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“Sapevo che gli umani non vivono a lungo…
perché non ho cercato di conoscerlo meglio?”


“Frieren - Oltre la fine del viaggio”, in giapponese “葬送のフリーレン” (Sousou no Furīren), è l’adattamento animato dell’omonimo manga nato dalla penna di Kanehito Yamada e dall’inchiostro di Tsukasa Abe, opera che ha goduto di un ampio successo sia in Giappone sia all’estero tanto che, se siete un minimo appassionati di animazione giapponese, è quasi impossibile che non l’abbiate sentita almeno nominare.
Invero, negli ultimi anni l’animazione del Sol Levante si è caratterizzata per il proliferare di un brulicante sottobosco di titoli fantasy dalla discutibile qualità e, soprattutto, della cui necessità si può del tutto legittimamente dubitare; ebbene, certamente “Frieren” non appartiene a quest’ultimi, costituendo invece una deliziosa sorpresa per lo spettatore. "Frieren", infatti, si presenta come un'opera particolare già dalla premessa della storia, la quale inizia lì dove solitamente le storie finiscono: alla fine del viaggio dell'eroe, al suo ritorno a casa dopo aver sconfitto il proprio nemico ed adempiuto la propria missione.
Ma andiamo con ordine.

Partiamo dal titolo dell'opera, il quale cela un doppio significato: l’espressione “葬送” (Sousou) indica, letteralmente, l’atto di partecipare alle esequie di un defunto, tuttavia può assumere anche la sfumatura di “accompagnare alla tomba” e, in questo senso, “uccidere”, di talché “Sousou no Frieren” in italiano può essere reso sia con “Frieren al funerale” e/o, anche, con “Frieren la sterminatrice”.
Lungi dal limitarsi ad essere un mero gioco di parole, l’ambiguità semantica del titolo è strettamente correlata ed intrecciata con i topoi narrativi propri della serie e costituisce una chiave di lettura per l’intera opera, oltre che il perfetto primo passo per addentrarsi nell’analisi dei contenuti di questa bellissima serie.

Il primo significato del titolo ("Frieren al funerale") è legato al fatto che Frieren è un'elfa e, in quanto tale, immortale (o, in ogni caso, incredibilmente longeva); per tale ragione è destinata ad assistere alla morte della maggior parte delle persone, umane e quindi mortali, con cui interagisce e con le quali stringe dei legami, che siano questi di amicizia o di amore.
Tale circostanza pone Frieren in una differente “dimensione” esistenziale rispetto alle altre persone: la vita della maga è infatti segnata dalla solitudine e dall’oblio, in quanto Frieren è destinata ad attraversare i secoli ed i millenni sostanzialmente da sola, tutte le persone che la conoscono, infatti, sono destinate a morire e lei a venire ogni volta dimenticata.
La serie tratta questa tematica in modo molto delicato, dolce e malinconico, ponendo l'accento della riflessione sull’importanza ed il significato che le relazioni con gli altri rivestono per la nostra vita ed esistenza e su quanto spesso, molte volte per abitudine, diamo per scontato ciò che scontato non dovrebbe essere.
Nello stesso errore cade la protagonista della serie, la quale finisce per non dare il giusto valore ed attenzione alla propria relazione con Himmel. Non a caso, infatti, l’ossatura centrale, nonché vero e proprio fil rouge lungo cui si dipana tutta l’affabulazione della trama, è il viaggio che Frieren compie per poter re-incontrare il fantasma di Himmel. Unicamente il fatto di aver perso il suo compagno ha portato la maga a realizzare non solo l’importanza del legame che aveva con lo stesso ma, altresì, che nei dieci anni in cui i due avevano viaggiato assieme, e anche successivamente, lei lo aveva conosciuto (e, soprattutto, cercato di conoscere) ben poco, in un certo senso “sprecando” il tempo che avevano avuto a disposizione insieme. Spinta da questo rimpianto, quindi, Frieren principia il proprio viaggio nella flebile speranza di poter recuperare il tempo perduto, alla ricerca di Aureole, una sorta di paradiso, terra fisicamente esistente dove si narra trovino riposo le anime dei morti. Questo per lei sarà un percorso quasi “terapeutico”: ripercorrere le tappe del suo vecchio viaggio, allora intrapreso per uccidere il Re Demone con i suoi compagni, l’aiuterà a risolvere i propri dilemmi interiori.

