferto in un modo diverso, provando una sofferenza diversa reagendo in maniera diversa.

Non esiste una scala del dolore, non esiste una classifica di quanto si soffra, per quanto l‘autrice nel finale sembra abbia voluto raccontarci le loro storie a partire dal dolore minore, con un continuo crescendo nella parte più profonda e spaventosa dell’opera, il tutto a partire dal finale del quarto volume.

L’epilogo sembra invece incompiuto. Il lettore riceve una risposta a tutti i suoi dubbi, ritenendosi quindi pienamente soddisfatto dalla lettura eppure qualcosa manca, lasciata a quel punto alla sua fantasia, del resto proprio di quello si lamentava la signora lupo all'inizio: “ma insomma, non hai un briciolo di fantasia.” Si, vero, rileggendo la prima parte della storia dopo averla terminata il tutto acquista un significato completamente diverso.

Consigliato a chi cerca una favola moderna.