Il Mare della Scienza è un vasto oceano punteggiato da piccole isole. Alcuni esseri umani che vivono su queste isole credono che il Mare della Scienza non sia infinito, e che ce ne sia altro oltre i suoi bordi. Uno di questi credenti era l'astronomo William Herschel, che salpò dalla remota Remnant Island alla scoperta di uno di questi ipotetici mondi, ma da allora di lui si sono perse le tracce.

Il figlio quindicenne di William, Nayuta Herschel, vive oggi sulla piccola isola di Remnant, insieme a sua sorella Asa. Nayuta passa le giornate svolgendo vari lavoretti e allenandosi con la spada in compagnia dello spadaccino, nonché migliore amico, Cygna Alhazan. Remnant è diventata famosa per uno strano fenomeno per cui rovine e stelle, chiamati Frammenti di Stella, cadono dal celo, formando un minerale misterioso. Un giorno, un grande rudere a forma di torre cade nei pressi dell’isola, Nayuta e Cygna ricevono il permesso di indagare. I due, arrivati sulla sua cima, trovano una piccola creatura, simile ad una fata, semi-svenuta, con una sorta di ingranaggio tenuto con disperata determinazione tra le sue braccia, finché due misteriosi individui non sottraggono con la forza l’oggetto dalle sue mani. Cygna, che ha assistito alla scena, prova ad affrontarli, ma viene facilmente sopraffatto. I due individui si dileguano mentre Nayuta decide di portare la fata a casa sua per curarla, la quale si risveglia tra lo spavento di essere circondata da umani. Superato l’iniziale turbamento, Noi, questo il nome della fata, racconta a Nayuta e Cygna la sua situazione di pericolo, del Master Gear sottrattogli e dell’essere malvagio conosciuto come Zext, proprio accanto alla casa di Nayuta, la fata, con i suoi poteri, apre un portale che sembra portare ad un altro mondo, lo stesso che il ragazzo vedeva tramite alcuni Frammenti di Stella...



Nihon Falcom è prigioniera delle sue due serie di punta? A giudicare dalla sua produzione dell’ultimo decennio, sembrerebbe di sì. Del resto, lo stesso presidente Toshihiro Kondo, ha affermato, in una delle sue interviste, che The Legend of Heroes deve mantenere un ritmo serrato di uscite, poiché teme che i giocatori possano dimenticarne la storia. D’altro canto, Ys soffre meno di questo problema, palesandosi una volta ogni 3/4 anni, ma Falcom, nella sua condizione di indipendenza, necessita di annuali entrate sicure e dal 2015, anno di uscita di Tokyo Xanadu, non si è più vista una sua produzione che non rispondesse al nome di The Legend of Heroes o di Ys, ciò contando anche immancabili remaster e riedizioni.
Poco meno di vent’anni fa la situazione era molto diversa, il mercato giapponese dei videogiochi per PC conobbe una forte crisi, di conseguenza Falcom, che rispetto ad altri developer di RPG sviluppava, fin dalle sue lontani origini, per questa piattaforma, lasciando a team esterni eventuali porting per console, si ritrovò costretta per la sua stessa sopravvivenza a guardarsi intorno. Non avendo tuttavia i mezzi tecnici per competere con Square, Atlus e gli altri sviluppatori maggiormente a loro agio sulle home console, Falcom vide nel mercato delle console portatili la sua ancora di salvezza, più precisamente la PSP di Sony, le cui vendite, pur inferiori al diretto concorrente Nintendo DS, erano incoraggianti, specie in patria. Partendo da The Legend of Heroes: Prophecy of the Moonlight Witch, già titolo di lancio PSP (dicembre 2004), Falcom inizia a portare sulla portatile di Sony buona parte dei suoi RPG, dai classici della trilogia Garghav fino ai più recenti, come Trails in the Sky e il simpatico adventure 3D Gurumin, entrambi del 2006. L’affamata utenza PSP risponde e la rediviva Falcom può tornare anche ad azzardare qualche produzione originale, prendendo confidenza con il 3D, con Zwei II (2008, PC), e Brandish: The Dark Revenant (2009), come alternanza ai nuovi apprezzati Ys e i due The Legend of Heroes ambientati a Crossbell, i primi realizzati per console.



Nayuta no Kiseki, uscito nel 2012, si può considerare dunque il punto di arrivo di un percorso, il pinnacolo estetico di un’era di grande fermento creativo di importanza fondamentale per la storica compagnia, in cui ogni nuova produzione si prefigurava lo scopo di superare la precedente. Del resto, basta dare un’occhiata alle immagini, se in anni recenti Falcom è divenuta nota (anche, inutile negarlo) per la sua arretratezza tecnica in vari aspetti, Nayuta no Kiseki è, al contrario, uno dei videogiochi graficamente più impressionanti usciti sulla piccola PSP, a dimostrazione della grande affinità e padronanza che lo studio di Kondo acquisì con la console portatile, con oltre una dozzina di giochi pubblicati in sei anni. Sfruttando la base tecnica di Ys Seven (2009) e Ys vs. Sora no Kiseki: Alternative Saga (2010), Nayuta no Kiseki si presenta come un action rpg dalle tinte platform certamente derivativo, in cui la trama si sviluppa in maniera semplice e lineare, ma non per questo banale. Il ragazzo di un villaggio sperduto che sogna l’esplorazione di altri mondi, l’incontro con una controparte femminile misteriosa, sono figure che ci riportano alla mente racconti come Tenkū no shiro Laputa (1986) e di riflesso a classici del genere quali Lunar: The Silver Star (1992) e Grandia (1997), in cui tutto assume una valenza archetipica: dall’essenzialità scenografica volta a far risaltare la connotazione immutabile del paesaggio, e dunque a giustificare il manifestarsi di un sentire quasi primordiale di un senso di scoperta, di rottura dell’ordinario, con presenza di personaggi ben delineati e dall’immediata presa sul giocatore, pur non lesinando, come prerogativa dei migliori JRPG, alcuni momenti cupi o destabilizzanti, di un certo impatto emotivo.



