In quel variegato bosco che erano le riviste cartacee degli anni novanta dedicate ai videogiochi, capitava non di rado di vedere nella sezione anteprime le immagini, anzi spesso solo una e un po’ sfocata, di un nuovo videogioco svelato nelle sue prime fasi dello sviluppo, correlato da poche righe scritte da un redattore alle prime armi che aveva tradotto in modo raffazzonato quel poco di informazioni che arrivavano dall’estero; alcuni di questi videogiochi, con il tempo, facevano perdere le loro tracce tra l’indifferenza dei più, che tanto l’attenzione dei lettori era sempre rivolta alle novità di prossima uscita, mentre la notizia della cancellazione di un gioco al massimo veniva relegata ad un trafiletto.



La lista di videogiochi annunciati che poi non hanno mai visto la luce è lunga, e spazia da casi più sconosciuti a nomi decisamente più altisonanti saliti alla ribalta mediatica, come il Silent Hills di Konami o lo Scalebound di Platinum Games; i motivi che portano una compagnia alla difficile decisione di cancellare un progetto possono essere molteplici, dai problemi tecnici al fallimento dell’hardware di destinazione, dallo scarso interesse dimostrato ai problemi di natura finanziaria di una o più parti coinvolte.

Fondata nel 1986 da Ryuichi Nishizawa e Michishito Ishizuka, la compagnia Westone Bit Entertainment conosce già con il suo primo arcade, Wonder Boy, un immediato successo, attirando il favore di Sega che decise di prenderne i diritti per portarlo prima sulla sua console di esordio, ossia l’SG-1000, per poi farlo diventare una hit con una conversione più fedele per il successivo Mark III/Master System al fianco di Alex Kidd.
La serie va avanti con vari capitoli, ampliandosi verso l’adventure con i vari Monster World apprezzati da critica e pubblico, ma dopo il 1991 le attenzioni di Sega si spostano ovviamente verso un certo porcospino blu, concepito in casa per essere la mascotte perfetta del Mega Drive, e la serie dopo cinque giochi giunge ad un punto fermo.



Westone porta avanti alcuni accordi con Hudson Soft ma una nuova hit latita, Nishizawa inizia a sviluppare un nuovo gioco arcade per la Sega System 18, una scheda “intermedia” tra la storica System 16 e la successiva System 32, con appena nove giochi all’attivo (tra cui Michael Jackson’s Moonwalker e Shadow Dancer) , ma che poteva vantare un’ottima scelta di opzioni di colori, un suono migliore della System 16 e lo stesso VDP (Video Display Processor) montato nel Mega Drive, fattore che avrebbe reso teoricamente semplice il processo di conversione, ma di contro non era una scheda semplice da domare per i programmatori, a detta di Nishizawa, a causa della sua peculiarità.



Tokei Jikake no Aquario è un classico platform d’azione 2D che inizia a prendere forma nell’estate del 1993, quando Westone decide di effettuare dei location test in alcune sale giochi selezionate di Ueno e Shinjuku, ma nonostante la grafica fosse davvero splendida, l’accoglienza sul gioco da parte dei giocatori fu tiepida. Grazie ad alcune testimonianze giunte fino a noi sappiamo che nella sua prima build Clockwork Aquario prevedeva tre tasti, oltre all’attacco e al salto il giocatore poteva decidere quando attivare l’invincibilità una volta riempita una specifica barra, ma già nella revisione di agosto 1993 questa opzione venne tolta in favore di un power-up simile alla stella di Super Mario World, mentre la barra di invincibilità viene sostituita da una nuova che permetteva di guadagnare una vita extra con la raccolta delle gemme, gli sviluppatori notarono infatti che molti si lamentavano della sua difficoltà e non riuscivano a battere il secondo boss. Da queste modifiche la struttura di gioco rimane pressoché invariata, ma Westone non se la sente di completare lo sviluppo e rischiare un lancio nel vuoto, decide quindi di staccare la spina al progetto, ritenendo che in pieno boom di videogiochi di combattimento e con il 3D alle porte questo genere di platform non avrebbe trovato appeal tra i cabinati più popolari; nel 1994 sembra calare quindi il sipario sull’ultimo gioco arcade di Westone, impegnato nel frattempo su Monster World IV.
 

