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"Perdonami, se ti ho lasciato solo. Ma non ti preoccupare. Non ti farò aspettare a lungo..."

Queste parole, così evocative, sono pronunciate da Kichō, la protagonista del manga "L'Ultimo volo della Farfalla", scritto da Kan Takahama e edito in Italia da Dynit. Titolo che vanta una nomination per il 20° Tezuka Osamu Cultural Prize nel 2016.
La bellissima donna, raffigurata sulla copertina, è una oiran, cioè una cortigiana che nel Giappone di fine Ottocento vive a Maruyama, il quartiere dei piaceri della città di Nagasaki, ed è in grado di far perdere la testa a chiunque.
Lei è accessibile solo agli uomini più agiati e importanti, gli unici che hanno i soldi ed il potere per permettersi tanta raffinatezza e bellezza. Ma dietro questa figura affascinante, si nasconde un animo inquieto e addolorato, con un passato che torna a bussare alla sua porta.
La mangaka ci conduce per mano attraverso tavole che raffigurano kimono sfarzosi e acconciature vistose, ma allo stesso tempo riesce a mostrarci la vera vita di queste giovani donne, segnate dal dolore e dai traumi. Ma non c'è solo questo: i veri protagonisti del manga sono soprattutto l'ambiente in cui si svolgono le vicende e il particolare periodo storico rappresentato. Kichō è lo specchio di un'epoca e di un paese che dopo secoli di isolamento si sta aprendo al mondo esterno e sta scoprendo i suoi limiti.

In questo l'autrice, Kan Takahama, ha svolto un ottimo lavoro di ricerca, riuscendo a calare il lettore nell'atmosfera dell'epoca e portandolo a empatizzare con le vicende dei vari personaggi senza sforzo alcuno. Infatti a fine volume vi è una postfazione della mangaka che racconta il suo viaggio a Nagasaki, come abbia passeggiato per le stesse strade in cui si muovono gli attori di questo dramma e pranzato in quella che una volta era la casa di piacere in cui abitava e lavorava la protagonista. L'edificio infatti è ancora in piedi ed è sede di un prestigioso ristorante, così come prestigioso era il bordello Hikitaya nel quartiere Maruyama.

Dobbiamo infatti ricordare che Nagasaki è stata per anni l'unico contatto che il Giappone ha avuto con il mondo esterno. All'inizio, verso la metà del 1500, arrivarono i portoghesi con al seguito alcuni missionari gesuiti; ma quando il cristianesimo iniziò a preoccupare le autorità giapponesi, i religiosi vennero espulsi e furono accolti gli olandesi, protestanti e quindi considerati più propensi al commercio che alla religione. A seguito della rivolta di Shimabara (di stampo contadino ma considerata all'epoca cristiana) avvenuta nel 1637/38, fu proibito ogni contatto con gli stranieri e fu vietato ai giapponesi di uscire dal paese.
Unico spiraglio aperto rimase l'enclave olandese posta sull'isola di Dejima, vicino a Nagasaki: attraverso questa porta filtravano scienza e cultura occidentali e ciò rese negli anni la città un importante polo scientifico e artistico. Ma non solo: gli olandesi erano autorizzati ad avere contatti solo con i commercianti e le prostitute, professioni che accumularono vere e proprie fortune.

"L'ultimo volo della farfalla" racconta appunto tutto questo ma lo fa senza sforzo, senza essere didascalico. Compare sia l'isola di Dejima, in cui Kichō va spesso ufficialmente per lavoro ma ufficiosamente per allontanarsi dalla gabbia dorata che è la casa del piacere in cui vive. Compaiono i dolci portoghesi come la kasutera, regalata alla protagonista durante un incontro ufficiale fra le maggiori autorità locali e straniere. Kichō stessa è indicata come l'interlocutrice ideale per trattare con gli olandesi, perché avvezza a trattare con loro. E non stupitevi di quest'ultima affermazione: una tayu (sinonimo di oiran, termine in uso soprattutto a Tokyo) non era solo una prostituta.

Il termine con cui si traduce è spesso cortigiana, proprio per cercare di distinguerla dalle semplici prostitute, ma anche questo non rende bene l'idea. Le oiran infatti si collocavano al livello più alto dell'intrattenimento. Non solo dovevano essere bellissime, ma praticavano anche la danza, la musica, la poesia, la calligrafia ed avevano una cultura fuori dal comune. Erano infatti anche esperte nella cerimonia del tè e nell'ikebana (la disposizione dei fiori), oltre a saper suonare gli strumenti tradizionali come il koto e lo shamisen.
I loro clienti potevano essere solo persone molto ricche, di ceto sociale elevato, in quanto gli unici a potersi permettere di spendere le cifre da capogiro richieste (e infatti questo è spiegato bene fin dalle prime pagine del manga). Non tutte le ragazze potevano diventare oiran: solo le più attraenti, tenaci ed intelligenti potevano riuscirci. Dettavano il costume in fatto di acconciature o trucco, dando origine a mode e tendenze. Splendide sono le tavole del manga che ritraggono gli abiti e le elaborate pettinature di Kichō e della sua giovane cameriera Tama.

