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Il limite di un ONA è quello della claustrofobia. Immaginate una situazione classica nella quale i nostri eroi cercano di uscire da una stanza, ma ogni espediente è più cruento dell’altro e l’azione è così concitata che i dialoghi sono sconnessi, le pause sono quasi insensate e il capolinea desiderato pare via via più scontato, meno sentito; gli stessi protagonisti dell’escape risulterebbero piatti e, a parte le loro motivazioni iniziali personalizzate, finirebbero con l’essere tutti uguali, alla fine, affamati come sono di libertà.
“Vampire in the Garden” soffre proprio di questo, ma procediamo con metodo.

Siamo in un mondo apocalittico nel quale vivono vampiri e umani, che, naturalmente, è inconcepibile riescano a convivere, anzi, il conflitto è più che aperto. Gli umani sono assediati ma non domi, i vampiri si credono padroni del campo, ma quelle mosche fastidiose degli umani stessi non fanno che creare loro problemi, inventando robetta mecha pronta all’uso.
Abbiamo i classici cacciatori di vampiri e la solita, nota, proibizione, che appare in ogni anime vampiresco di recente: il divieto per gli umani di ballare o produrre musica, vocalmente o tramite strumenti. Il motivo è la grandissima sensibilità ai suoni dei vampiri e anche il fatto che quest’arte è appannaggio del nemico: sono proprio i vampiri a cantare, ballare, dare feste, a vivere da nababbi, diversamente dagli esseri umani la cui vita è grigia, senza gioia, in preda alla paura e ad una gerarchia che dà sì sicurezza, ma pure una greve serenità.

In un tale contesto belligerante emergono le figure di Fine e Momo.
Fine è la regina dei vampiri, che, diversamente dai membri della sua specie, coltiva un sogno: quello di un mondo nel quale umani e vampiri possano convivere pacificamente. La sua volontà è tanta e tale che s’indebolisce sempre di più, ma non vuole assumere sangue umano. Durante la narrazione, in flashback malfatti, emergerà un passato doloroso, nel quale si capirà il motivo di questa sua aspirazione.
Momo è figlia di una comandante umana, che condanna il grigiore e la violenza nella quale vive. La scoperta di un carillon la spingerà a rompere quella gabbia di convenzioni strettissime che le impedivano di esprimere la sua vera natura e di essere libera.

L’azione ha momenti di una lentezza mortale, caratterizzati da musiche di sottofondo nelle quali vediamo le protagoniste interagire e conoscersi, a momenti di lotte furiose nelle quali tutto appare caotico e la regia stessa diventa strabica: a furia di avere come focus o Fine o Momo, finisce col tralasciare pesantemente le situazioni di conflitto, tratteggiando grossolanamente le motivazioni delle parti e non facendo così emergere i personaggi secondari, né dando profondità al worldbuilding. La laconicità dei secondari, aggiunta al loro agire piatto, porta a sorprendersi, quasi quasi, quando si comportano in maniera umana e comprensiva. Risultano così tanto sacrificati, che il messaggio di quest’anime pare portato all’eccesso.

Le due protagoniste cercano una via di fuga da una guerra logorante e la trovano in due elementi: la fuga e la musica.
La musica ha valore salvifico e catartico: salvifico perché spinge le due protagoniste a cercarsi, a trovarsi e a condividere un sogno, un rakuen (tipo “Wolf’s Rain”, c’è pure tanto freddo e tanta neve!) nel quale vampiri e umani convivono, producendo musica assieme. La brutalità grigia in cui vive Momo la spinge ad adottare la musica come ancora di salvezza, e un fatto del tutto fortuito la spingerà a conoscere Fine, la quale coltivava la musica con sfumature di ricordo, rimpianto e rinascita. La stessa musica farà da legame e supporto alle due ragazze, spingendole a conoscersi, a rompere quel muro che la cultura del conflitto ha creato tra di loro.
La fuga porta le protagoniste in situazioni di disagio e ulteriore conflitto. Pare che gli unici momenti sereni siano quelli che vivono assieme, in solitudine. E va benissimo che quest’anime parli di un sentimento più profondo dell’amicizia, lo si può intuire, però ci voleva più coraggio nell’espressione dei sentimenti, nulla di troppo plateale, ma almeno indizi più chiari. Gli stessi flashback di Fine non aiutano a capire se la profondità dei suoi sentimenti, che l’ha spinta a non bere più sangue, fosse legata al fatto che aveva perso un’amica o un amore.
Inoltre, la scelta di sottrarsi al conflitto per cercare un luogo di pace può essere vista come deviante; se da una parte c’è l’eroismo di chi rompe uno schema e la volontà di cercare un luogo di libertà, dall’altra, adottando il punto di vista della madre di Momo o di Allegro, “amico” di Fine e suo “custode”, stanno solo e semplicemente scappando, motivo per cui vanno trovate e rimesse in riga. Allegro deve recuperare una principessa e un utero, mentre la madre di Momo deve portare alla ragione una figlia che ama, ma che le sta facendo perdere la faccia, visto il suo ruolo di spicco molto soggetto a critiche feroci da parte di vari detrattori.
La domanda allora è: “La fuga è un atto eroico od egoista? Inoltre, come fanno due ragazze a diventare così importanti in un conflitto già in essere? Questi benedetti inseguitori avevano così prurito alle mani di avere queste due poveracce tra le grinfie e di trascinarle per i capelli a casa?”
L’eccesso narrativo in questo senso non è credibile, perché la parte bellica pare un lenzuolo colorato pieno di grinze, mal disegnato, che si muove al vento rivelando la sua natura effimera, sfilacciata, provvisoria.

