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Al primo impatto, “Koutetsujou no Kabaneri” apparve a moltissimi come una sorta di clone di “Shingeki no Kyojin”, o perlomeno un'opera fortemente ispirata a tale soggetto. È facile comprendere il motivo di questo parallelismo: l'umanità sotto assedio e costretta a difendersi in città fortificate (qui opportunamente collegate da ferrovie, con i treni corazzati come unico mezzo di spostamento), unita alla presenza di mostri che uccidono gli umani (qui i Kabane, zombie estremamente resistenti che possono diffondere la piaga con un morso), sono elementi che possono realmente far ritenere un'influenza di un'opera sull'altra (senza contare la speculare condizione dei protagonisti maschili). E, ovviamente, anche la presenza di Tetsurou Akari, regista dello stesso “Shingeki no Kyojin”, può rafforzare tali considerazioni. Tuttavia queste previsioni della vigilia si rivelano non del tutto corrette, in quanto l'opera aveva sì dei parallelismi, ma prevalentemente situati nel setting.

“Koutetsujou no Kabaneri “ effettivamente appare meno statico e meno incentrato sulla sopravvivenza dell'umanità, mentre l'elemento predominante è, almeno nella prima parte dell'opera, una “fuga per la salvezza”. Infatti, nelle primissime battute, la città dove vivono i protagonisti viene invasa dai kabane, e i pochi superstiti, guidati dalla figlia del capo della città, salgono a bordo del treno corazzato “Koutetsujou” al fine di tentare di arrivare in un luogo sicuro.
In queste prime battute facciamo conoscenza dei due personaggi più importanti dell'opera: Ikoma, un tecnico che riesce miracolosamente a scampare alla letale infezione dei kabane, e Mumei, una giovanissima ragazzina che, a dispetto della sua età, risulta oltremodo abile nell'eliminare i pericolosi nemici.

Nei primi episodi l'opera funziona discretamente bene, e su questi passaggi non c'è nulla da ridire: la fuga e le perdite appena subite mettono sotto pressione gli animi dei superstiti, e la convivenza è piuttosto difficile (specialmente per Ikoma, data la sua condizione). Vi sono anche degli ottimi combattimenti che, supportati da un comparto tecnico all'altezza, rendono questa sezione davvero interessante per gli amanti degli action. È in questa parte che gli elementi dell'ambientazione rendono meglio, per merito di alcuni spunti decisamente interessanti: l'utilizzo di tecnologia completamente basata sul vapore (che dà un sentore vagamente steampunk); i treni come fortezze corazzate, che viaggiano fra una stazione-città e l'altra; i Kabane, mostri antropofagi con un cuore, sede della loro forza vitale, completamente corazzato; e infine i Kabaneri, entità ibride nate da una trasformazione incompleta. Tutti questi elementi, nel loro insieme, rendono la prima parte della fuga il punto migliore dell'opera.

Tuttavia, dopo i primi passaggi, iniziano a palesarsi le prime problematiche. La primissima, e forse la meno grave, è la ridondanza della formula iniziale, con la ripetizione di “avvenimenti vari seguiti da combattimenti”. Questo non è un problema in sé (e anzi, uno schema tokusatsu non sarebbe stato inappropriato, visti gli elementi dell'opera), ma lo è in relazione alla lunghezza dell'anime, che conta soltanto dodici episodi. Ovviamente il desiderio degli autori è quello di raccontare una storia, e quindi avrebbero fatto bene ad essere più parsimoniosi col tempo a disposizione.
Ma questa criticità è presto spiegata da quelle successive: tutto ciò era una tergiversazione prima di arrivare alle parti più tranquille, che hanno iniziato a mostrare il vero tallone d'Achille della struttura, ovvero l'accoppiata Akari/Okouchi. Il primo è un regista talentuoso nelle scene d'azione e nei momenti concitati, ma che mostra più di qualche incertezza quando è chiamato a dirigere sezioni più tranquille (specialmente con la presenza di sceneggiature scricchiolanti). Il secondo invece è uno sceneggiatore alquanto sopravvalutato dopo aver partecipato alla stesura di “Code Geass”, ma che poi ci ha regalato perle di estrema bruttezza del calibro di “Guilty Crown” (dove ha partecipato alla sceneggiatura, e fra l'altro in quell'occasione ha collaborato con Akari) o “Valvrave the Liberator”; tutte opere tanto manieristiche ed esagerate in certi componenti (tanto da toccare più e più volte il trash), quanto carenti nei fondamentali (specialmente sul fronte personaggi e sulla coerenza strutturale).

