Cinque mesi dopo la conclusione della Guerra del Crepuscolo, tra le fila dell’esercito di Erebonia cova un sentimento di scoraggiamento a causa dalla rapida conclusione della guerra, non sono pochi i soldati convinti che gli eventi che hanno seguito l’operazione Jormungandr abbiano ridicolizzato la potenza e la tradizione militare dell’impero. Crossbell ora è riconosciuta finalmente come uno stato indipendente, tutta la città è in fermento per la cerimonia che prevede la firma di indipendenza; data l'importanza di questo evento, è prevista la partecipazione di ambasciatori e rappresentanti di Erebonia, di Liberl, della Gilda Bracer e della Chiesa Septiana. Lloyd e la Special Support Section pattugliano la città insieme Noel Seeker della CDF e Wazy, ma proprio quando Henry MacDowell sta per porre la firma sul trattato, accade qualcosa, un evento che fa di nuovo precipitare Crossbell City nella disperazione...
 
The Legend of Heroes: Trails into Reverie

Le notizie di Crossbell arrivano velocemente fino alla remota Ymir, dove gli ex membri della Classe VII Juna, Musse, Kurt, Altina e Ash, si stanno allenando insieme al loro istruttore Rean, Claire e il “Thunder God” Matteus Vander, che nel corso del duello non tratta di certo suo figlio Kurt con i guanti. Nei pressi del villaggio il gruppo incontra inoltre un gruppo di Magic Knight Ortheim, presagio dell’apparizione di un Divine Knight, tra l’altro notevolmente potenziati, ma riescono a sconfiggerli grazie al prezioso aiuto di Matteus. La stessa sera Claire riceve una comunicazione urgente: la Couragous II, con a bordo il principe Olivert e sua moglie Scherazard Harvey, risulta scomparsa, qualcuno che si fa chiamare "C" avrebbe rapito la coppia regale e che il "fango" sotto Heimdallr sarà il prossimo obiettivo. Rean decide quindi di indagare dirigendosi verso la capitale.
 
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Dopo la parentesi, come vedremo doverosa, dei due capitoli ambientati a Crossbell, NIS America riprende la serie The Legend of Heroes laddove si era interrotta, ormai quasi tre anni fa, con gli eventi del fluviale Trails of Cold Steel IV. Nihon Falcom continua a comporre la sua epopea sul fine equilibrio che lega la novità alla ciclicità, affiancando in questo caso Rean, l’eroe della precedente saga, ad altri due protagonisti: Lloyd Bannings della SSS e il misterioso “C”. L’intenzione già traspare nell’emozionante prologo, in cui Crossbell vede soffiarsi la sua tanto agognata indipendenza con un colpo di teatro che mette di nuovo a nudo l’instabilità del continente di Zemuria, gettando nello sconforto Lloyd e i suoi compagni che tanto si sono prodigati per la libertà del loro paese.
 
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Hajimari no Kiseki introduce nella serie la tri-partizione delle linee narrative, le quali si intrecciano in maniera inizialmente casuale, arricchendosi e risignificandosi l’un l’altra, seppur vi sia palesemente una regia occulta dietro questi intrecci, puntando a immergere i giocatori nella realtà dei protagonisti, siano essi volti noti o nuovi. Il mondo però sta cambiando e se la realtà in cui i personaggi della tetralogia Cold Steel si ritrovavano era in primis quella maturazione, sullo sfondo della guerra e di intrecci politici, ora veniamo immersi in una realtà sempre più mistica, a tratti quasi inafferrabile, decisamente ricca di elementi sci-fi e ultraterreni. Tutto questo potrebbe rendere palesemente arduo un amalgama uniforme con il racconto, laddove prima coincideva con la prospettiva del singolo gruppo di eroi, qui lo scenario si allarga in modo esponenziale, rischiando di far mancare l’afflato intimista, in favore di una trama a più livelli dai continui cambi di fronte, anche se Falcom è stata questa volta abile, forse più di Cold Steel IV, a non soffocare il giocatore di troppi elementi, mettendo in scena, ad esempio, 5/6 personaggi per volta.
Questo almeno fino a quando non si entra nel Reverie Corridor, un luogo non-luogo in cui il gioco, con il rischio di spezzare la narrazione, si apre a tutte quelle attività secondarie, altrimenti assenti, composti da un dungeon a più livelli, dove utilizzare e potenziare a piacimento tutti i personaggi, minigiochi (come il delirante Magical Alisa) obiettivi secondari e una sorta di finto sistema gacha che permette di ottenere nuovi Orbment, accessori, oggetti cosmetici e storie extra chiamati Daydream, che ricordano i Doors di Trails in the Sky the 3rd.
 