Ma Kan Takahama è brava anche ad illustrare le ombre e i dolori di queste giovani donne: vendute al bordello in giovanissima età, non hanno mai vissuto al di fuori di esso e sebbene sognino un uomo che si innamori di loro e paghi il riscatto per portarle via da lì, spesso con gli anni hanno capito che per loro non c'è futuro oltre le porte di quella casa. Lo afferma Taki, amica e confidente di Kichō, nelle pagine finali del manga: "Da giovani, si dice che il bordello è un mare di dolore. Non sono d'accordo. Se ti ci immergi una volta, capisci che il vero dolore è fuori. Una volta uscite da qua, noi non sopravviviamo".
Se agli occhi dei passanti Kichō e le sue compagne vivono una vita lussuosa, in una casa con un giardino splendido, indossano kimono magnifici e gustano cibo prelibato intrattenendo conversazioni amene, la mangaka ci porta dietro le quinte, facendoci vedere dolore e solitudine, invidia e paura, malinconia e malattie come la sifilide che stroncano vite in giovane età.

Se la storia ci fa conoscere un mondo e un periodo storico poco noti al grande pubblico, veicolando il tutto attraverso sentimenti universali che trascendono spazio e tempo come amore, morte e rabbia, lo stile del disegno è una vera gioia per gli occhi. Curato fino all'estremo nei dettagli, soprattutto per quel che riguarda acconciature e vestiti, ha la particolarità di un tratto molto morbido quando raffigura i corpi femminili. Non c'è mai volgarità nei corpi nudi o allacciati in un amplesso e mi fa pensare che la mangaka abbia tratto ispirazione anche dalle ukiyo-e.
D'altronde il termine ukiyo-e significa letteralmente "immagini del mondo fluttuante" e si ispira al concetto buddista dell'illusorietà dell'esistenza terrena; ma ha anche una connotazione edonistica, secondo cui la vita è breve e incostante, quindi è meglio vivere l'attimo e godere appieno dei piaceri transitori. Per questo le stampe spesso ritraggono i momenti piacevoli che gli abitanti delle città trascorrevano nelle sale da tè, nei postriboli, nei teatri kabuki e agli incontri di sumo.

Particolare anche l'uso delle ombre, che rende il tutto molto cinematografico e ci immerge nell'atmosfera notturna e fumosa che doveva contraddistinguere sia il quartiere che la casa del piacere. Una sorta di acquarello in bianco e nero che ha la delicatezza delle ali della farfalla del titolo nonostante tratti temi anche pesanti e crudi.

L'edizione Dynit Manga è molto curata e rende onore alle tavole della mangaka con un formato più grande del solito e con una copertina con le alette che proseguono il disegno sia fronte che retro, creando quasi un poster in cui è possibile ammirare a colori tutta la bellezza della protagonista. Si tratta di un volume pensato innanzitutto per il mercato delle librerie di varia, e quindi dal prezzo (14,90 euro) proporzionato a tale canale di distribuzione.

Se proprio devo trovare un difetto a questo manga, potrebbe essere la mancanza di una prefazione in cui venga spiegato il contesto in cui è ambientata la storia. Sebbene sia assolutamente godibile anche se si è totalmente digiuni di storia e cultura giapponese, perché la trama parla di sentimenti umani e per quello non serve preparazione, nonostante vi siano numerose note a lato che spiegano alcuni termini e usanze, inserire una piccola introduzione esplicativa avrebbe potuto far apprezzare meglio gli sforzi della mangaka. Ma magari questo spingerà qualche lettore incuriosito a fare ricerche per conto proprio.

Per concludere, sono davvero contenta di aver letto quest'opera, perché si rivelata essere completa sotto vari aspetti: storia universale, disegni curati, atmosfera malinconica e, perché no, anche un minimo di denuncia sociale per le condizioni in cui vivevano le donne in quell'epoca, vendute da bambine e costrette al mestiere più antico del mondo. Kichō ama e soffre, ma nonostante tutto mantiene la sua dignità e si permette di piangere solo due volte nella sua vita. Una figura di donna moderna per la sua epoca, intelligente e tenace. Attraverso i suoi occhi possiamo vivere un pezzetto di Storia giapponese, quel grande cambiamento che porterà alla Restaurazione Meiji.