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8.0/10
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Dopo aver visionato “Remake Our Lives” e “Steins;Gate 0”, leggendo qua e là avevo notato che veniva citato anche questo anime, e mi sono deciso a visionarlo, includendo i quattro episodi OAV pubblicati a distanza di due anni dalla serie originale.
Premetto che per me è difficile non ‘spoilerare’ il contenuto dell’anime, e pertanto chi non ha ancora visto la serie abbandoni la lettura...

Attenzione: la seguente parte contiene spoiler

Rispetto ad altri anime che ho avuto modo di vedere, in “ReLIFE” non c’è un vero e proprio viaggio nel tempo, anzi... al protagonista viene chiesto di assumere un farmaco che fa “ringiovanire” di dieci anni l’aspetto fisico (non la psiche), per poter essere collocato in un ambiente scolastico per un anno a fini “rieducativi” e per poter poi essere nuovamente ricollocato, una volta terminato il processo di “recupero”, nella società con la sua vera età.

Chi è il protagonista? Arata Kaizaki, un ventottenne che a causa di una scelta “sbagliata” si è dimesso dall’azienda dove lavorava dopo soli tre mesi, e finisce nella classica “Downward Spiral” dell’impossibilità di trovare un lavoro, con la conseguenza di essere emarginato man mano da chi conosce, e infine dalla società... Inizialmente si capisce poco delle motivazioni della scelta: la vera spiegazione avverrà verso la fine della serie, dove vedremo che le motivazioni sono molto più serie, profonde e sofferte di quanto si possa intuire all’inizio dell’anime.

Quindi Arata sembrerebbe un NEET (“Not (engaged) in Education, Employment or Training”), e a causa del suo status (e delle convezioni sociali nipponiche secondo le quali - cerco di sintetizzare - chi non lavora e/o non è inserito nella “machine” è inutile e da emarginare) tende a cadere nella depressione e nello “hikkomori” (ossia stare in disparte rifiutando i rapporti sociali). Magicamente appare un tal Ryō Yoake, appartenente ad un’Agenzia che sta applicando a livello sperimentale un programma denominato “ReLife”, che prevede, come anticipato, l’inserimento in una scuola superiore per un anno... Perché Arata? Questa Agenzia sembra sapere molto della sua vita privata e delle sue abitudini e fallimenti: inquietante, una sorta di Grande Fratello a cui nessuno può sfuggire, con l’aggravante che Ryō sembra avere competenze “psicologiche” che utilizza per persuaderlo ad accettare di partecipare al programma.

Arata accetta tutto e ingolla la magica pillola che lo trasformerà nella sua versione diciassettenne... la scena della scelta di Arata richiama, mutatis mutandis, quella di “Matrix”, quando Neo, sollecitato da Morpheus, sceglie la pillola per risvegliarsi. L’effetto, dopo un sonnellino, consiste in una specie di intervento di ringiovanimento fisico (alla stregua di un intervento chirurgico) e basta, perché “dentro” resta lo stesso ventottenne con i presunti problemi che l’hanno portato ad essere un candidato del programma, e con tutti i suoi ricordi e fantasmi del “passato”.

La sua ricollocazione è nel presente in una scuola superiore, Aoba, dove inizierà l’anno scolastico con i nuovi compagni e uno speciale, Ryō, che, ringiovanito a sua volta, lo accompagna, supporta e... controlla nel suo percorso per tutto l’anno. Un limite del programma ReLife è quello della durata: un anno, al termine del quale l’esito potrà essere positivo e negativo, e il soggetto ritorna nel suo aspetto originale. Il vantaggio è ricevere un trattamento completamente spesato, una retribuzione e, al termine del percorso, se positivo, una ricollocazione lavorativa. Lo svantaggio (che inizialmente non sembra tale...) è che, dopo l’anno, le persone con cui si sarà interfacciato Arata non ricorderanno nulla di lui, come se non fosse mai “esistito”, sebbene lui manterrà il ricordo di tutto e tutti.
Tale circostanza, come si vedrà, diventerà il vero aspetto “sadico” del programma nei confronti dei partecipanti al programma e il vero “prezzo”, per di più molto “salato”, da pagare al programma. Vivere un anno con la consapevolezza di essere in una sorta di “fiction” senza copione (solo per i candidati al programma, come una sorta di “Truman Show” al contrario) è “disumano” e, francamente, prima facie, non se ne afferra la finalità “rieducativa”... Se l’obiettivo dell’anime era quello di denunciare il “sistema” culturale giapponese, “ReLIFE” potrebbe sembrare il “programma” di recupero e omologazione di quelle coscienze che ancora lo “avversano”, e non di cambiamento dei problemi strutturali che inquinano il mondo del lavoro e la società giapponese: in particolare il mobbing, il maschilismo becero nel mondo del lavoro, l’ambiente lavorativo al limite dello schiavismo, i suicidi, l’emarginazione di chi non la pensa secondo il “mainstream”...