Ed è la solidità della sceneggiatura il vero problema di quest'opera, tanto che sarebbe quasi meglio definirla un banale canovaccio. Superata la sezione buona ma un po' ridondante, scopriamo delle parti tranquille decisamente poco interessanti ed estremamente mal sfruttate. Infatti, per varie ragioni, fino a tali parti non c'era stato un grande spazio di manovra per fare approfondimento dei personaggi, e questa riduzione del dinamismo sarebbe stata la chance perfetta per cimentarsi nello sviluppo fin qui procrastinato.
Ma questo non avviene, e relega l'opera alla mediocrità assoluta per quanto riguarda il settore.
Di fatto, gli unici membri del cast degni di nota sono Ikoma e Mumei, e tutti gli altri, a parte un paio di comprimari molto blandi, sono alla stregua del livello delle comparse.
Ikoma purtroppo risulta un personaggio alquanto banale e, anche a causa della recitazione non eccelsa del suo doppiatore, risulta veramente poco incisivo per tutto il corso dell'opera (persino nelle sezioni in cui si fa valere).
Mumei incarna forse l'aspetto più tragico del basso livello di sviluppo: apparentemente sembra un personaggio più approfondito e meno monotono di Ikoma (e in effetti lo è), ma è un vero peccato che lo staff abbia voluto renderla forzatamente un feticcio otaku. Questa è la causa di uno dei suoi principali difetti, ovvero una instabilità psicologica che la fa sembrare quasi borderline. Tutto ciò è dato dal fatto che hanno voluto darle una componente da “loli badass” (cosa che piace ai fruitori), in grado di far fuori da sola decine e decine di Kabane, e una componente da “sorellina da proteggere” (altra cosa che piace ai fruitori), intenta a badare ai bambini più piccoli del gruppo di profughi (nonostante la sua condizione, che all'inizio causa apprensione).
Queste due componenti si amalgamano piuttosto male, e danno come risultato un personaggio poco credibile (tanto che viene utilizzato un certo espediente di quarta categoria per coinvolgerla nel finale).
Come già menzionato, gli altri personaggi risultano quasi non pervenuti, con in parte l'eccezione della principessa e della sua fedele guardia, che si attestano al livello di entità (alquanto) secondarie.
Un certo personaggio avrebbe potuto rendere di più, ma è stato sprecato in malo modo prima del termine dell'opera.

Proseguendo con la storia, dove ci imbattiamo pure in autocitazioni riferite a passate opere di Okouchi (come il dimenticabile “Valvrave”, di cui non si sentiva la mancanza, o in seguito “Guilty Crown”, altra opera che non sarà ricordata dai posteri), arriviamo finalmente alla parte finale, dove si incontra l'antagonista della serie.
Purtroppo anche questo risulta una delusione mostruosa, e a poco serve la manciata di minuti impiegata nella creazione di un blandissimo background che spieghi perché tale individuo ce l'abbia col mondo (e nemici del genere non sono una novità per lo staff). Nel finale, l'opera prosegue in un susseguirsi di avvenimenti alla ricerca dell'impatto a ogni costo (a volte risultando addirittura grotteschi), fino a scadere in un ultimo episodio condito di un'eccessiva dose di buonismo ingiustificato: forse ciò è finalizzato a lasciare la porta aperta ad eventuali seguiti, ma alcuni passaggi (uno in particolare) sono realmente così assurdi da far strabuzzare gli occhi e riavvolgere per vedere se accadono davvero. Persino la resa dei conti finale è, di fatto, piuttosto affrettata e deludente, e lascia l'amaro in bocca.

Sicuramente la componente migliore dell'opera è il comparto tecnico: il disegno è ottimo, e c'era moltissima attesa quando si scoprì che Mikimoto era incaricato del character design, compito che ha svolto piuttosto bene (i personaggi sono piacevoli da vedere, peccato che la loro scarsa caratterizzazione li renda facilmente dimenticabili). Se l'opera risulta notevole nelle fasi d'azione, è anche per merito dell'ottimo lavoro svolto dagli animatori, molti dei quali avevano già lavorato con Akari o con Okouchi (spesso in opere dal buon comparto tecnico). Anche la colonna sonora di Sawano fornisce un ottimo supporto all'opera, per merito di composizioni azzeccate, buonissime insert song e una notevole sigla di chiusura.

A conti fatti, “Koutetsujou no Kabaneri“ risulta una notevolissima confezione, abbellita da un ottimo comparto audiovisivo e un'interessante partenza in ambito action, ma palesa fin troppo presto le sue enormi carenze compositive e il suo colpevole disinteresse per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi, nonché per un finale un po' troppo affrettato e con dei tratti alquanto discutibili.
Sarebbe da consigliare solo a chi cerca azione e ha poche pretese riguardo a tutto il resto, con la premura di ricordare che esistono action decisamente migliori che poggiano su basi più solide.
Invece “Koutetsujou no Kabaneri“ si limita a tentare di fare il compitino, senza nemmeno riuscire a completare il minimo indispensabile per imbastire una storia degna di nota.