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"Se non dovessi farcela, sappi amore mio che vivrò per sempre nel tuo cuore, e ti aspetterò nell'aldilà, ti ho sempre voluto bene e sempre te ne vorrò..."
"Caro, devi solo operarti di unghia incarnita, non c'è bisogno di fare tutte queste scene, sii uomo!"

"Prof, non posso essere interrogato, vede... Ieri non sono riuscito a tornare a casa, l'autobus è rimasto senza benzina... Avevo una gomma a terra... Non avevo i soldi per prendere il taxi... La biblioteca non mi ha consegnato i libri! C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!"
"John, se non avevi voglia di studiare almeno ammettilo, sii uomo..."

"Oddioddioddioddioddio... non ce la faccio a dirglielo, ho troppa paura... e se poi mi dice di no?"
"Dai, si vede che le piaci, e lei ti piace, fatti coraggio e diglielo, sii uomo!"

Cos'è un uomo?
Cosa vuol dire essere uomini veri, è solo una sterile dimostrazione di forza bruta, di tracotanza fine a sé stessa, o è qualcosa di più profondo, di più importante?
Per saperlo dobbiamo tornare indietro di parecchi anni, e spostarci in Giappone, per vedere che stava accadendo da quelle parti in quel periodo.
Nel 1985 D.C., tutto il Giappone era stato conquistato dalla cultura occidentale. Tutto? No!
Nella periferia di Tokyo c'è una piccola scuola superiore che resiste ancora e sempre all'invasore, una piccola scuola di irriducibili Giapponesi, la Otoko Juku. Una scuola dove l'unico indumento di biancheria concesso è il fundoshi, dove cantare canzoni che non siano Kimi Ga Yo (l'inno nazionale Giapponese) e i canti di guerra è vietato, dove si affrontano prove terribili per forgiare gli animi più saldi e dove solo al secondo anno si cominciano a studiare le "terribili somme delle frazioni".
Sakigake!! Otoko Juku (conosciuto in Italia come Classe di Ferro-Otoko Juku) mostra le sue carte sin dal primo volume, e si può facilmente capire dove voglia andare a parare l'autore Akira Miyashita: azione, legnate, umorismo, mascolinità strabordante (soprattutto grazie ai disegni che molto devono a Tetsuo Hara e lo dicono anche abbastanza esplicitamente in un paio di scene) e genialità nell'inventarsi tante arti marziali, tante soluzioni assurde, tanti combattimenti con regole deliranti e pericolosissime, più qualche messaggio nascosto.

Chi conosce la storia Giapponese del Ventesimo Secolo sa che quello è stato un periodo di rivoluzione assoluta per il sol levante, dove la rigidissima cultura nipponica si è ritrovata a doversi aprire a quella delle altre nazioni, tra assolutisti che vedevano il nuovo come il demonio e i giovani, più aperti e ribelli, che abbracciavano queste novità, musicali, letterarie o culturali in generale.
Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku (personaggio assolutamente geniale e ben stampato nell'immaginario collettivo Giapponese) è per certi versi un ottimo punto di svolta per la gestione della sua scuola. Si è laureato all'Università Imperiale di Tokyo, ha combattuto nella seconda Guerra Mondiale, venendo poi venerato come un mito, e infine ha raggiunto la sua posizione all'interno dell'istituto, e qui, a poco a poco, pur mantenendo salde le radici di orgoglio nipponico che contraddistinguono l'edificio, si è aperto anche lui al resto del mondo, a una maggiore libertà pur rimanendo orgoglioso delle sue origini, per far si che i suoi studenti possano crescere anche in maniera migliore.
L'adattarsi ai tempi che cambiano pur non perdendo la propria identità storica è quindi una delle tematiche nascoste dietro alla fracassona trama di questo manga, e di pari passo va anche il tema del ricambio generazionale, un ricambio consapevole e da accettare per far sì che le nuove generazioni crescano nel modo giusto e raggiungano a loro volta la vetta, questo si noterà soprattutto nella seconda metà della serie, con passaggi di testimone tra senpai e kohai così commoventi da far percepire nel profondo quanto la fiducia verso le capacità degli uomini del domani dev'essere sentita, in quanto non è semplicemente il futuro che sostituisce il passato bensì dev'essere proprio il passato a farsi da parte per primo, lasciando comunque traccia di sé, un segno indelebile nell'eternità anche nelle generazioni successive.

Oltre al tema del rinnovamento "intelligente" e del ricambio generazionale, è un altro il tema che circonda la storia, senza dubbio il più sentito e più evidente, tanto da essere sottilmente ammesso dall'autore nel discorso in chiusura della serie: il tema dei legami tra le persone e della loro solidità.
Legami d'amicizia, d'affetto, d'amore, di stima e d'ammirazione, ma anche contrastanti, d'odio, di rivalità, di vendetta, d'invidia, sentimenti che possono legare amici, compagni di scuola, compagni d'armi, genitori e figli, fratelli, innamorati corrisposti e non corrisposti, persino uomini e animali, in quanto è pieno di combattenti che lottano al fianco di creature di vario ordine e grado e che li trattano come veri e propri figli o, nel caso dei più deplorevoli, solo come armi di cui sbarazzarsi quando non servono più.
Si tratta di una vera e propria analisi della vita adolescenziale in salsa combattiva, perché è quella l'età dei protagonisti, anche se non sembra, e loro vivono, come più o meno noi, lo stesso tipo di scoperta del rapportarsi con gli altri tipico dell'adolescenza, i legami d'amicizia coi compagni di scuola, il voler rendere orgogliosi i genitori o il volersi ribellare a loro rifilandogli uno schiaffo morale, gli amori dolorosi o meno, e anche il dolore nel perdere qualcuno, dolore che porta a crescere e maturare, se affrontato con lo spirito giusto, lo spirito della Otoko Juku, in fondo.
Inizialmente poi, si può trovare folle che la frase-tormentone "io sono Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku!" possa essere considerato un discorso con parole ricche di significato, ma chiuso il ventesimo volumetto italiano, si finisce per comprendere almeno un po' cosa voglia dire questa frase, di cui non spiegherò la mia interpretazione personale, lascerò alla mente di chi legge, finita la storia, fare le giuste supposizioni.
Le avventure di Momotaro, di Togashi, di Matsuo, Tazawa, del professor Orco Barbuto e di tutti quelli che verranno dopo saranno intensissime, senza mai un attimo di stanca, pur andando nella parte finale dell'opera (dal diciassettesimo volume Italiano in poi) a standardizzarsi un po'.

