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9.5/10
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Siete capaci di immaginare la morte di mille persone? Di migliaia? Di milioni? Secondo una certa forma di pensiero, no. Nemmeno a livello teorico. Questo perché la nostra capacità di immaginare non riesce a tenere il passo del nostro potenziale. Possiamo fare più di quanto possiamo immaginare. E questo non è un bene. È male. Molto male.

"E se un giorno... tu ottenessi all'improvviso un potere sovrumano... come useresti quella forza? Diventeresti un demonio pronto a distruggere il mondo con quel potere? Oppure... l'eroe che lo salverà?" In spregio al concetto di soglia sovraliminale, questa è la premessa di una delle opere più importanti e seminali di Go Nagai e del mondo manga/anime in generale. Ciò che creiamo è sempre sotto il nostro controllo. Nostra quindi la scelta di usarlo per il bene.

Mazinger Z è il simbolo stesso della capacità distruttrice dell'Uomo. De facto è il primo esemplare di una lunga serie di interfacce robotiche, che diede il via al genere dei "mecha". Antesignani di questo genere furono in realtà i meno noti Tetsujin-28 e Giant Robo. Ma il primo vero mecha governabile da un pilota fu la creatura di Nagai. Ispirato in parte alle armature dei cavalieri medievali occidentali e in parte all'estetica e allo spirito dei samurai, Mazinger è un prodotto dell'era atomica. Costruito con la super lega metallica "Z", è alimentato da una nuova forma di energia, detta fotoatomica, più potente anche di quella che innesca le reazioni nucleari. Colossale "arma finale", dotata delle armi fantascientifiche più devastanti, è figlia dell'ingegno di Juzo Kabuto, ex amico e collaboratore del dottor Hell, iconico scienziato pazzo intenzionato a dominare il mondo. Mazinger è stato concepito per contrastare Hell e le sue creazioni, altri colossali robot dalle fattezze mostruose e frutto dell'antica sapienza e tecnologia della civiltà micenea che il dottor Hell ha rinvenuto sull'isola greca di Bardos. Juzo Kabuto non sopravvive a un attacco del suo maligno rivale e lascia quindi la sua creatura nelle mani di suo nipote Koji. Il ragazzo è il classico "selvaggio" alla Marlon Brando, baby boomer sempre a bordo della sua moto, ma su cui ora ricade l'onere di portare avanti le battaglie della generazione passata e sconfitta. Grazie all'appoggio di un assistente di suo nonno, il professor Yumi, e della figlia Sayaka (anche lei pilota di un robot), Koji diviene suo malgrado l'erede dello scontro col dottor Hell e i suoi accoliti Ashura, Blocken e Pigman. La lotta entrerà poi in una nuova fase quando farà la sua comparsa la risorta civiltà micenea. Un epilogo che ha il sapore di una mezza sconfitta aprirà una nuova trama, con nuovi protagonisti, e che ricollega l'opera ad altre del variegato universo nagaiano.

"Mazinger Z" è il vero prototipo di tutti i mecha e dei loro canoni narrativi. Secondo il modello della serialità televisiva che si autoalimenta con uno schema ripetuto per decine di puntate, l'anime propone un gioco quotidiano fatto di duelli e schermaglie a colpi di armi di distruzione di massa. La serie in realtà si discosta in molti punti dal manga originale. Non solo per tagli o modifiche alla trama (portata poi avanti per oltre novanta episodi) ma soprattutto per i disegni e le animazioni, più semplificati rispetto al tratto di Nagai. Accentuata inoltre è la componente comica, affidata alle spalle di Koji: suo fratello minore Shiro, ma soprattutto il gruppetto di teppistelli composto da Boss, Nuke e Mucha (tre maschere da teatro farsesco), che realizzano perfino una loro versione "amatoriale" di Mazinger, il Boss Robot.

