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5.0/10
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Dopo tanti anime del passato, ho deciso di ritentare con quelli più recenti, se non recentissimi, e dopo averne scoperto le origini coreane, ho deciso di soddisfare la mia curiosità e di vedere “Lookism”.
Premetto che otto episodi erano per me la misura giusta, perché, visti i contenuti, la grafica, la narrazione sonnambulistica dell’anime, se di episodi ne avesse avuti dodici, l’avrei abbandonato a metà.
Ora, non so quanto l’anime sia fedele al manga, che ho scorso solo brevemente per completezza di recensione, ma io mi limiterò a trarre giudizi sul materiale di animazione, avendolo visto tutto.

Il protagonista della vicenda è Park Hyung Seok, un ragazzo impopolare a scuola, bullizzato brutalmente a causa del suo aspetto fisico. Al colmo della vergogna e dell’umiliazione, decide di cambiare scuola, malgrado sua madre sia una donna povera che, pur cercando di aiutarlo, non gli potrà dare molto benessere economico. La nuova vita comincia male per il protagonista e, al colmo della disperazione più infernale, va a letto, scoprendo poi, al risveglio, che è stato “vittima” di un miracolo: di lui esistono due corpi, uno dei quali si attiva quando l’altro dorme. Uno di essi è un corpo desiderato e desiderabile, alto, scattante, decisamente in forma e molto affascinante; l’altro è un corpo sgraziato, obeso, occhialuto, che attira il disvalore sociale e pure quella parte di umanità marcia che sono i bulli.
Piccola parentesi critica: ammesso e non concesso che il miracolo si ripeta sempre e comunque, il protagonista stesso non approfondisce il perché di tale evento e nemmeno si domanda se mai cesserà, imprigionandolo in che corpo.
Da qui si sviluppa su due ambiti opposti, su due poli di valore contrastanti e che sono l’indice di una società, quella coreana, dove l’apparenza dà la sostanza di un essere umano e i veri valori coltivatili sono quelli della popolarità, della moda, della forza, del disprezzo verso chi ha un’estetica diversa che lo penalizza e lo rende vittima di chi si crede meritevole addirittura di bullizzarlo. Abbiamo un contrasto tra luce (popolarità, bellezza, forza, vita scolastica) e buio (debolezza, sopraffazione, bruttezza, lavoro notturno sottopagato e solitario, emarginazione), e su questo fil rouge si giocherà tutta l’opera.

Il protagonista, consapevole di agire da “brutto”, nel corpo “bello”, cercherà di manifestare una natura gentile, venendo frainteso sia dai bulli che da coloro che vuole avvicinare, quelli che sono gli emarginati, dovendo usare pure lui la forza (e ne ha tanta!) e finendo con l’essere, malgrado tutto, più trascinato dalle situazioni, che effettivo motore positivo del cambiamento degli altri. Potremmo dire che la goccia scava la roccia, e dunque la gentilezza fa breccia anche laddove meno ce lo si aspetta, col tempo e con la costanza, e potrebbe pure essere, ma l’impressione che ne ho ricavato è l’impotenza del protagonista, che prima si lascia trascinare nelle risse, per poi rispondere a pugni con disinvoltura, poi si lascia convincere da Deok Hwa, la vittima di bulli con il sogno di rappare, a cantare con lui. Spezzando una lancia in favore del protagonista, potrei affermare che, l'habitus mentale e comportamentale che s’era venuto a creare nella sua natura di bullizzato e di sottomesso, era così profondamente radicato in lui, da averne forgiato l’atteggiamento, tanto da inibire in lui ogni minima reazione e da farlo agire in due maniere: o con gentile insistenza/timida accettazione delle richieste o dei ringraziamenti altrui o con delicata difensiva, laddove la sua forza pareva più istintiva, non consapevole, né consapevolmente usata (senza che potesse calcolare nell’immediato e nei momenti successivi nel tempo le conseguenze di fare a pugni con qualcuno - gli mancava l’idea di una gerarchia dei bulli, e nemmeno se ne interessava davvero).