Tale considerazione ci porta, poi, ad un altro argomento correlato all’immortalità, ovvero il valore del tempo e la percezione del tempo.
Frieren è, dicevamo, immortale e, pertanto, la sua percezione del tempo è completamente diversa nonché sfasata rispetto a quella degli esseri umani: ciò che per un comune essere umano costituisce un lunghissimo ammontare di tempo per Frieren è, all’opposto, un battito di ciglia. Ciò porta la maga a non accorgersi che, invece, per i suoi compagni il tempo passa eccome, scandendo inesorabile il fato degli uomini.
Frieren, dunque, stenta a comprendere perfettamente i sentimenti degli esseri umani e, più in generale, il modo umano; questo perché vive e ragiona in una dimensione sostanzialmente atemporale e semi-alienata, in parte dovuta alla sua solitudine da immortale e in parte causata dal fatto stesso che ciò che definisce gli esseri umani è proprio la brevità delle loro vite (e quindi la scarsità di tempo) nonché la paura della morte, concetti a lei del tutto estranei. Per tali ragioni, il viaggio che Frieren intraprende è anche un viaggio volto al tentativo di comprendere i sentimenti e la dimensione umana.
Ma il tempo gioca un altro ruolo cruciale nella narrativa di Frieren, infatti il tempo porta con sé il mutamento, l’evoluzione e il progresso, il tempo perciò può anche essere usato, da chi è immortale, indirettamente come un’arma. A tal proposito si rivela esemplare il caso del demone Qual, creatore della magia Zooltrak: un tempo temuto e potentissimo stregone, che non poteva essere sconfitto, è stato sigillato ed intrappolato da Frieren e dalla sua compagnia per poi essere definitivamente annientato decenni più tardi, quando il progresso e lo sviluppo della teoria magica e dello studio degli incantesimi avevano ormai consentito di scovare il modo per neutralizzarlo.

Per quanto riguarda, poi, la narrazione e come questa si intreccia con le tematiche trattate, per certi versi “Sousou no Frieren” appalesa diverse affinità con il modus procedendi di Aria, di Kozue Amano. Entrambe le serie, infatti, strutturano la propria narrazione attorno ad un ritmo molto lento e un’atmosfera trasognata “che ispira all'animo tranquillità e letizia, mettendo a proprio agio lo spettatore, prendendolo gentilmente per mano per accompagnarlo in un viaggio la cui meta è non la scoperta di un nuovo mondo, ma la riscoperta del mondo o, se vogliamo, la scoperta di un nuovo modo di vedere le cose”, citando la mia recensione del manga di Aria.
Entrambe le opere condividono, mutatis mutandis, la medesima “filosofia” di fondo: il valore delle cose apparentemente banali, di tutti i giorni, un valore che normalmente è invisibile agli occhi delle persone a causa dell’abitudine e della routine ma che, nondimeno, è importantissimo per apprezzare e realizzare la propria vita. Concetto che si riflette, per esempio, nella predilezione di Frieren per le magie più banali ed inutili, nonché nel suo aiutare le persone nelle loro piccole faccende quotidiane, sull’esempio dell’Eroe Himmel. Tali azioni non sono poco importanti, sebbene riguardino faccende che apparentemente possono sembrare tali, perché sono proprio quelle che verranno, poi, ricordate con più gratitudine e gioia dalle persone. Tale filosofia si rispecchia anche nella vicenda di Frieren, che si rende conto di non avere dato il giusto valore alla propria relazione con Himmel.
Alla luce di quanto sopra espresso, è chiaro che Frieren non si presenti come un’opera d’azione, sebbene, e questo lo vedremo più avanti, non mancheranno i momenti di combattimento, i quali sono davvero ben realizzati e spettacolari.
Tuttavia, la narrazione che caratterizza l’opera rimane più affine ad uno “slice of life” riflessivo e posato.