A livello narrativo assistiamo a un alternarsi di scene in cui le protagoniste sono sole, a momenti in cui gli inseguitori si scalmanano a trovarle. Se da una parte il viaggio delle ragazze permette di vedere luoghi tragici di frontiera, dall’altro fa risultare questi contesti caotici, affollati e mal gestiti. In queste situazioni accadono cose incredibili: Momo, in una cittadina di vampiri affamati, ne esce integra; le sparano addosso, ma non la colpiscono; cade da una rupe, ed è bella intera; corre più veloce di un vampiro assai motivato; trova casupole nel nulla; risulta immune, per volontà di copione, mi sa, a fame, freddo, esplosioni e proiettili. E questo non perché sia corazzata (un addestramento non basterebbe mai a dare simili abilità soprannaturali), ma per motivi di regia stretta: se lei non era attiva e Fine stava là accasciata, sfinita dalla mancanza di sangue, chi tirava avanti la carretta? E si susseguono scene insensate in cui la nostra eroina subisce prima un’esplosione, poi una bella fuga adrenalinica, poi si gela per bene le idee senza andare in ipotermia, per riuscire, infine, a far fuori un vampiro più forte, più letale, più cattivo di lei.
E Fine? Sempre in situazioni estreme accadono due cose: o Fine si accascia, costringendo Momo a fare il lavoro sporco, o resuscita dalla sua stanchezza mortale, spuntando tipo da una cassa inchiodata e percependo dov’è la nostra Momo in un battito di ciglia. E pare ridicolo il suo tentativo di salvare Momo, quando l’umana è più che in grado di badare a sé stessa, per quanto paia deboluccia e indifesa.

In questo anime, poi, le coincidenze sono precise, ma telefonate! Ad esempio, quando le nostre trovano un certo qual luogo, indicato da tutti come appartenente al regno delle favole belle, chissà perché gli inseguitori trovano il tizio che rivela loro l’ubicazione della location, rivelando che la sanno tutti.
II finale mette in luce tutte le problematiche dell’ONA. Abbiamo tutti in un luogo, guerriglia di qua e di là (mi suona un pezzo dell’opening italiana de “La stella della Senna” che fa: ‘Colpi di qua, colpi di là, chi vincerà, chi vincerà?’), gli inseguitori con le mani artigliate sulle nostre eroine...
Se l’anime avesse avuto un buono svolgimento, forse, non lo nego, sarebbe stata una chiusa più che buona, ma, con tutti i difetti finora elencati, è risultato noioso, insensato, a tratti ridicolo (tipo l’exploit di Allegro) e, alla fine dei giochi, melenso.
Quella caverna era così voluta che pare apparsa dal nulla, perfetta com’è, luogo di una scena strappalacrime che era pilotatissima. Come Momo abbia poi trasportato quel corpo sanguinolento e gommoso è tutto un mistero.
La resa dei conti con la madre poteva essere gestita meglio, ma la povera donna (è il caso di dirlo) è rimasta nell’ombra, mentre la figlia, volontà di regia, faceva il monumento di sé stessa e delle sue scelte. Mi è venuto quel deja-vu di bambina, in cui guardavo palate di anime e in essi le protagoniste, più piccole degli adulti, avevano sempre ragione e parlavano di più, mentre l’adulto di turno era imperioso, laconico e aveva sempre torto. Un finale infantile, a tratti, caratterizzato da quell’egocentrismo del bambino in cui il mondo deve girare attorno a lui, gli altri non meritano diritto di replica, anzi, come aprono la bocca, sono sempre in torto.
E finito il tempo della storia, si scopre un epilogo da cammeo che non ha molto capo e molta coda, viste le difficoltà oggettive e il tempo che ci sarebbe teoricamente voluto a raggiungere quel risultato.

La grafica non brilla: c’è un 3D esagerato dei mezzi di trasporto, i fondali sono stupendi, ma mal si amalgamano con il chara design davvero piatto, con occhi troppo grandi. O come i vampiri, dal volto piatto e questa massa di capelli indefinita dall’attaccatura a zigzag. La stessa vera natura dei vampiri, tipo grosso coniglione bianco e sanguinario, è originale ma non così convincente. C’è originalità rispetto al nero pipistrello di storica memoria, però.
La soundtrack è stupenda, accompagnata dal dolcissimo carillon (il cui significato simbolico può essere inteso come il fil rouge della vicenda). L’ending è orecchiabile, un eccellente lavoro di un compositore e musicista che ha prodotto soundtrack per altri anime, Yoshihiro Ike. Le voci femminili che cantano sono incantevoli e rendono l’atmosfera della vicenda.

Concludendo, si percepiscono temi importanti dietro questa narrazione fulminea, ma lo svolgimento della vicenda e il trattamento impari dei personaggi, nonché il ritmo narrativo a tratti soporifero (pure nelle azioni belliche) e un finale mal gestito (o forse troppo prevedibile) fanno sì che quest’opera, inevitabilmente, scada. Anzi, aggiungo che, se al posto di vampiri fossero state altre bestie brutte, la storia poteva essere la stessa, uguale uguale.
Il fatto che quest’ONA non abbia avuto tempo narrativo equilibrato e spazio da dare ai suoi protagonisti per non renderli così piatti e che abbia poi avuto la sfortuna di seguire un filone, quello dei vampiri, che è sia arcinoto che pericoloso da innovare troppo, fa sì che non possa avere una valutazione alta, pur avendo io ben compreso la difficoltà di riassumere una vicenda in cinque episodi.