Nel 2006 accade però che la colonna sonora, composta da Shinichi Sakamoto, viene pubblicata sotto etichetta EGG Music, e nei vari forum si inizia di nuovo a parlare di questo misterioso Clockwork Aquario. Westone chiude i battenti nel 2014, ma il codice sorgente del gioco, stipato in un MO Disk (un miracolo conoscendo l’abitudine dei giapponesi di gettare tutto), viene ripristinato e trasferito su HDD da Nishizawa rendendo possibile l’opera di ripristino. Le tedesche Strictly Limited Games e ININ Games si fanno avanti, ciò che non era disponibile, come alcuni elementi grafici e sonori, viene ricostruito non senza difficoltà con il supporto di alcuni ex sviluppatori tra cui lo stesso Nishizawa, e Clockwork Aquario vede finalmente la luce nel 2021 per i sistemi PlayStation 4 e Nintendo Switch in tutto il suo splendore grafico.
I colori e le animazioni sono infatti la prima cosa che risaltano, Westone poteva vantare su alcuni dei migliori grafici sulla piazza, come dimostra Monster World IV, uno de giochi esteticamente più belli pubblicati per Mega Drive; Clockwork Aquario sembrava prefissarsi lo scopo di portare la System 18 davvero ai suoi limiti con una palette di colori brillante e un compendio di animazioni curato fin nei minimi dettagli. Similmente a Ghost ‘n Goblin i tre personaggi, il ragazzo Huck Rondo, la ragazza Elle Moon e il robot Gush, possono subire un massimo di due danni, dopo il primo danno ne vediamo il buffo effetto sul loro sprite, l’ultimo addirittura perde la testa ma può continuare imperterrito la sua corsa finché non viene colpito una seconda volta o non trova un oggetto curativo.



Nella schermata di selezione dei personaggi vediamo Elle Moon in canottiera e vestirsi una volta scelta, Clockwork Aquario è così, impregnato di quella carineria giapponese anni novanta tipica delle produzioni Taito o Hudson Soft, mentre sul gameplay effettivamente non c’è poi molto da dire, è un classico action side scrolling, con possibilità di giocare in cooperativa, come ne esistevano tanti all’epoca, la scelta di cancellarlo all’epoca forse non era così campata in aria ma si sa, oggi siamo nell’epoca del revisionismo in cui anche un piccolo progetto 2D merita la pubblicazione, starà poi a noi giudicare, anche perché il gioco Westone è comunque davvero divertente. Clockwork Aquario ha questa meccanica di stordimento, cattura e lancio dei nemici che ricorda non poco Klonoa: Door to Phantomile (1997), come nel caso del platform di Namco è infatti possibile lanciare un nemico in quattro direzioni per colpire in sequenza altri mostri oppure i palloncini disseminati per i livelli, allo scopo di creare catene e aumentare così il proprio punteggio. Alcuni rilasceranno le gemme o la stella dell’invincibilità già citati in precedenza, fare piazza pulita in Clockwork Aquario ripaga.

Una volta presa confidenza con i salti e le hitbox, non sempre chiarissime specie per alcuni boss, i cinque livelli si bruciano in una mezz’ora, questa versione dà la possibilità di finirlo con 9 crediti (facile) oppure con 5 (normale), percorso per nulla proibitivo per chi ha una minima esperienza di giochi arcade. Il pacchetto include la modalità arcade che permette di smanettare con le impostazioni, il minigioco per due giocatori e una galleria contenente bozzetti, illustrazioni e player musicale, il tutto tradotto nelle principali lingue europee.
 
 
Clockwork Aquario è archeologia videoludica nella pura accezione del termine, un artefatto perduto della Westone anni novanta che viene ripristinato, ricostruito pezzo per pezzo e reso disponibile postumo in tutto il suo splendore da System 18. Dissezionare l’opera di Ryuichi Nishizawa, che nondimeno per quello che dura dimostra di avere le sue qualità, come si farebbe con l’ultima novità di mercato è quasi un atto superfluo; quella operata da Strictly e ININ è un’operazione di restauro più simbolica che altro, nei confronti di una piccola gemma che, non trovando spazio in un mercato come quello del 1993, si ridesta nel 2021, in un mondo cambiato, su hardware infinitamente più potenti ma anche oltremodo più accoglienti quando si tratta di ricerca e valorizzazione del passato.