Precedendo le ambizioni della compagnia di avventure di più ampio respiro, che porteranno sull’allora nuova PlayStation Vita prima alla realizzazione di Memories of Celceta (2012) e poi, soprattutto, al fondamentale Lacrimosa of Dana (2016), Nayuta no Kiseki si presenta a loro confronto con una struttura che possiamo definire più contenuta, ma che tiene conto (e qui si denota la differenza con i porting da PC, come Trails in the Sky e Oath in Felghana), della sua natura portatile; ciò si traduce in obiettivi sempre chiari, in un sistema di progressione ed organizzazione di equip decisamente essenziale e in livelli che si esplorano in una manciata di minuti, costellati di mostri e di qualche enigma ambientale, aventi ognuno degli obiettivi secondari a stimolarne la successiva ripetizione. Questi conferiscono come premio una valutazione in “stelle”, tre per ogni livello, che andranno ad aggiungersi in una apposita tabella, la quale ironicamente ricorda, e di non poco, le tessere di raccolta punti dei supermercati, solo che al posto di pentole e set di bicchieri, ad ogni traguardo ci sono ad attenderci nuove tecniche e abilità per Nayuta.
Su ognuno dei quattro continenti di Terra è possibile cambiare la stagione, tale funzione, similmente a quanto visto in alcuni dei recenti Atelier, ha ovviamente un effetto significativo su morfologia e fauna dei livelli. Questa meccanica è un'altra brillante intuizione da parte di Falcom, atta a permette al gioco di mantenere l'esplorazione sempre stimolante, non solo nel corso dell'avventura principale, che ci occuperà per una ventina di ore, ma anche oltre, visto che nel New Game+ si sbloccano ulteriori stagioni e dunque nuovi scenari. Insomma, Nayuta sembra partire lento, ma con il tempo mostra tutta la sua profondità. Le battaglie contro i boss sono le fasi che ci riportano maggiormente ai giochi della serie Ys, anche se la maggior parte di essi non raggiunge i livelli di sfida di un hardcore Ys Origin, quantomeno a difficoltà normale. Generalmente, il bestiario non è tra gli aspetti più memorabili del gioco, anche se il mondo che fa da scenario e ciò che lo popola, come da tradizione Falcom, non è certo manchevole di cura descrittiva, come dimostra il piccolo museo di Remnant, che man mano diventa più completo di reperti e informazioni grazie anche al nostro contributo.

The Legend of Nayuta_ Boundless Trails_recensione 5

Rimasterizzato per PS4 nel 2021, successivamente portato su PC sotto la cura di PH3 Games e infine, nel 2022, da Falcom stessa su Switch, Nayuta no Kiseki arriva in occidente con il titolo The Legend of Nayuta: Boundless Trails portandosi dietro tutte le migliorie del caso, inclusi doppiaggio inglese e turbo mode (non molto utile in un action quanto può esserlo in un gioco a turni, va detto), pur non tradendo in alcun modo la sua natura di gioco portatile del 2012. Forse qualche opzione per mappare i controlli non avrebbe guastato, per chi è abituato a Ys avere l'attacco sul cerchio e la schivata sul triangolo (o corrispettivi) non è una configurazione immediata; dopo qualche ora si scopre la funzione adibita agli altri tasti e basta poco per abituarsi, tuttavia, non vediamo perché escludere la possibilità di cambiarli a piacimento dalle opzioni di gioco.
Al di là di qualche speculazione, e di teorie indubbiamente affascinanti sull'origine di Zemuria, stimolate dalla presenza di cognomi, creature familiari e altri piccoli elementi ricorrenti, i collegamenti con la saga di The Legend of Heroes rimangono al momento non confermati da alcuna prova su schermo, ciò rende The Legend of Nayuta: Boundless Trails perfettamente godibile a sé stante.


 
Di fatto The Legend of Nayuta è l’accrescimento oltremodo organico delle saghe Falcom del primo decennio 2000, strutturalmente erede di Zwei, con le battaglie di Ys e la narrazione dei Kiseki. Una Falcom all’apice dell’ispirazione concede quindi alla PSP il meglio che il genere potesse proporre al suo tramonto, giungendo finalmente in occidente senza che il decennio trascorso abbia fatto perdere un grammo della sua autonoma freschezza. Poi magari si scoprirà davvero che il padre di Nayuta è prozio di Towa proveniente da un altro mondo o che Nayuta ha preso una brutta strada diventando McBurn, ma non sta qui a noi né ad un remaster constatarlo, e tutto sommato va anche bene così.