Più volte Arata si ricorda della sua senpai Michiru Saiki e dei dialoghi con lei: soprattutto quelli in cui lui si ribellava al mobbing che subivano dai colleghi e lei che lo esortava a crescere e ad accettare la situazione come parte del gioco della vita e della sfida. Solo verso gli ultimi episodi della serie capiamo la “tenebra” che attanaglia Arata: il suicidio di Michiru e le conseguenti dimissioni di Arata da una azienda ipocrita e meschina (paradigmatico il discorso del responsabile che giudicava come attaccamento all’azienda l’aver scelto come location del suicidio proprio l’azienda stessa...) che sono diventate la causa dei suoi problemi.
Quindi il gesto di Arata è stato fondamentalmente di reazione/ribellione al sistema e alla sua profonda ingiustizia, e non per problemi strettamente legati alla sua indole e carattere, a meno che non si voglia intendere come problema psicologico il rifiuto e l’avversione alla cattiveria umana...

Questo è il punto di debolezza dell’anime. Il percorso di “cambiamento” di Arata, come si vedrà nella trama, sembrerà più quello di “omologarsi” al “mainstream”, tranne che per il percorso di studio, dove otterrà il diploma a fatica. Ma il tutto è coerente con il messaggio che il programma ReLife vuole sottintendere, perché in più occasioni i compagni (soprattutto Kazoumi) lo aiuteranno a studiare, fino a quando sarà in grado di ottenere la sufficienza (messaggio subliminale che anche il “reietto” ottiene il suo obiettivo, se si fa aiutare dalla collettività...).
La sua evoluzione sarà quella di accettare la visione del sistema (come era solita dire la senpai di Arata nell’azienda dove lavorava e dalla quale si è licenziato), inserendosi come “ingranaggio” e cercando di avvantaggiarsene.
Il tutto condito dalle situazioni che si troverà ad affrontare e tipiche dell’ambiente scolastico, in cui dimostra di contribuire in modo significativo a risolvere le “grane” amorose dei compagni di classe (su tutti quella tra Kazuomi Ōga e Rena Kariu) e le incomprensioni (vedi quella tra Rena Kariu e Honoka Tamarai).

Apro una breve parentesi su Rena Kariu, facendo un parallelismo con Arata. Nell’anime sembra rappresentare l’archetipo della perfetta giapponese: ragazza dotata di una determinazione ferrea a primeggiare su tutto e tutti, e sebbene consapevole dei suoi limiti vive la sua vita come una continua sfida per ottenere i suoi obiettivi. Come in tutte le rom-com di questo genere è comunque fragile e nel campo sentimentale e dell’amicizia dimostra la sua “immaturità”, mettendo a rischio la sua amicizia con Honoka e la sua possibile storia d’amore con Kazoumi. Ma alla fine ne esce “vincente”, proprio perché coerente con il “mainstream”.