Nel mondo scolastico lui ha amici che sono più fasulli che altro, attirati dalla sua bellezza e dall’ascendente che esercita con la sua pacatezza da passivo, più che dalla sua forza effettiva. Anche quando si pone a difesa dei deboli, lo fa con quella cortese insistenza che non denota forza, quanto sottile logoramento degli altri. C’è molta superficialità nei rapporti in classe, e pure nei locali dove si fanno le serate mangiando e bevendo a fiumi. La vera profondità la si riscontra nel legame che le gang hanno con i loro membri, e questo elemento già di per sé è negativo. La stima reciproca non è scontata e, quando emerge, soprattutto nella figura di Basco, ha una genesi tortuosa, ma eleva il personaggio altrimenti bullo e maledetto (non che uno che va a bullizzare i bulli, facendo lo sceriffo, possa essere considerato una figura positiva in tutto). Strana è la figura del compagno laconico che gli regala, come se fosse un pezzente quale è, una montagna di abiti firmati, facendo capire come essere ricchi e dimostrarlo ti dà valore, guai se sei una buona persona ma poveraccia, guai.

Al di là della scuola, nel mondo notturno e solitario di un negozietto senza troppi clienti, c’è più solitudine, che al protagonista non fa male, visti gli anni interi ad essere emarginato. I rapporti umani ci sono, ma solo con altri personaggi bullizzati che ad un certo punto enumerano le violenze subite dai bulli. Quest’amicizia tra emarginati pare forzata e un po' deprimente, una sorta di gruppo di aiuto-aiuto senza carica di cambiamento positivo. In questo mondo si vede pure una bella ragazza, che incoraggia l’alter ego sovrappeso del protagonista a credere in sé stesso.

Quello che fa riflettere, in quest’anime, è che la debolezza di un protagonista scisso genera cambiamenti poco riconoscibili, non facendo intendere quanto agisce lui nell’ambiente suo malgrado o quanto l’ambiente agisca su di lui. Le spinte positive sono poche e non fanno che confermare chi lui già è, senza valorizzare chi diventerà, e sono la madre e pochi altri (tra cui un laconicissimo, ricchissimo biondino), che, in un contesto ad alto tasso pilotato che ingloba il protagonista senza lasciarlo agire davvero, finiranno col confermare una strada confusa e sperduta con inutili cartelli segna-via, quando è chiaro che la vicenda si intrica, torna sui suoi passi, avanza di poco, si confonde con la certezza unica che sì, i bulli sono sempre là, e l’apparenza sarà sempre un metro di giudizio imprescindibile. E anche se un cambiamento personale e della società fosse possibile, si agirà sempre da apripista nella foresta, con un machete che taglia poco: prima di raccogliere risultati, si dovrà lottare, avendo meno di quanto si ha dato e ferendosi molto.

Il tema del bullismo, come si è ben evinto dalla lunga tirata che ho fatto finora, è ben presente, e per curiosità mi sono andata a cercare notizie sul web, per capire come stessero davvero le cose e se l’autore del manga non avesse esagerato nel descrivere una situazione davvero penosa per il protagonista o per chi, davvero, vive in Corea ed è vittima del bullo. Ebbene, quest'anime non scherzava affatto: in Corea il bullismo è un tale problema sociale, che è stata emessa una legge, tale per cui, se nel passato di una persona c’è traccia di bullismo, non potrà accedere all’università. Le statistiche sono pesanti e deprimenti, e denunciano episodi di bullismo verbale, fisico, sessuale e cyber, figli di una società in cui la competizione genera una malsana catena alimentare per cui chi sta sotto già è svantaggiato per molti motivi, ma subisce pure la riprovazione sociale e le attenzioni sgradevoli di soggetti che, ritenendosi perfetti, si arrogano il diritto di non trattarli da esseri umani.

Altro tema (siamo in Corea!) rilevante, anche se non ha avuto tutta la carica che poteva di certo avere, è la musica. L’industria musicale coreana è tra le più competitive la mondo, con talenti che si raffinano in anni, anni e anni di sacrifici personali, allenamenti logoranti, prove costanti. E qui la musica ha, anche lei, due tipi di letture. Da una parte c’è il discografico che spinge verso una canzone dai toni machisti e violenti e che, al momento di scegliere a chi fare il contratto, valuterà l’aspetto fisico del cantante, dicendo che vende ciò che è gradito: un bel visino, in sintesi. Dall'altra c’è il valore salvifico di una canzone, la cui genesi è l’animo e il cuore di due reietti che hanno ancora il coraggio di sognare e incoraggiare altri a farlo (agghiacciante la domanda del commentatore che intervistandoli chiede: “Siete della stessa specie?”), al di là delle catene brutali di una società che non li giudica nemmeno umani, dove il contenuto è ciò che ha più share (a dispetto di quello che diceva il discografico) e dove c’è, almeno per un breve tempo, il riconoscimento di chi fisicamente non sarà bello, ma che con le sue parole conferma di essere degno di valere.
Purtroppo questo tema musicale arriva tardi, non ha la giusta luce in una trama che prima vagava senza uno scopo apparente e che non dà vera profondità alla vicenda del concorso musicale, perché su una decina di canzoni ne fa vedere due, facendo capire che, seppur il focus sia quello, non si è stati in grado nemmeno di valorizzare un minimo di contorno o di cornice, per dare più valore alla vicenda e ai suoi cascami successivi. Grazie delle foto sul muro, ma la felicità non è scissione o mascheramento, e non si può fare un riassunto così becero dopo che si ha menato per bene il can per l’aia e si ha stretto l’attenzione su un festival musicale i cui risvolti ancora non capiamo.

