Nella tetra oscurità del 41esimo millennio c’è solo la guerra. Così recita l’incipit più universalmente citato dell’universo di Warhammer 40.000 (o 40K), probabilmente il più famoso e apprezzato wargame da tavolo esistente, giunto ormai alla sua settima edizione con una ottava in arrivo. Un successo che ha sorpassato ormai da diversi anni la più longeva serie “sorella” Warhammer Fantasy Battles, e che ha fatto le fortune degli inglesi di Games Workshop. Com’è facile prevedere, un setting futuristico cupo e sfaccettato come questo offre pressoché innumerevoli possibilità in ambito videoludico: detto fatto, perché fin dagli anni ’90 sono stati prodotti diversi titoli che hanno fatto conoscere il franchise anche ad un pubblico ben poco avvezzo ai tabletop, da strategici tattici come Chaos Gate del 1998 – sviluppato dall’allora gigante del settore SSI – passando per il decisamente mediocre sparatutto in prima persona Fire Warrior del 2003.

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Nel 2004, Relic Entertainment (già conosciuta per la mai troppo apprezzata serie Homeworld) firmò un titolo destinato a fare la storia delle trasposizioni di Warhammer 40K su pixel: il primo Dawn of War fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno, capace di coniugare l’attenzione verso la fonte di partenza a tante piccole innovazioni mirate nel campo della strategia in tempo reale, come la conquista di punti strategici al posto della più tradizionale raccolta di risorse. Ne risultò un titolo di culto, una vetta eccellente degli RTS su PC, capostipite di una serie che, tra alti e bassi, si è sempre contraddistinta per la sua continua voglia di rielaborazione e miglioramento delle meccaniche più stantie del genere.

Tra un Dark Crusade che introdusse per la prima volta nel franchise una campagna tattica in forma libera alla Total War e un Dawn of War II che enfatizzava l’aspetto più squisitamente RPG, Relic non ha certamente mai smesso di sperimentare con la sua creatura prediletta, rimescolando suggestioni eterodosse provenienti da più generi diversi. Dawn of War III rappresenta, in un certo senso, la summa di tale filosofia, un miscuglio di influenze che cerca di trovare la sua strada all’interno di un genere che negli ultimi anni ha visto affermarsi il predominio dei MOBA. Con tutto ciò che ne consegue.

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Perché se c’è una cosa che contraddistingue questo terzo Dawn of War è l’ecletticità delle sue meccaniche: in massima parte, Dawn of War III cerca di recuperare la perduta arte dell’RTS vecchia scuola, con classicismi quali raccolta di risorse, costruzione delle truppe e cattura di obiettivi strategici. Gli elementi preferiti del genere ci sono tutti, tra armate da gestire, se lo si vuole, tramite gruppi di comando e una certa enfasi posta su un ben poco originale sistema di carta-forbice-sasso che gestisce i rapporti di forza tra le armi combinate. Il riferimento ai MOBA, però, non è casuale, dato che l’altra metà del titolo è rappresentata dalle unità élite: si tratta di potenti eroi, unici per ogni fazione, capaci da soli di rovesciare le sorti di una battaglia; e in realtà, non parliamo semplicemente di mere unità speciali da gettare nella mischia per dare un vantaggio tattico in più, bensì di veri e propri pilastri tattici fondamentali, con tanto di importanti abilità attivabili gestite tramite cooldown, attorno ai quali è necessario costruire l’interità della propria strategia. Ciò che ne risulta è una commistione di generi, tra l’attenzione alla microgestione degli eroi tipica dei MOBA e il senso tattico in grande scala degli RTS meno recenti. Un “pastiche” che, quando funziona, non può fare a meno di ricordare simili sperimentazioni tematiche come Warcraft III.

Blizzard ha fatto scuola in più di un senso, in quanto – proprio come un certo titolo fantascientifico di successo della casa di Irvine - il gioco presenta tre fazioni caratterizzate da una distinta asimmetricità: da una parte gli Space Marines, o Adeptus Astartes, guerrieri umani geneticamente modificati in armatura potenziata, zeloti a metà fra il soldato e il monaco guerriero; dall’altra gli Eldar, che altro non sono che elfi dello spazio, tanto enigmatici quanto mistici; in ultimo gli Orki, che come vuole la tradizione del setting si contraddistinguono tanto per la ferocia e la sete di sangue quanto per l’umorismo nero che permea ogni loro azione e parola. I paragoni con uno StarCraft a caso si sprecano, perché sebbene le meccaniche di base non si discostino di tanto da razza a razza – basandosi sempre sulla costruzione di strutture e la produzione di soldati – ognuna di esse presenta profonde differenziazioni tattiche, e saperle sfruttare adeguatamente rappresenta la chiave di volta per ottenere il successo sperato in battaglia: e allora, gli Space Marine potranno mettere sul piatto una vasta scelta di solide truppe e un esercito bilanciato in ogni sua componente, gli Orki prediligeranno la mischia e le ondate numerose, mentre gli Eldar sfrutteranno a dovere imboscate e tattiche mordi e fuggi, rivelandosi però deboli nei combattimenti prolungati.
 

