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9.0/10
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Satoshi Kon è tornato a sfruttare la sua tanto cara tematica tra sogno e realtà?
No, purtroppo Satoshi Kon è morto. Non fatevi ingannare dalla data di pubblicazione del volume post mortem. Opus si è concluso nel 1996 o meglio è stato sospeso dal fallimento della rivista Comic Guy.
Ma aspetta, Kon è veramente morto o lui è solamente un personaggio inventato nel fumetto?

"Chi è il vero Dio?
Il Creatore."

Sembrerebbe un inizio random, ma leggendo la sua opera tutto vi sarà più chiaro.
Si può tranquillamente affermare che Opus rappresenta i semi piantati da Kon per la sua carriera da regista. Infatti la dicotomia sogno-realtà presente in gran parte delle pellicole dell'artista ha inizio con Opus, ma diversamente da come spesso accade, Opus non è una grezza coesione di idee e tematiche successivamente sviluppate meglio. Esso infatti è per me la sua opera più riuscita.
E' un manga complesso, ma facile da seguire grazie al talento innato di Kon nel raccontare storie e la sua capacità di creare un nuovo mondo che è verosimile, ma allo stesso tempo pieno di buchi e in questi buchi si dà spazio alla fantasia risultando così un mondo di mezzo. Dunque la storia viene raccontata su tre livelli: quello reale, la fantasia e nel mondo di mezzo, che è il confine tra i due precedenti. La fantasia è l'amante ideale, è ciò che tu vorresti potesse sostituire il tuo mondo. Tutto ciò accade in Opus, ma in chiave meta-fumettistica, nel senso che si tratta di un fumetto che parla di un fumetto e la realtà di Opus si mischia, tramite i buchi(mancanze che il disegnatore, Chikara Nagai, non è riuscito a colmare per via della serializzazione), a quella di Resonance.
Resonance è il fumetto su cui sta lavorando il protagonista di Opus, Chikara Nagai, che ormai giunto alla fine non vorrebbe mettere da parte per sempre quella che lui considera una parte di sé, cioè Resonance. Dunque stressato da ciò, oltre ai normali stress da fumettista, entra letteralmente nel suo fumetto da una delle sue ultime tavole. Si ritroverà dunque in un mondo che conosce come le sue tasche o quasi (non conosce tanto bene le parti create dai suoi assistenti!), incontrerà persone che ha lui stesso creato, quindi la protagonista di Resonance, Satoco. Dover spiegare a qualcuno che è stato creato da te, anzi che lui in realtà fa parte di un fumetto, presentandoti dunque come un Dio, non è certo facile, di conseguenza si instaurerà subito un rapporto atipico basato sullo stupore e la ricerca della verità oltre all'alleanza per sconfiggere l'antagonista di Resonance.
Ciò che sta accadendo al protagonista è davvero la realtà oppure è un sogno? E se questa situazione si è verificata perché è proprio il fumetto a ribellarsi, anzi e se fosse uno dei suoi personaggi che ha poteri speciali a volere ciò? Ma come fa un fumetto a mettere a rischio la carriera di un fumettista per sua volontà? Già, perché Chikara non riuscirà più a disegnare la fine di Resonance per i sensi di colpa dopo aver vissuto la sua esperienza nel fumetto. Può un umano cambiare il volere di un Dio, il suo creatore? Perché mai Dio dovrebbe aver compassione per un qualcosa su cui ha avuto la totale consapevolezza da sempre? E' ancora definibile libero arbitrio l'impossibilità di opporsi agli eventi e lasciare che il destino si compia?
Grossomodo sono queste le domande che si pongono i personaggi di Opus, Resonance e il lettore. Tematiche esistenziali, ma che non vogliono imporsi come religiose perché lo scopo principale è sempre capire quale è la realtà e fin dove si espandono i suoi confini. La realtà ci aggrada oppure stiamo vivendo di sogni e false speranze? Riusciremo a mettere da parte la fantasia per potere affrontare al meglio la dura realtà come un uomo che finalmente taglia il cordone ombelicale che lo legava ancora alla mamma/famiglia?
Opus viene giustamente etichettato come "fumetto d'intrattenimento sperimentale ", infatti è piuttosto leggero e spontaneo, qualità che dà valore aggiunto alla verisimiglianza dell'opera, ma per i restanti 45 gradi complementari Opus è meta-narrazione, rottura degli schemi tipici di un fumetto.
Kon può vantare di un disegno che fa come suo riferimento principale lo stile di Katsuhiro Otomo, con cui ha anche lavorato, soprattutto per i sfondi dettagliati(seppur non lentamente accostabili ad Akira) e un character design abbastanza realistico. Non mancano neppure somiglianze visive con altre sue opere ad esempio Mei con Sera di Seraphim, il detective con Melchior sempre di Seraphim e così via.
Ad una classica regia di disegno cinematografica non mancheranno pagine che rompono la quarta dimensione, vignette che rappresentano allo stesso tempo Resonance "cartaceo" e Resonance "reale", zoom out che svelano la finzione sulla realtà, vignette rotte come uno specchio all'interno delle vignette, turbini di tavole che rappresentano il passato che scorre davanti agli occhi di personaggi finti.
Allo stesso modo la narrazione toccherà picchi di genialità a tre strati(fumetto nel fumetto nel fumetto, Opus che parla di X? Che parla di Resonance).
Opus è il tipo di fumetto che ogni fumettista vorrebbe aver scritto se ci tiene veramente al suo lavoro.
E' una sorta di 8 e ½ felliniano e Sunset Boulevard di Wilder, ma questa è anche l'unica pecca che mi sento di criticare: la troppa "linearità" e chiarezza, che poi è da ricercare nell'intento originale, ossia il fumetto di intrattenimento. Opus non è tanto lineare per un fumetto standard, ma lo è se si vuole fare qualcosa di sperimentale, secondo me doveva avere una narrazione criptica e surreale, quindi ritornando al meta-cinema doveva essere come Talking Head di Oshii o Inland Empire. Detto questo, non mi rimangio la frase sul talento narrativo di Kon, infatti con questa impostazione lui ha ottenuto il massimo risultato ottenibile.

Come potete notare Opus è incompiuto. Errato. Tenere da parte l'ultimo capitolo non pubblicato su rivista, perlopiù fatto di schizzi, non è altro che la sua volontà. E' la rappresentazione stessa di Satoshi Kon come fumettista, è il Chikara Nagai fatto carne, è il tema portante di Opus, che Kon ha reso anche materiale lasciandolo così. Finale più adeguato non esiste, è una di quelle opere d'arte che sono compiute a modo loro anche non essendolo. Ricordiamoci che è morto nel 2010, non nel 1996, quindi poteva anche finire di inchiostrare gli schizzi se proprio non voleva pubblicarli.
Per gli amanti del meta-fumetto e non, tanto vi travolgerà sin dalle prime pagine.