Sono purtroppo presenti alcune dimenticanze di trama che non generano incongruenze pesanti ma sono comunque da segnalare, come gente che recupera dita o braccia perse senza che venga detto niente su come ha fatto, ok che hanno le antichissime tecniche di medicina cinese dalla loro, ma un minimo di spiegazione sarebbe stato gradito.
È tutto sommato un peccato poi che la penultima saga si chiuda in un modo un po' frettoloso, per quanto comunque l'autore sia riuscito a mettere in piedi una conclusione divertente ed esaltante.

Il tratto di Miyashita è quanto di più anni '80 possibile, con personaggi maschili possenti e dall'aspetto adulto (e anche parecchio nerboruto) e, di contro, pochissimi personaggi femminili disegnati, dove non sono vecchiette comiche, in maniera aggraziata e con garbo, senza eccedere in maniera esagerata come sovente capita oggi, ma senza risparmiarsi in delicato fascino.
Il character design subisce un'impennata nel corso dell'opera, con personaggi assolutamente fuori dagli schemi ed estremamente diversi l'uno dall'altro: se all'inizio l'opera si basa solo su ciò che avviene all'interno della scuola, e quindi l'abbigliamento dei personaggi è ricco di ragazzi/omoni con le divise scolastiche lunghe e nere, proseguendo si avrà modo d'aver a che fare con antichi Egizi, Dei dell'Olimpo, citazioni ad altre famosissime opere dell'epoca o tizi talmente ben caratterizzati da ispirare in futuro personaggi di altre produzioni (Dhalsim e T.Hawk di Street Fighter sono nati qui).
Peccato solo il buon Akira seppur ricco di fantasia pecchi in attenzione di quando in quando, sono presenti infatti alcuni refusi (non troppo grandi in realtà) nell'aspetto di alcuni personaggi: cicatrici che vanno e vengono, per esempio, e in una scena il buon Tazawa riesce a tenere le braccia conserte e contemporaneamente massaggiarsi il mento con una terza mano.
Sono dettagli minuscoli, che di certo non rendono l'opera meno bella sotto l'aspetto grafico dove anzi eccelle ma che è giusto citare per dovere di cronaca.

L'edizione italiana dell'opera, a cura della Star Comics, è più breve dell'originale in quanto i volumi sono più grandi di quelli giapponesi ma la storia è stata pubblicata nella sua integrità.
L'adattamento è ottimo e divertente, per quanto da un certo punto in avanti (in corrispondenza con l'addio dei Kappa Boys alla Star, peraltro) c'è un calo qualitativo generale nell'adattamento e nel lettering, con refusi sia grammaticali che di natura più problematica (nel volume 17, il peggio adattato di tutta l'opera, viene detto che tre personaggi sono morti quando non lo sono e la frase era intesa come "sono rimasti loro e sono morti gli altri", oltre a esserci un grossolano errore di matematica, stavolta non colpa dei cattivi insegnamenti dei prof della scuola).
La carta utilizzata è solida e priva di trasparenze, e i volumi per quanto cicciosi sono resistenti.

Classe di Ferro-Otoko Juku si prefigge dunque un obiettivo chiaro e tondo (voler essere uno shonen ironico/iconico ricchissimo di combattimenti sì drammatici, sì seri, ma dotati di una vena delirante evidente, anche solo nelle descrizioni delle arti marziali, che se all'inizio sembrano serissime, poi diventano una chiara farsa da millantatore di quart'ordine e non si vergognano d'esserlo) e tanti obiettivi segreti (narrare una storia con un evidente invito al rinnovamento, sull'importanza del ricambio generazionale e sulla forza dei legami che si vengono a creare e sciogliere, nel bene e nel male, nel corso dell'adolescenza, o della vita in generale) sin dalla prima pagina e li centra tutti, finendo per stamparsi a chiare lettere nel cuore di chi ha saputo cogliere lo spirito della Otoko Juku e quindi lo spirito dell'opera, e si è affezionato a quei personaggi, tanto da sentirli davvero come loro compagni di crescita, e si stima il preside come se fosse il proprio, come un vero e proprio padre, anzi, una figura così calda, possente, seriosa e affidabile e così incredibilmente divertente e comica che è davvero impossibile non amare.
Una bellissima opera sfaccettata, con dei piccoli lati grezzi, ma con un grande cuore e un'atmosfera speciale, guascona fuori, dolce (una dolcezza mascolina e virile, ma sempre calda è) e matura dentro.
E soprattutto, divertentissima e comica come ormai non se ne vedono più.

Tratto da: Mille modi per elaborare una recensione sulla narrativa disegnata orientale nel corso dei secoli, pubblicato dalla Minmei Shobo