Dopo aver lasciato la città di Kirchen Bell ed essersi messe in viaggio, Sophie e Plachta giungono al cospetto di un imponente albero, del tutto identico a quello che Plachta aveva visto in sogno, quando improvvisamente le due vengono risucchiate da un violento vortice, separandole.
Sophie si risveglia in un luogo sconosciuto, soccorsa da una vivace ragazza di nome Alette, scoprendo di essere stata catapultata in un misterioso “mondo di sogni” chiamato Erde Wiege; il primo pensiero di Sophie però è ritrovare la sua amica Plachta, e non passa molto tempo prima che venga a sapere nei pressi della città opera un’alchimista che ha proprio questo nome. Una volta giunta al suo atelier però scopre che questa Plachta non è la stessa Plachta che conosce, bensì un’altra persona, apparentemente più giovane, anche se, in un certo senso, Sophie avverte in lei un qualcosa di familiare.

Colpita dalla sua determinazione e incuriosita dalla sua vicenda, la Plachta di Erde Wiedge decide tuttavia di aiutare Sophie a ritrovare la sua amica, ospitandola e permettendo all’alchimista di utilizzare il suo atelier. Tra incontri sorprendenti, inclusa una sua vecchia conoscenza, e nuove conoscenze alchemiche, Sophie sarà chiamata a svelare i misteri di questo mondo onirico per ricongiungersi con Plachta e ritornare nel suo mondo.

 

Dopo il toccante Blue Reflection: Second Light, come da sua tradizione Gust riprende immediatamente il suo franchise timoniere, e lo fa con un ritorno a tratti inaspettato, riprendendo quell’Atelier Sophie: The Alchemist of Mysterious Book che nel 2015 fece debuttare la serie su una giovane PS4, mentre il qui presente sequel potrebbe salutarla, o forse no, conoscendo l’indolenza dei developer giapponesi ad abbandonare un hardware di successo. Se Atelier Ryza ha portato la popolarità della serie su livelli mai raggiunti (anche se purtroppo non ancora sufficiente da convincere Koei Tecmo ad investire in una traduzione in più lingue), Atelier Sophie 2: The Alchemist of the Mysterious Dream dal canto suo si presenta come un gesto di affetto nei confronti dell’utenza storica, quella che la sostiene dai tempi in cui in questi giochi si combatteva principalmente contro le scadenze di calendario e i viaggi da ponderare. L’elemento fan-service pervade perciò la 23° iterazione delle alchimiste, ma è un tipo di fan-service positivo, mai troppo ostentato, sotto certi aspetti simile ad Atelier Lulua ma allo stesso tempo profondamente diverso, tramite il quale troviamo dinamiche narrative e di gameplay moderne in una confezione nostalgica. Il connubio trova la sua forza nella simbiosi tra l'inusuale collocazione spazio-temporale della vicenda e i compenetrati canoni della serie, composti di scenette slice of life, avventura e climax fantasy.
 

Sophie 2 sceglie prevedibilmente un ritmo pacato riprendendo effettivamente i toni della serie Mysterious, e nonostante una certa semplicioneria nella caratterizzazione dei singoli, pericolosamente visibile anche in una protagonista impostata su di un modello decisamente amalgamato, la curiosità per questa nuova avventura di Sofia rimane inalterata, con la nostra rossa che guadagna un rinnovato campionario di espressioni, grazie all’esperienza tecnica maturata nei due Ryza e in Blue Reflection. Si ha comunque l’impressione di impersonare un’alchimista votata al suo pubblico e pedina per una continuity, piuttosto che di una compiuta, singola storia, che sappiamo si concluderà solo in Lydie & Suelle, anche se il gioco è grosso modo godibile a se stante. Cosicché questo secondo Atelier avulso da una origin story, per quanto narrativamente più solerte e originale del raffazzonato Ryza 2, in raffronto ai classici non imprime forse con la stesso intimismo la sua eroina nel meccanismo degli eventi, rendendola piuttosto un ingranaggio di una vicenda più corale, il che può essere positivo o meno a seconda dei punti di vista, certo è che bisogna compiere uno sforzo non da poco per calarsi in un nuovo contesto in cui spazio e tempo vanno un po’ per i fatti loro.
 

Sophie si conferma comunque un buon personaggio, graziosa quanto basta, sognatrice ma anche realista, gentile ma non per questo servile, alla richiesta della sua amica Alette di realizzare un oggetto lei risponde con un deciso “non posso farlo gratis, l’alchimia è il mio lavoro”; qui sta tutta la filosofia gaudente, a tratti materialista, dei giochi Atelier, dove anche in un mondo come quello di Erde Wiege nessuno è tenuto a regalarti nulla, e il successo di Sophie è probabilmente dovuto, oltre alla sua indiscutibile carineria, anche nell'incarnare perfettamente canoni estetici e di pensiero della serie.

La narrazione procede quindi per addizione, tra improbabili incontri e la scoperta di un mondo che si scopre non essere così perfetto come vorrebbe la sua creatrice, in cui a lasciare il segno non è tanto la missione principale in sé (che rimanda al viaggio di Ayesha alla ricerca di sua sorella, priva però di quella soffusa malinconia di fondo che solo la trilogia del crepuscolo sapeva dare), bensì le varie situazioni di contorno, in primis il rapporto con la loli Plachta - più che con Ramizel -, che vede Sophie come una rivale, risultando alla fine più interessanti della visione edificante della protagonista, inquadrata come da copione nella sua funzione di elemento riparatore verso ciò che la circonda.
 

