logo GamerClick.it

7.5/10
-

Dopo 13 anni dal famosissimo film live action, mai arrivato da noi in versione ufficiale, Netflix annuncia un nuovo adattamento live action di Kimi ni Todoke, poi approdato sulla piattaforma il 30 marzo, con il titolo in Italia di Arrivare a te, lo stesso scelto da Star Comics per la pubblicazione del manga dal quale è tratto. Questa volta Arrivare a te è un drama da 12 episodi da 33 minuti circa per un totale di 5,30 ore di trasposizione: inutile dire che le aspettative da subito sono state altissime, ma disattese in parte.

Nell’immaginario comune e per chi conosce già l’opera, i due protagonisti sono dolci e impacciati nel loro modo di avvicinarsi l’uno all’altro e con un forte potere espressivo nello sguardo, si può dire infatti che molti dei loro non detti sono espressi con gli occhi che diventano una fonte imprescindibile di comunicazione; Sawako e Shota della trasposizione di Netflix, interpretati rispettivamente da Sara Minami e Ōji Suzuka (Silent, Violence Action, Horimiya), tuttavia, non riescono a raggiungere questo tipo di intesa e seppur arrivino l’uno all’altra, il loro amore rimane distaccato dallo schermo e non arriva così caldo e intenso come ci si aspetterebbe, come lo si vorrebbe.
Volendo analizzare più nel dettaglio i personaggi principali, Sawako non risulta lugubre né troppo tenebrosa, tipicità questa che le ha fatto guadagnare il soprannome di Sadako, la protagonista di The Ring (il personaggio del pozzo) riducendo il soprannome ad un mero gioco di assonanze. L’interpretazione della Minami quindi la fa sembrare eccessivamente timida ed impacciata, nonché anche meno ingenua.
Suzuka su Shota invece sembra impaurito, spaventato nell’avvicinarsi alla sua innamorata, parrebbe quasi che si sforzi a mantenere una certa distanza di sicurezza viaggiando con il freno a mano tirato, non riuscendo così a far arrivare la parte di Kazehaya che vorrebbe una Kuronuma tutta per sé. Nonostante il suo sorriso risulta sempre rassicurante, allo spettatore arriva filtrato da un velo di titubanza, il suo carattere non emerge, rimane sullo sfondo come sarebbe per un personaggio non primario.

Certo il carico di responsabilità che si porta dietro Ōji Suzuka è enorme: nel film del 2010 (che ha fatto la storia dei live action per fama e per bellezza) Shota Kazehaya è stato interpretato da un quanto mai fresco e genuino Haruma Miura. Il suo lascito è enorme in termini emotivi e interpretativi, difficile reggere un confronto. Ma io credo che proprio per evitare questo confronto, la coppia principale ha subito una sorta di ovattamento, come se, di proposito, si sia scelto di non spingersi troppo oltre nei loro sguardi e nei loro approcci.
Forse questa impostazione è stata voluta per dare la possibilità allo spettatore consapevole di sovrapporre le due produzioni, e a quello inconsapevole di godere al meglio di questa nuova produzione. Personalmente vedere i nuovi attori interpretare questa danza poco sinuosa, mi ha fatto storcere il naso e rimpiangere la vecchia trasposizione.

Ma se i protagonisti soffrono, i comprimari splendono: Netflix fa di Arrivare a te un’opera corale in grado di dare finalmente a Chizuru, Ayane, Ryu e il prof. Arai lo spazio per le loro story line che fino ad oggi sono sempre state sacrificate in tutte le trasposizioni.
Su tutti spicca Riho Nakamura su una Chizuru forte e fragile, amante e amata, solare e tenebrosa, intenta a cercare di arrivare a congiungere i punti per la sua felicità con il pacato e razionale Ryu, interpretato da Kaito Sakurai, e il suo futuro lavorativo. Abbiamo la possibilità di vedere finalmente su schermo la tormentata Ayane confusa e spaventata, insicura e in amore e nella strada da seguire per la sua carriera. Vediamo un Pin intrepretato da Shōhei Miura. Non credo sia stato un caso la scelta di questo famoso attore; è risaputo, difatti che è stato uno dei piu cari amici di Haruma Miura e inoltre l’attrice che interpretò Ume Kurumizawa nel 2010, Mirei Kiritani, è oggi sua moglie. Pertanto, forse, si può dire che la presenza di Shohei Miura sul set di questo Kimi ni Todoke, sia un omaggio, neanche troppo velato, a quello che fu la precedente pellicola.

Il drama si sviluppa durante i tre anni di liceo e la breve sigla inziale è caratterizzata da motivi stagionali che susseguendosi danno allo spettatore l’idea del tempo che scorre. Forse in 5,30 ore condensare tutta la storia che si sviluppa su 30 volumi del manga è stato davvero troppo e la regia ne soffre, risultando anch’essa frettolosa, non si sofferma a sufficienza sui volti dei protagonisti, mancando di coglierne le emozioni. La fotografia è però spettacolare e suggestiva, capace di cogliere attimi che sfuggono soprattutto sulle panoramiche. Le musiche danno un buon accompagnamento anche se nei momenti più intimi avrei preferito qualcosa in grado di far venire il batticuore; in compenso la ending "Ai no Uta" di Takaya Kawasaki fa breccia, penetra e rimane per giorni in mente costringendoti a canticchiarla.
Arrivare a te di Netflix è una trasposizione che promette di dare voce a chi, dei personaggi, non ha mai avuto la possibilità di esprimersi a pieno su schermo. Cerca di non sovrascrivere quel colosso che è il film che lo ha preceduto ben 13 anni fa, ma di affiancarlo per dare una visione più completa allo spettatore sapiente e una idea generale a chi si approccia a questa dolce storia per la prima volta.

Voto complessivo: 7/8