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Gli anni a cavallo del terzo millennio sono stati una seconda età dell'oro per l'animazione giapponese: un'epoca di anime impegnati e impegnativi. "Earth Girl Arjuna" di Shoji Kawamori non fa eccezione. È strano vedere Kawamori alle prese con un anime impegnato che tocca tematiche quali il divorzio, l'aborto, il rapporto genitori-figli, il rapporto uomo-donna, il rapporto tra l'uomo e la natura e quant'altro. È strano, eppure in quegli anni anche un anime come "Earth Girl Arjuna" era possibile, mentre al giorno d'oggi Kawamori ci propina 'ciofeche' come "Nobunaga the Fool". "Arjuna" conteneva già molte idee che avremmo visto successivamente nei vari "Aquarion" (l'aspetto mitologico, la filosofia Zen, perfino certe inquadrature degli insetti), incluso l'idea delle parole scritte rese visibili che è alla base di "Aquarion Logos". Ma mentre i vari "Aquarion" sono permeati di umorismo, "Arjuna" è serio, anzi serissimo e esistenzialista, tanto che sarebbe più corretto paragonarlo ad "Evangelion" piuttosto che ai lavori successivi o precedenti di Kawamori. Del resto, Kawamori e Anno sono amici ed escono dallo stesso sostrato socio-culturale: classe sociale medio-alta, genitori divorziati e/o assenti, adolescenze difficili, tutte cose che si vedono sia in "Evangelion" che in "Arjuna". Anzi, l'impressione che si ha è che "Arjuna" sia in una certa misura un'opera autobiografica, si respira un'aria di verità in certe scene, si ha l'impressione che Kawamori sappia quello di cui sta parlando. Questo è vero per tutte le scene dedicate ai protagonisti principali, ovvero Juna e il suo fidanzato Tokio: la loro storia d'amore è il vero motore della serie e quello che giustifica il mio apprezzamento.

Purtroppo, questa ottima parte intimista è circondata da un cumulo di affermazioni ambientaliste quantomeno opinabili. Per esempio, l'idea che le piante coltivate possano coesistere pacificamente con le erbacce è semplicemente falsa: dopo millenni di selezione artificiale (un altro nome per "agricoltura") le piante coltivate sono diventate troppo deboli per competere con le piante selvatiche: per vivere hanno bisogno dell'aiuto dell'uomo. Altra panzana è che gli insetti mangino solo le parti "cattive" delle piante. Oppure la "profondissima" domanda che viene posta più volta durante la serie, com'è possibile che insetti e animali sappiano cosa sia buono da mangiare e l'uomo no? Quando la risposta è ovvia, gli insetti e animali NON sanno cosa sia buono, mangiano tutto quello che capita loro a tiro e infatti muoiono quando bevono l'acqua inquinata: il colmo è che questo si vede nella stessa puntata in cui la domanda viene posta! Insomma, è una serie farcita di panzane mistico-ambientaliste che possono risultare difficili da sopportare per alcune tipologie di spettatori. Alla fine, la deriva mistica è completa e la serie sfocia in una visione panteista, in cui la natura si autoregola, che può risultare ingenua. È comunque interessante un discorso di Juna nella puntata finale: <i>Perché io mi sono sempre sentita non felice, non a posto, anche quando ero insieme a Tokio e tutto sembrava andare bene? È perché la Terra stava morendo, lo sentivo e non volevo ammetterlo</i>. Qui una persona scettica come me penserebbe invece che il motivo dell'insoddisfazione esistenziale di Juna non siano gli insetti dei campi uccisi dai pesticidi, ma molto più prosaicamente il fatto che suo padre se ne sia andato di casa con un'altra donna. Si tratta quindi di una serie che pone le domande sbagliate e dà le risposte sbagliate, ma presenta situazioni e personaggi estremamente indovinati. Inoltre, ha il grande pregio di far riflettere lo spettatore. Ce ne fossero adesso di serie così!