Tuttavia l'anime preserva quelli che sono gli elementi forse più interessanti dello stile di Go Nagai.
Sottotraccia, si riescono a cogliere dettagli che permettono di superare la classica lettura manichea di uno scontro fra un Bene e un Male assoluti.
Per esempio, il bieco potere della tecnologia e le sue potenzialità vengono espresse tramite un costante ricorso a immani devastazioni. Il Giappone e le sue città (storicamente "abituati" a catastrofi naturali e non) sono così il teatro di scontri di Titani, dove la popolazione, massa indistinta, è falciata come grano, in fede alle apocalittiche visioni della fantascienza già proposte dalla narrativa pulp o dalle opere in cui la fanno da padroni i kaijū (i mostri giganti) come Godzilla.

L'ambiguo volto della scienza era magistralmente espresso nel manga tramite quello di Juzo Kabuto, inquietante e mostruoso quanto i suoi nemici. Nell'anime invece la deformità è tutta degli antagonisti. Forse sono loro l'elemento più interessante dell'opera. Incarnano tutte le peggiori aberrazioni partorite da un passato (prossimo o remoto) che getta le sue ombre ancora oggi sul presente. Sono i figli di quelle storture ideologiche e sociali che hanno deformato il XX secolo: il dottor Hell rimanda più che altro ai classici cosmoclasti da fumetto, creatori di realtà paramilitari che richiamano i totalitarismi (il Terzo Reich in primis). Ma i suoi sottoposti sono anche più carismatici dei protagonisti.

Il barone Ashura è un essere composto a metà da un corpo maschile e uno femminile. Meschino e crudele, è altresì dotato di una fedeltà quasi morbosa per il suo padrone, esemplificando così in modo fisico (perfino nella voce) i concetti di dicotomia e dualismo, fra fede e pazzia, fra amore e violenza.

Il conte Blocken è il perfetto subordinato, ormai solo una testa, che deve essere tenuta in mano da un corpo surrogato. Forse un ex nazista salvato dal dottor Hell, è la parte acritica del Male, ancor più gretto di Ashura. Senza dubbi, pietà o scrupoli. Letteralmente "acefalo".

Il visconte Pigman è la paura dell'ancestrale, di quel lato primitivo e selvaggio che giace sotto i conformismi dell'uomo civile. Un imponente guerriero, un corpo possente e statuario, governato da una sorta di folletto maligno. Un incubus, che turba i sonni della convenzionalità.

Sono fatte salve anche alcune delle tematiche che Nagai ripropone in altre sue opere, come le ambizioni, i dubbi e la rabbia della blank generation. I loro problemi, le loro angosce, vengono accennate nel loro senso di ribellione, nelle loro pulsioni. La loro ribellione viene però messa a tacere dalla necessità progressista e dalla seduzione offerta da una nuova ridefinizione del superuomo, ora compagno (più che padrone) delle macchine nel suo quotidiano.

Anche se solo accennato, in "Mazinger Z" è presente quell'afflato tutto nipponico verso la robotica (figlio dell'animismo shintoista), che vede i suoi costrutti non come semplici oggetti, ma come anch'essi depositari di una sorta di "anima". Koji, Sayaka, Boss e spesso perfino il dottor Hell, "sentono" i loro robot, soffrono con o per essi, e a volte vi si rivolgono come fossero interlocutori. Le stesse macchine a volte sono umanizzate al punto da sembrare avere una loro volontà, nonché le stesse pulsioni degli esseri umani, oltre alle stesse caratteristiche fisiche. Emblematico in tal senso il dettaglio che vuole Afrodite A, il robot di Sayaka, avere i seni che sono all'occorrenza anche due missili (o viceversa). Dando così voce a un senso paraerotico che vede la possibile fusione tra uomo e macchina a tutti i livelli, anche quello sessuale.

"Mazinger Z" è un'icona del Secondo Dopoguerra, l'era che vede l'Uomo fare un girotondo, prendendo per mano l'atomo, un robot, una pace belligerante e un senso di riscatto represso. Koji e tutti i suoi coetanei "reali" sono i "figli della bomba", destinati ancor prima della nascita a fare i conti con le ceneri di Hiroshima e sobbarcarsi il peso di una sconfitta che impone una rivalsa. Una nuova guerra per risorgere. Una guerra che si combatte con gli spettri del passato, per un futuro che si crogiola nella confortante e radioattiva luce dei raggi fotonici.