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Tramite questi episodi c'è l'intuizione di approfittare della moltitudine di aneddoti presenti per fare vivere sullo schermo punti di vista del tutto inediti; un Kurt che si traveste da studentessa per indagare nell’accademia St. Astraia, oppure una Millium che vuole recuperare il suo amato Lammy, i Daydream sbloccabili nel Reverie Corridor, apparentemente scollegati dalla trama principale, sono occasioni per gli sceneggiatori Falcom di dare libero sfogo a quella consueta fascinazione per la commedia e dare spazio a quei personaggi che magari, nel marasma del Grande Crepuscolo, erano rimasti sullo sfondo. Così, un soggetto che vedeva inizialmente solo una divisione della polizia o una classe di cadetti affrontare eventi più grandi di loro, si fa racconto a suo modo corale, una volta di più, anticipando inoltre qualcosa sul futuro, che porta ovviamente a Calvard.
 
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La route di Rean dopo 1 ora di gioco


Tornando invece alla trama principale, vale la pena sottolineare le differenze che caratterizzano le tre route, sia in termini di ritmo che di atmosfera, trama che comunque rimane sempre abbastanza tesa, incalzante, priva di quei momenti distensivi dei precedenti capitoli, nei loro “free time”, da cui, forse, la necessità del Reverie Corridor, accessibile in qualunque momento, per “rifiatare”, per rilassarsi. Appurato che i membri della vecchia Classe VII, al di fuori dell’Ashen Chevalier, Divine Blade, Harem King e chissà che altro Rean Schwarzer, siano ormai prevedibilmente solo un contorno, quando non proprio dei camei, la nuova Classe VII regge ancora la scena, per quanto possa ormai considerarsi concluso anche il loro percorso formativo. Di conseguenza, le attenzioni si rivolgono maggiormente sul gruppo di Crossbell, da qui, l’importanza del recupero dei due capitoli a loro dedicati, il cui riassunto testuale disponibile nella schermata iniziale è utile ma chiaramente non sostitutivo di un’esperienza diretta. Falcom ha ritenuto doveroso dare a questi amati personaggi un ultimo, decisivo ruolo da protagonisti all’interno dell’intricato mosaico della saga di Zemuria, al punto che possiamo considerare Reverie come un capitolo aggiuntivo del Crossbell Arc più di quanto non lo sia per quello di Erebonia, a partire ovviamente dall’ambientazione.
 

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Terzo ma non meno importante scenario è quello di C, l’interesse verso questa route è indotto ovviamente dai nuovi personaggi, Nadia e Swin, che in realtà del tutto nuovi non sono dato che sono i due protagonisti di III & IX, una serie di libri collezionabili già in Trails of Cold Steel IV, narranti le loro origini, qui disponibili come extra nella schermata iniziale. La coppia non è il massimo della simpatia, in particolare Nadia, ma il loro ruolo di antieroi e l’amalgama con il misterioso uomo mascherato, la cui identità viene invero svelata abbastanza presto, effettivamente funzionano, grazie anche a Lapis, questa bambolina di fabbricazione Rosenberg un po’ vanitosa, il cui ritrovamento ricorda quello di KeA, in Trails from Zero, ma con risvolti totalmente differenti. La vicenda di questo improbabile gruppo, al netto di qualche cliché, unitamente al fatto che un personaggio “serio” come C si circondi, suo malgrado o meno, di ragazzini problematici (al gruppo si aggiunge presto anche Renne), facendolo apparire alle volte quasi come uno zio che porta in gita dei nipoti pestiferi, rende questo scenario quello più frizzante e imprevedibile da seguire.
 