 
Nonostante le nette predilezioni tipiche della singola razza possano apparentemente portare a preferire una fazione piuttosto che un’altra, in realtà la vera particolarità, nonché forse l’elemento di più spiccata originalità, di Dawn of War III risiede nella vasta gamma di opzioni a disposizione del giocatore per personalizzare il proprio esercito fino ad ottenere esattamente il tipo di schieramento adatto al proprio stile di gioco: un menù apposito presente nel menù principale permette di selezionare i tre élite da portare in battaglia (ognuno dotato di bonus specifici per vari tipi di unità) e, soprattutto, tre “dottrine” di combattimento, scelte da un elenco e foriere di interessanti bonus che valgono per una intera partita, capaci anche di modificare completamente la propria tattica di gioco rispetto allo “standard” della fazione; per fare un esempio, alcune dottrine permettono di rinforzarsi direttamente ai punti di ascolto – le strutture posizionate sopra gli obiettivi strategici – cosa che di solito non è possibile, mentre altre donano ulteriori abilità attivabili a determinati tipi di guerrieri. Certo, alcune dottrine, magari una volta sbloccate, si rivelano essere sostanzialmente inutili, mentre altre sono piuttosto sbilanciate, ma quando il sistema funziona Dawn of War III è capace di dare al giocatore numerose soddisfazioni tattiche. Completa il tutto un comodo strumento “Army Painter”, utilizzabile per personalizzare fin nei minimi dettagli i colori della propria armata preferita, o anche per adottare i colori di uno schieramento preesistente, magari uno di quelli ufficiali di Games Workshop come i vari capitoli storici degli Space marine.

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C’è però un rovescio della medaglia: gli eroi e le dottrine vanno sbloccati con un sistema di punti, chiamati “teschi”, ottenuti completando le missioni della campagna a giocatore singolo oppure i match in multiplayer. Appare chiaro fin da subito che sbloccare tutti i contenuti disponibili si rivela un’impresa decisamente poco allettante, data la scarsa quantità di teschi ottenibili per ogni partita, forzando il giocatore (almeno all’inizio) ad operare delle scelte oculate nei propri acquisti e sacrificando, magari, quella voglia di sperimentare che tale meccanica invece suggerirebbe. Si tratta, a tutti gli effetti, di uno scomodo quanto banale grinding che, di fatto, viene già malvisto dalla stragrande maggioranza della community online. Non aiuta, in tutto questo, un sistema di punti esperienza per ogni singolo eroe che diventa presto banale e poco approfondito.

Un aiuto per i giocatori meno pazienti può arrivare dalla campagna single-player, che permette di accumulare nel corso delle sue 17 longeve missioni un discreto numero di teschi e punti esperienza per gli eroi. La trama, tuttavia, si rivela ben presto incapace di tenere incollato il giocatore allo schermo: il plot centrale è ordinaria amministrazione, con le tre razze protagoniste alla ricerca di un misterioso artefatto, la Lancia di Khaine; tra tradimenti telefonati, pathos non pervenuto e personaggi tagliati con l’accetta (anche se i fan della saga saranno senza dubbio lieti di rivedere vecchie conoscenze come Gabriel Angelos e la veggente Eldar Macha), la trama non si discosta nemmeno di un millimetro dal tipico intreccio di qualsiasi romanzo di Warhammer 40K, né per tematiche né per tono. Di buono c’è la sempre attenta ed encomiabile ricostruzione dell’universo originale da parte di Relic, sia nel design estetico che in quello sonoro, ma dagli sceneggiatori dello studio, capaci come sono visto il loro portfolio, ci si aspettava indubbiamente qualcosa di più.

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Se c’è una cosa che la modalità storia di Dawn of War III è però capace di offrire è ecletticità e dinamismo: ogni missione incarica il giocatore di assumere il comando di una fazione diversa, alternando continuamente tra le tre disponibili, mentre il level design offre continuamente spunti strategici inediti, presentando di continuo nuovi obiettivi e rovesciamenti di fronte. Nonostante la lunga durata dei singoli scontri – le missioni più lunghe possono durare anche fino a due o tre ore – i momenti di noia sono assai rari, a dispetto dell’esilità dell’intreccio. Considerando la mediocrità con la quale, solitamente, vengono confezionate le campagne in solitaria in un normale RTS, è senza dubbio piacevole vedere una tale attenzione riposta nella strutturazione degli stage e nel modellare un’esperienza che sia qualcosa di un più che un mero anticipo del multiplayer.