A livello grafico c’è una bella cura delle ambientazioni, ma la grafica risulta piatta, i protagonisti ‘parruccati’ (soprattutto il biondino).

Bella la canzone dell’opening, frutto di una band coreana, durante la quale vediamo la carrellata dei principali protagonisti. L’ending è lenta, ma c’è di carino il personaggio protagonista versione genuina che corre nel lato in basso a destra.

Malgrado i pregi di quest’opera, che dà voce al bullismo, una problematica sociale coreana (e forse non solo, dato che anche il Giappone ha le sue belle gatte da pelare su di essa), rimane comunque prigioniera di una regia che non va in profondità, non riuscendo a rendere davvero il vissuto del protagonista e la sua percezione di un cambiamento possibile; dando poi una rappresentazione di un bullismo di natura così espansiva da non poterne limitare la sua manifestazione in nessun ambito (nemmeno fuori dalla scuola ci si salva!), si crea una pesantezza morale, nella visione di pestaggi e di violenza verbale continua, tale da far credere che i veri protagonisti siano i bulli, qualunque bullo, dato che hanno molta più motivazione (seppur stereotipata) del protagonista.
I personaggi, infatti, a parte la madre del protagonista, non hanno un vero e proprio background, restano fotografati sempre, staticamente, nella loro immagine di bullo, senza che ci sia una degna spiegazione del perché lo siano. E ho inteso che a volte la violenza è cieca, ma ridurre il fenomeno del bullismo a troppi rappresentanti strafottenti e tutto sommato l’uno uguale all’altro, la cui presenza ammorba pesantemente l’anime fino all’ultimo episodio, non aiuta lo sviluppo di una trama tanto efficace.
Si percepisce che è un’opera interrotta, perché il manga è più lungo e quest’anime ha cominciato a raccontarne solo i primi capitoli. Un indizio di ciò è la ragazza bellissima del negozio, che, scopriamo all’ultimo episodio, ha un segreto pure lei, senza considerare che ha un rapporto col suo accompagnatore che forse ha bisogno di più tempo per spiegarsi, senza contare il fatto che non sappiamo davvero chi è.

Concludendo: i lati positivi questo anime li ha, ma vanno cercati e soppesati, data la difficoltà con cui la trama s’incanala, in otto episodi malfatti e confusi, nei quali si ha come la percezione che l’idea di fondo ci sia, ma nulla ne dà adito, con episodi interi di pestaggi, vicende non approfondite, un personaggio non costante nella profondità psicologica e (colpevolmente) inafferrabile, e, quando la trama si avvia, un focus strettissimo e pilotato, con un fiale poi, apertissimo.
Per il bene di quest’anime, mi auguro che facciano una seconda stagione. Per ora Netflix non parla, ma, come sostiene un articolo, non pare sia sempre la prima a fare i suoi annunci, così, sperando, i fan potrebbero vedere il seguito a fine 2023.
Da parte mia, io non lo guarderò. Non sono un’anima delicata, ma la proposta narrativa non mi è piaciuta, né per una trama ondivaga ed esitante, né per il tema del bullismo così trattato, né per un ultimo episodio che pare fatto apposta per costringere chi ha visto questi (solo e non dodici o tredici! Pigri!) otto episodi di “contentino” ad aspettare gli altri x episodi a data da destinarsi. No, “Lookism” non mi ha affatto convinta e l’ho finito solo perché era breve e, seppur mi sia impegnata a capirlo e analizzarlo, non è per me un anime che continuerei.