Tra conferme e novità, Gust se la cava egregiamente sul piano del gameplay, dimostrando di saper fare suoi, reinterpretandoli, meccaniche del passato migliorandole per l'occasione. Su tutti il ritorno al Pannello di sintesi per la creazione di oggetti, che rende il processo una sorta di puzzle game di elementi ed effetti, qui reso ancora più profondo con l’innesto di catalizzatori atti ad aggirare alcune sue regole, permettendo così di avere creazioni sempre migliori.
Sia Sophie che Plachta si cimenteranno al calderone, con la prima che parte da un livello alchemico decisamente superiore alla sua collega, le due condividono la maggior parte delle ricette, mentre alcune richiedono esclusivamente l’impiego di una o dell’altra. Queste si sbloccano compiendo delle specifiche azioni, di raccolta e di caccia, oppure creando oggetti con determinate caratteristiche, il taccuino consultabile nell’inventario, simile ad un albero delle abilità, è fortunatamente molto chiaro a riguardo illustrando precisamente quali materiali sono necessari e dove trovarli per sbloccare la ricetta che ci serve, almeno nella prima metà dell'avventura (dopo diventa più criptico). 
Di conseguenza si tornerà spesso sui propri passi in Atelier Sophie 2, come da tradizione della serie, anche se questo capitolo rende le esplorazioni più varie e stimolanti. Ciò grazie anche all’introduzione delle Dreamscape Stone, ossia degli oggetti speciali che sono in grado di cambiare il meteo in una zona, modificando non solo la fauna di mostri, come avveniva nei precedenti Atelier con il ciclo giorno/notte, ma anche la conformazione stessa dei luoghi, alzando e abbassando ad esempio il livello dell’acqua con la pietra della pioggia, oppure ghiacciando tutto con quello della neve per attraversare laghi e fiumi, una meccanica di manipolazione ambientale che riporta alla memoria alcuni The Legend of Zelda.
 

A conferma della sua inclinazione tradizionalista, Atelier Sophie 2 torna ad un sistema di combattimento a turni, mettendo quindi, almeno momentaneamente, da parte il real-time visto in Atelier Ryza e seguito; lo fa nel modo migliore possibile, applicando notevoli migliorie rispetto sia ad Atelier Lulua quanto all’originale trilogia Mysterious. L’assetto a sei personaggi, tre di avanguardia e tre nelle retrovie, i quali si scambiano posizioni per difendere un compagno (Support Guard) o effettuare una combinazione di skill (Twin Action), trova in realtà le sue radici nella trilogia Dusk, ed è un ritorno gradito, anche se l’efficacia delle abilità tende a rendere il gioco un po’ meno dipendente dagli oggetti alchemici e più simile ad un normale jrpg, rispetto agli Atelier del passato, quantomeno nelle battaglie più semplici, mentre per i boss saremo chiamati a tirare fuori le nostre creazioni migliori. I mostri più forti dal canto loro possono munirsi di una barriera di Aura che rende inefficaci buona parte degli attacchi, questa dovrà essere distrutta colpendo il nemico sfruttandone la debolezza elementale, altrimenti, in caso contrario oltre a subire un danno irrisorio effettuerà un fastidioso contrattacco automatico.
 

Per questo capitolo Gust si è prefissata lo scopo di alleviare il più possibile la transizione tra esplorazione e battaglia, che parte davvero in una manciata di secondi rendendo l’esperienza molto più scorrevole, su PS4 il gioco si è dimostrato fluido anche se ogni tanto si presentano dei mini caricamenti che fermano il gioco quando meno te lo aspetti, una cosa che accadeva anche in Blue Reflection: Second Light, evidentemente è uno spigolo tecnico intrinseco nel motore di casa. Graficamente Atelier Sophie 2 si difende bene per quanto riguarda modelli dei personaggi, evocative scenografie con cromatismi annessi, vestiario assurdo. Tuttavia, nel momento in cui si volge un più ravvicinato sguardo verso ciò che ci circonda, si notano elementi, quali cespugli e flora in particolare, di livello Arceus e che meriterebbero maggiore attenzione; dopo i passi avanti compiuti dal primo Ryza la serie inizia insomma già a mostrare il fianco, non avere tutto questo timore di passare a PS5 darebbe già un decisivo impulso verso il prossimo step tecnico. Non delude invece il comparto sonoro, che conferma la squadra di compositori della trilogia Mysterious a garantire continuità stilistica.
 
 
Atelier Sophie 2 procede con una variazione sul tema formativo, chiamando in causa i sogni e catapultando le sue due protagoniste in questo mondo dove passato e presente della serie Mysterious si intersecano. Tuttavia, se da una parte gli consente di lavorare su un immaginario consolidato sul versante emotivo, dall’altra lo mette in una posizione non comoda per il fatto di doversi confrontare con un modello narrativo da “mid-quel” e quindi aperto al rischio forzature. L’entusiasmo infuso e le migliorie strutturali in questo sequel sono però tali, da parte di Gust, da riuscire a superare alcune stravaganze di sceneggiatura e dunque di prendere forma e sembianze tramite personaggi e luoghi di immaginazione, in un bizzarro intreccio temporale che fa apparire tutto nuovo e vecchio allo stesso tempo, in attesa di conoscere la prossima generazione di alchimiste.