Il secondo filone della trama riguarda l’interazione tra Arata Kaizaki e Chizuru Hishiro, compagna di classe dal carattere molto introverso, secchiona e scostante, con il difetto, nei dialoghi, di essere eccessivamente diretta, tanto da sembrare a prima vista un personaggio alienato, avulso e affetto da “hikkomori”.
Qui la narrazione da un lato diventa più classica, nel senso che il rapporto tra i due sembra ispirarsi al solito cliché dei ragazzini che non sanno e non riescono ad approcciarsi per timidezza e per quella “nevrosi” tutta nipponica nel rifiuto di ogni contatto umano (darsi la mano, toccarsi, abbracciarsi, ecc.). La complicazione è dovuta al fatto che Arata (e poi, come si scoprirà, anche Chiziru) sono adulti in un corpo da adolescente...
Quindi, alla normale “imbranataggine” si aggiunge un altro aspetto “sadico” del programma ReLife: ai candidati è sostanzialmente preclusa la possibilità di aver storie con i liceali normali, perché, quando sarà terminato, le persone con cui avranno interagito si dimenticheranno dei candidati. Ma Arata e Chiziru non sono ragazzi, ma adulti, e per tutta la serie ignorano reciprocamente il reale status dell’altro…
O meglio, Chiziru alla fine della serie lo sospetta, tanto da chiederlo apertamente a Ryo, ma non potrà mai riceverne conferma, altrimenti lei o Arata sarebbero esclusi immediatamente dal programma. E così inizia la solita “tiritera” di sguardi, tocchi involontari, incomprensioni, ecc. Fin dall’inizio Chiziru sembra apprezzare Arata per la sua dolcezza e pazienza, tanto da confidargli a suo modo il disagio che prova nelle relazioni con gli altri. E Arata, da persona profonda, buona e disponibile qual è, non si tira mai indietro e cerca sempre di supportarla nel suo percorso di apertura verso gli altri.

Con il tempo, il loro rapporto evolve lentamente verso l’attrazione reciproca, ma loro per le ragioni esposte non possono fare il passo, a causa della loro appartenenza al programma. Struggente è l’ultimo episodio della serie, in cui partecipano alla festa della città con i fuochi d’artificio: la metafora della loro esistenza da “adolescenti” e il parallelismo all’effimero dei fuochi di artificio rientra nella lirica tipica degli anime giapponesi e aggiunge un ulteriore tocco di poesia ad un anime che era piuttosto lineare, semplice e diretto. La loro situazione poi stride maggiormente se rapportata alla circostanza che invece Kazuomi Ōga e Rena Kariu si dichiarano reciprocamente.

Ovviamente la serie non si conclude e si completa sono con la visione degli ultimi quattro episodi OAV che commento a parte.

Gli altri personaggi, ad eccezione di Chiziru, rientrano nei normali stereotipi di una commedia scolastica slice of life, anche se vengono più o meno rappresentati e approfonditi in varie puntate.
I tutor del programma ReLife sono tutto sommato “umani” e, al di là del ruolo “antipatico” di occhi e orecchie del progetto, creano situazioni simpatiche anche grazie alla collega An Onyama, che passa un po’ come la variabile indipendente del duo, tanto peperina da provocare il suo stesso senpai a rivelare ad Arata la sua vera identità...

Chiziru, nella serie dei tredici episodi, resta un po’ un oggetto misterioso, ma anche intrigante: a differenza di Arata non si capisce il perché del suo atteggiamento (visto che è una candidata al pari di lui - ed è un limite/difetto di trama, visto il tempo che l’anime dedica anche ad altri personaggi), e di lei si sa solo che è addirittura al suo secondo anno di ReLife, perché il primo era stato fallimentare, tanto da costringere Ryo alla proroga per mancanza di progressi. Ma grazie ad Arata si è sbloccata, rivelando una personalità matura, sensibile e attenta a ciò che la circonda.

Il reparto tecnico è discreto come la sigla di opening. Per l’ending è stata invece fatta la scelta di utilizzarne una diversa a puntata, ed è un ulteriore elemento di pregio della serie.

In conclusione, a mio modesto parere, la serie merita, e molto, pur con i limiti sopra enunciati. La serie di tredici episodi per me è stata soddisfacente e interessante: di sicuro il messaggio di “critica” e “denuncia” della società giapponese passa molto “edulcorato” e “sotto traccia”... ed è un peccato. Arata diventa un candidato suo malgrado, per essersi opposto alla “macchina”, e alla fine sembra cambiare (sigh!) solo perché come adolescente ritorna ad avere fiducia nel prossimo e a rendersi utile ove possibile.

Chi apprezza il genere (slice of life, scolastico, rom-com) di sicuro troverà soddisfazione non solo per i “soliti” contenuti, ma anche per aver avuto il coraggio di affrontare tematiche “scomode” in modo comunque “nipponico” e positivo.