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Il sistema di combattimento rimane sostanzialmente invariato rispetto a quanto visto nel precedente episodio, già a sua volta prelevato da Trails of Cold Steel III, con l’unica aggiunta, in questo caso, della United Front, una tecnica che coinvolge l’intero gruppo (incluse le riserve, per un massimo di dieci), effettuabile al prezzo dell’indicatore d’assalto suddividendosi in attacco, magia e cura, permettendo di ottenere preziosi buff o gestire una situazione critica. I Brave Order, se utilizzati sapientemente, rimangono tuttavia lo strumento più forte del gioco, dato che alcuni di loro sono in grado di conferire potenziamenti davvero vantaggiosi per svariati turni. A livello normale l’avventura principale risulta abbastanza semplice, per chi è avvezzo al suo sistema, il gioco tiene conto dell’enorme numero di personaggi e di conseguenza anche la quantità di Mira e di Sepith che si ottengono, necessari a sbloccare gli slot dei Quartz, è maggiore del solito, ma nelle difficoltà più alte chiaramente la musica cambia e il Reverie Corridor cela dei boss che non lasciano spazio a leggerezze.
Con ben cinquanta personaggi a disposizione la gestione stessa del party può risultare sfiancante, fortunatamente questo The Legend of Heroes aggiunge funzioni di quality of life a lungo richieste, su tutti la possibilità, tramite un menu apposito, di spogliare un personaggio, di qualsiasi scenario, dei suoi Orbment ed equipaggiamenti, e di riempire gli slot vuoti in modo automatico a seconda della preferenza “equilibrato”, “attacco”, “difesa”, “magia”, un po’ come i Junction di Final Fantasy VIII. Nonostante la storia principale sia leggermente più breve rispetto a quella del precedente capitolo, avendo meno divagazioni, a livello di contenuti Trails into Reverie è qualcosa di enorme, basti pensare che all’interno del Reverie Corridor sono presenti buona parte dei libri dei giochi precedenti, e anche la colonna sonora si comporta di conseguenza, variando in modo significativo tra una route e l’altra; questo capitolo non è solo l’atto conclusivo degli archi di Erebonia e Crossbell, ma un vero e proprio compendio alla serie, scaturendo in un post-game ricco di altre sorprese.
 

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Trails into Reverie si regge sul medesimo motore di gioco dei due precedenti, il PhyreEngine di Sony, sarà l'ultima volta prima del passaggio al nuovo engine di casa Falcom messo a punto per il successivo Kuro no Kiseki. Il team di sviluppo in realtà ha già testato in questo capitolo il nuovo engine in occasione di alcune cut-scene, in particolare con protagonista Lapis, oltre che per il finale, tali scene si riconoscono immediatamente non solo per lo stacco grafico e la fluidità delle animazioni, ma anche per il labiale sincronizzato con il doppiaggio. Testato sul suo sistema nativo, PlayStation 4, il gioco è risultato stabile, a parte la musica che ogni tanto salta, mentre su Nintendo Switch molti colleghi hanno evidenziato problemi di performance. Traduzione di buon livello e doppiaggio inglese notevole, per linee di dialogo, in alcuni casi vengono doppiati dialoghi che in giapponese sono muti. Il gioco importa i salvataggi dai precedenti episodi, conferendo alcuni bonus, e anche la waifu di Rean scelta alla fine di Trails of Cold Steel IV, pur dando la possibilità di cambiarla agli eterni indecisi.
 

 

ConTrails of Cold Steel IV pensavamo di aver visto tutto, ma quando Kondo dice che siamo circa al 60% non sta scherzando, e quando leggi che HoYoverse si ispira e continua ad ispirarsi a questa saga ne comprendi ancora di più l'importanza. L’ormai ventennale operazione narrativa di Falcom è una scommessa sulla sua capacità di ammaliare il pubblico, creare interi rpg da decine di ore che sono alla fine dei conti un’introduzione di storie che hanno il loro sviluppo in altri rpg da decine di ore, denota una fiducia nei propri mezzi quasi folle. Con questa sua fatica, attesa da noi occidentali per tre lunghi anni, Falcom percorre la via del multi-scenario, eliminando i tempi morti nello scorrere principale degli eventi, creando al suo posto il Reverie del titolo quale contenitore di meccaniche di divagazione, di potenziamento, di personalizzazione e contenuti, riuscendo a gestire la sovrabbondanza come pochi altri saprebbero fare. Ne giova il ritmo generale, tra facoltativo e non, lasciato così quasi interamente alla gestione del giocatore. E visto che Final Fantasy XVI non è un JRPG, non è un action, e sa solo quello che non è (magari è un gran videogioco e tanto basta), Trails into Reverie è senza dubbio il miglior JRPG dell’anno.