Proprio la modalità online sarebbe, nelle intenzioni degli sviluppatori, il fulcro centrale dell’esperienza di Dawn of War III: dato che i giocatori raccolgono risorse conquistando i punti di controllo sparsi lungo la mappa, i match risultano quasi sempre particolarmente votati all’attacco, invitando costantemente all’azione in prima linea e ad uno stile di gioco aggressivo e audace, pena la carenza di risorse necessarie per proseguire. In particolare nelle partite con più giocatori (sono presenti modalità 1v1, 2v2 e 3v3) adottare un tale comportamento è assolutamente necessario. Per quanto Relic abbia concentrato gran parte dei propri sforzi sull’offerta multigiocatore di Dawn of War III, tuttavia, la scarsa varietà di mappe e modalità di gioco non gioca a favore del titolo, poiché le 8 mappe presenti sono completamente dedicate ad una specifica modalità incentrata sulla cattura del nucleo della fazione avversaria, in maniera non dissimile da quanto avviene in un qualsiasi MOBA. E in effetti, le suggestioni provenienti da tale genere hanno radici ben profonde un po’ in tutta la struttura di gioco.
 

 
C’è, in Dawn of War III, la costante sensazione di essere di fronte ad uno strano mostro di Frankestein, una creatura non ben formata in tutte le sue parti. Alcune di queste sono anche troppo complesse, altre invece colpevoli di eccessiva semplificazione: la microgestione dei propri soldati è a livelli francamente eccessivi, e tra tre eroi in campo contemporaneamente e diverse abilità attivabili per l’esercito in campo si finisce spesso per non riuscire a tenere traccia di tutte le variabili. Sono sparite le coperture e il sistema di morale che caratterizzavano le precedenti iterazioni della serie, tagliando via un elemento che contribuiva a distinguere la serie dalla concorrenza, mentre le truppe normali spesso si rivelano decisamente troppo deboli di fronte alla potenza quasi smisurata degli eroi, verso i quali è stato posto un accento forse troppo eccessivo. In questo rimescolamento costante degli stilemi del genere RTS, Relic sembra aver perso qualche pezzo per strada, confezionando una formula ibrida che mostra il fianco a diverse lacune. Tale formula ha comunque del potenziale, e c’è da sperare che Relic riesca a correggere il tiro con espansioni e aggiornamenti costanti, anche data lo scarso numero di fazioni disponibili: perché, se è pur vero che i tre schieramenti presenti sono sufficientemente caratterizzati e differenziati, è anche vero che l’universo di partenza è capace di offrire una vasta scelta di eserciti di ogni genere, finora non presenti in alcun modo.
 
Sul piano artistico ed estetico, invece, non si può proprio impuntare nulla agli sviluppatori. A dispetto di un livello di zoom troppo poco profondo, che non permette di godersi pienamente i modelli dei personaggi, Dawn of War III è spesso e volentieri un vero spettacolo visivo, che diventa quasi morboso nella brutale violenza dei combattimenti: interi ranghi vengono spazzati via in pochi secondi in un tripudio di sangue ed effetti speciali, mentre le animazioni – sebbene di gusto quasi cartoonesco, come vedere uno Space Marine in armatura pesante che fa capriole in aria – sono di eccellente fattura; le basi degli Orki sono dotate della roboante aggressività tipica di questa razza che rende le strutture quasi vive, laddove gli Eldar sono perfettamente caratterizzati con la giusta esotericità. Tanti altri tocchi di classe, piccoli e grandi, rendono Dawn of War III un degno tributo al materiale di partenza, il tutto grazie al motore proprietario di Relic, l’Essence Engine 3.0, capace di dipingere scenari visivamente convincenti con un buon numero di texture e un’adeguata illuminazione.

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Uno strano esperimento, questo Dawn of War III, costantemente in bilico tra tradizione e innovazione, tra rispetto del passato e tendenze da novello Esport sulla scia degli esponenti di più ampio successo. La struttura di base è buona, anzi ottima, ed è impossibile non esaltarsi di fronte all’eccellente caratterizzazione delle fazioni in gioco, ai poderosi eroi disponibili e al puro fragore di scontri capaci di far tremare la terra; la voglia costante di ibridazione rappresenta, tuttavia, anche il punto più debole del titolo, con frequenti sbilanciamenti, semplificazioni davvero non necessarie e a una certa mancanza di rifinitura nei suoi meccanismi. C’è, se Relic si dimostrerà sufficientemente operosa, un gran potenziale per diventare un classico del genere, grazie al carisma del setting e all’ampio spazio visibile per modifiche, raffinamenti ed espansioni quantomai necessarie. Nel frattempo, non rimane che godersi un titolo volenteroso che trova la sua forza in un design che sfida le convenzioni degli RTS, eterogeneo a sufficienza per soddisfare numerosi palati.