Un altro riferimento, questa volta letterario, che balza all’evidenza una volta considerate le tematiche di “Sousou no Frieren”, è il Signore degli Anelli e, di conseguenza, il notevole corpus mitopoietico che costituisce il c.d. Legendarium partorito dal genio di J.R.R. Tolkien. Tematica cardinale dell’opera Tolkeniana, infatti, è proprio quella legata al significato della morte e il suo rapporto con l’immortalità, topos su cui il professore di Oxford da sempre si è interrogato.
Nell’epica Tolkeniana una delle storie che incarna maggiormente la tematica del rapporto mortale/immortale è quella di “Beren e Luthien”, la quale racconta (in estrema sintesi) di un amore impossibile tra un uomo (mortale) ed un’elfa (immortale). Tolkien, tuttavia, tratta le proprie tematiche in modo assai più tragico ed amaro (almeno per ora) rispetto all’opera oggetto di questa recensione, sebbene sempre malinconico. Mentre le vicende di Frieren afferiscono al viaggio terapeutico della maga, che segue il proprio rimpianto per risolvere i propri irrisolti interiori e capire meglio sé stessa, la storia di Luthien riguarda più da vicino la natura stessa della vita e del destino. Luthien, per amore di Beren, rinuncia alla propria immortalità, anzi, più precisamente e tragicamente, Luthien rinuncia alla propria stessa natura elfica, per intercessione di Manwë (e, suo tramite, di Iluvatar), commosso dalla sua triste storia. Infatti, nel mondo di Tolkien quando gli elfi muoiono non muoiono nello stesso modo in cui lo fanno gli uomini: i loro spiriti migrano nelle aule di Mandos da cui con il tempo possono tornare. Gli spiriti degli elfi rimangono quindi legati alla Terra di Mezzo. Mentre gli uomini, quando muoiono, muoiono “veramente”, nel senso che il loro spirito lascia la Terra di Mezzo per andare in un posto sconosciuto anche ai Valar e noto solo ad Iluvatar. Secondo alcune versioni, quindi, Luthien, è la prima elfa a morire di morte “vera”, e ciò per poter seguire il suo amato verso il fato degli uomini. La storia di Beren e Luthien verrà poi riflessa nella storia di Arwen e Aragorn, che avrà anch'essa un epilogo amaro.
Mi si perdoni per aver aperto una parentesi fin troppo lunga su Tolkien, che non è strettamente legato all’opera in analisi, ma il collegamento è, a mio avviso, degno di menzione.

Il secondo significato del titolo, invece, è legato al fatto che Frieren non è una maga qualsiasi, bensì una delle studiose di magia più potenti e pericolose attualmente in circolazione, la quale ha contribuito a sconfiggere il Re dei Demoni.
Ed infatti i demoni la chiamano “Sousou no Frieren” nel senso, questa volta, di “Frieren la sterminatrice” poiché la temono in quanto ha “accompagnato” innumerevoli demoni alla tomba.
Questo aspetto ci permette di parlare di un altro lato di "Frieren" che finora è stato solo brevemente menzionato: i combattimenti.
Del tutto inaspettatamente, “Sousou no Frieren”, a dispetto della propria natura orientata più nella direzione dello “slice of life”, presenta dei combattimenti estremamente curati e ben pensati. Gli scontri con i demoni non sono mai banali e, anzi, nell'approssimarsi verso la conclusione dell’opera diventano finanche epici ed estremamente godibili. A tutti gli effetti lo scontro finale rappresenta un po’ l’apice emotivo della serie, sebbene non la sua conclusione (ed infatti non avviene nell’ultimo episodio). A mio avviso l’azione è sapientemente dosata in tutto il corso della narrazione in un avvicendarsi con i momenti distensivi e riflessivi e il risultato è un amalgama diegeticamente alquanto bilanciata e convincente.
Unico neo, a mio parere, è il fatto che in alcuni punti della storia, in particolar modo nella fase centrale della serie, il ritmo forse rallenta eccessivamente per dare spazio ad alcuni eventi leggermente ripetitivi ed un po’ anonimi, senza con ciò tuttavia pregiudicare troppo il ritmo della narrazione e, quindi, il giudizio complessivo.

Anche sul lato tecnico la serie splende, presentando animazioni fluide, fondali meravigliosi e musiche pregevolissime e coinvolgenti. La confezione di "Sousou no Frieren" è incantevole, un vero e proprio gioiellino per gli occhi.

Per concludere, “Sousou no Frieren” è una serie molto piacevole, originale, che tratta temi interessanti e, a tratti, dotati di un certo spessore e profondità, tuttavia senza mai risultare troppo pesante ma, anzi, esponendo le proprie tematiche con sapiente delicatezza. Ne consiglio la visione a chiunque.