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Attenzione: la recensione contiene spoiler

“Sayonara no Asa ni Ya Kusuku no Hana o Kazero” (titolo inglese: “Maquia. When the Promised Flower Blooms” - più o meno si può tradurre come: “Adorniamo il mattino dell’addio coi fiori promessi”) è un film giapponese del 2018, tratto dal manga omonimo, da noi ancora inedito.
Spero che presto possa essere presentato al pubblico italiano in sala, come è già successo per altre opere d’animazione del Sol Levante, perché è davvero un’opera notevole, originale e insolita nell'affrontare una tematica classica, in maniera toccante e profonda.
La regista Mari Okada è alla sua opera prima in tale ambito, ma ha alle spalle una solida esperienza di sceneggiatrice di serie animate di successo (“AnoHana” nel 2011, “Vampire Night Guilty” nel 2008, “Mobile Suit Gundam” nel 2015, solo per citare i titoli più conosciuti qui da noi).

La storia è davvero curiosa; la locandina del film lascia pensare a un racconto del tutto diverso, se non prevedibile, invece dopo la prima mezz’ora ci ritroviamo proiettati dentro una vicenda che non ci aspettavamo.
Maquia, la protagonista, è una giovane fanciulla che appartiene al popolo degli Iolph, esseri isolati dal resto dell’umanità che, raggiunta l’età adulta, smettono di invecchiare e vivono in eterno. Sono creature pacifiche che passano l’esistenza a tessere l’Hibiol, una tela preziosa che conserva la loro memoria, e attraverso cui comunicano pensieri e sentimenti. Il segreto della loro longevità immortale fa gola al regno di Mazarte, nazione con mire espansionistiche, che manda i suoi soldati a cavallo di draghi a rapire la principessa del clan, Leilia, per darla in sposa al principe del regno, nella speranza di una discendenza eterna che fortifichi la loro egemonia sui territori vicini.

Le prime immagini sono davvero spettacolari, i colori vivaci, gli sfondi luminosi ci proiettano in questo mondo idilliaco, una sorta di paradiso che pare perfetto e inviolabile, fermo e immobile nel suo ritmo eterno, finché non verrà invaso da una realtà più cruda e cupa.
L’animazione è di alto livello, la grafica suggestiva.
L’elemento fantasy è ridotto all'essenziale e serve solo da pretesto per sviluppare il concetto chiave del film in una forma originale, un’ottica nuova e insolita, che acquista complessità con l’evolversi della storia della giovane Maquia.

La fanciulla, orfana di entrambi i genitori, pur amata dalla sua gente, avverte il peso della solitudine; in seguito all'attacco di Mazarte, si ritrova viva per miracolo e isolata dagli altri, in un mondo ostile che non conosce. A questo punto avviene la svolta della sua vita, che è poi la svolta clamorosa del film che vira in una direzione inattesa; Maquia, in fuga dal suo mondo, trova sulla sua strada un neonato stretto tra le braccia della madre morta, e decide di prendersene cura come se fosse figlio suo.
Così, Maquia ha il primo impatto con la forza di un legame che lega una madre al figlio, lo sente nelle dita rigide e fredde che non vogliono staccarsi dalla testolina del bambino, come se ancora lo volessero proteggere. È il primo doloroso confronto con la realtà umana dell’amore, con la morte che separa e taglia anche i legami più forti. Maquia non ha nessuna esperienza, è essa stessa quasi una bambina, e il suo aspetto fanciullesco, dolce e infantile, quasi etereo e candido, è suggerito dal character designer davvero poetico e delicato che rende lei e la sua gente, così diversi dagli altri personaggi, tratteggiati con un realismo diverso, dove i colori sembrano più caldi, dominati da tinte naturali, più terrene.

Inizia così il rapporto particolare non sempre facile, fatto di amore, conflitto e problematiche varie, tra questa madre che non invecchia e resta sempre uguale - tranne che nel colore dei capelli che assumono una tonalità rossiccia, elemento forse simbolico - e il figlio che cresce e diventa adulto, ragazzo e poi uomo.
La maternità è il tema centrale del film, quella di Maquia, consapevole dei suoi limiti e delle difficoltà date dalla sua natura, spaventata dall'idea di restare sola, costretta a nascondersi dai soldati che cercano quelle come lei, e impossibilitata a mantenere rapporti normali perfino con la famiglia che l’accoglie all'inizio della sua avventura.
Struggente la scena dove rifiuta di legarsi al ragazzo con cui è cresciuta come una sorella, dolorosamente consapevole che un giorno le loro strade si separeranno, e ci rendiamo conto che tale angoscia è vissuta anche nel suo ruolo di madre, pur facendo di tutto per non separarsi da Erial, che inizia ad essere in conflitto con lei.

In parallelo alla sua storia, accennata c’è la solitudine e la maternità dolorosa e negata di Leilia, considerata un mostro, a cui, oltre la libertà, hanno sottratto la figlia subito dopo la nascita, che non ha altro valore se non mettere al mondo un erede che abbia il dono dell’immortalità.
Qui il film ha davvero un’impronta dolorosa, nettamente opposta alle immagini iniziali di paradiso perduto, e i concetti diventano via via più profondi; Leilia ha perso tutto, la sua gente, il ragazzo che amava che tenta di salvarla senza successo, la figlia che non vedrà mai, se non alla fine.
La maternità non è solo gioia, può essere anche dolore, può essere anche separazione, quando i figli vanno per la loro strada, come farà Erial, che diventerà padre e si farà la sua famiglia.

Complessivamente omogeneo e abbastanza lineare, nella trama c’è qualche punto qua e là che non convince; è un po’ confusa la sceneggiatura in qualche passaggio, per cui non ho afferrato esattamente il momento in cui Maquia e il figlio si separano, e lei torna tra la sua gente, ma è davvero poca cosa, e non compromette l’andamento generale del racconto.

C’è un conflitto nel regno degli uomini mortali che non hanno scoperto il segreto dell’immortalità; tutta questa parte bellica è solo di contorno e trattata un po’ superficialmente, ma nel senso complessivo del film ha importanza marginale.
È commovente, straziante e doloroso il finale, che punta l’attenzione su un altro aspetto tragico che può avere la maternità; una madre deve lasciare andare suo figlio, ormai anziano, dopo una vita vissuta, dopo aver costruito degli affetti.
Maquia può dire di aver amato, ed è felice solo di aver vissuto per questo, nonostante le parole con cui, all'inizio del film, la saggia del suo clan l’aveva messa in guardia: una volta che avrai amato qualcuno, allora sarai davvero sola.

P.S. Mi fa davvero piacere che a breve avremo quest' opera almeno in home video, doppiata in italiano, non vedo l'ora.