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“Junji Itō Maniac: Japanese Tales of the Macabre”: una spaventosa delusione.

Maniac è una raccolta antologica di racconti autoconclusivi provenienti dalla penna del celebre autore dell’orrido Junji Itō.
Se dovessi scegliere una parola per descrivere la serie nel suo complesso, direi “altalenante”. Durante la visione dell’opera, passiamo da storie che, tutto sommato, sono buone e hanno davvero il potere di mettere inquietudine nello spettatore, ad altre che sono una vera e propria perdita di tempo.
Giudico così aspramente alcuni episodi della serie poiché questi non sono stati in grado di lasciarmi alcuna emozione dopo averli conclusi. Il massimo che mi suscitavano era noia e tedio. Questi racconti hanno come unico pregio quello di far risaltare gli episodi meno mediocri rendendoli, almeno, accettabili.
Per carità, non voglio criticare così duramente tutte le puntate. Ci sono quei “pochi, ma buoni”, che vorrei salvare e giudicare positivamente. Il problema è che, appunto, sono pochi. Ad ora, dopo una settimana dalla conclusione della mia visione della serie, ricordo piacevolmente solo due o tre racconti su una ventina totale. La proporzione è gravemente insufficiente. Ovviamente, mi faccio scudo dietro la giustificazione che tutto questo è un mio parere personale, ma, anche vedendoli in modo oggettivo, presentano dei problemi non trascurabili.

Dopo aver criticato finora questa serie, vorrei spezzare una lancia a suo favore. Credo sia davvero difficile portare un adattamento di opere a tema horror. Ci sono pochi esempi, che io abbia visto, che siano riusciti a fare un lavoro ineccepibile. Detto questo, anche non essendo un fan del genere, il minimo che mi aspettavo da una serie tratta dagli scritti di Itō era qualcosa di spaventoso. Ma il massimo che mi ha fatto provare è stata una forte inquietudine, non per la storia in sé, quanto per le movenze e l’aspetto grottesco di modelli in computer grafica raccapriccianti. Mi hanno fatto gelare il sangue sì, ma perché fatti così male da fare il giro diventando spaventosi.

Proseguendo, parlando sempre del comparto tecnico: le animazioni e la grafica sono un pugno nell’occhio. I primi episodi faticavo proprio a guardarli. Ho già criticato i pessimi modelli in CGI, ma anche le animazioni in due dimensioni non sono salvabili, legnose e trite, minano il, già fragile, andamento dell’opera. Superato lo scoglio iniziale diciamo che è sopportabile, di sicuro non ho portato avanti la visione della serie per il comparto visivo, ma per la narrazione magnetica di alcune storie.

Quindi, spostandoci sulla parte delle trame dei diversi racconti, ammetto che spesso mi sono fatto rapire dall’aria di mistero e dal setting ansiogeno, e straniante, che ti catapultano nel sinistro universo narrativo dell’autore.
Tuttavia, sono costretto a portare alla luce uno dei problemi più sentiti -per me- durante la visione. Ovvero, il grandissimo potenziale inespresso di alcune storie. In pratica, non appena il racconto era ben strutturato e pensavo si entrasse nel clou della narrazione, al contrario, questo si concludeva. Lasciandomi una sensazione come di aver mollato a metà l’episodio. Un impressione di interruzione più che di vero finale. Come se tutti i pezzi di un puzzle iniziassero a combaciare, per poi buttare via tutto prima di vedere l’immagine nel suo insieme. Fastidioso. Per fortuna non tutte le storie hanno questo problema, ma è un aspetto che non ho sopportato della serie e sul quale non riesco a transigere da spettatore. Non so se sia una scelta stilistica dell’autore ma, se è così, non la condivido.

Tirando le somme, questa serie non è stata in grado di soddisfare le mie, forse troppo alte, aspettative per la maggior parte dell’antologia. Sì, alcuni episodi sono riusciti a sorprendermi e intrattenermi, ma, sfortunatamente, questi sono ben pochi rispetto a quelli che mi hanno fatto storcere il naso.
Seppur conoscendo per fama la nomea dell’autore dell’orrido Junji Itō, non ho mai avuto occasione di leggere un suo lavoro. Ahimè, questo primo approccio al suo universo narrativo, mi ha lasciato un sapore amaro.
Credo che, la prossima volta che vorrò provare ad avvicinarmi ai suoi lavori, opterò per una versione scritta. Così da capire se questa serie sia o meno un caso di adattamento mal riuscito di opere che danno il loro meglio in originale.

In conclusione, non mi sento di consigliare la visione di quest’opera.