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Recensire l’anime “Plastic Memories” partendo dal titolo (“Ricordi di plastica”) non è proprio entusiasmante... e se, come si suole scrivere, la prima impressione spesso è poi quella che conta, risulta poi difficile ricredersi, cercando nei tredici episodi le motivazioni per entusiasmarsi...

La sommaria descrizione dell’opera trovata in rete mi aveva parecchio “intrigato”: rivedere potenzialmente trasposti in un anime alcuni dei “temi” di uno dei film di fantascienza che ritengo un capolavoro assoluto (“Blade Runner”) mi aveva creato delle aspettative... che alla fine della visione sono state disattese.
Invece di “prendermela” con l’anime, ammetto subito che l’errore l’ho commesso io.
Cercando di parafrasare la filosofia di fondo che ispira l’anime (provo a riassumerla in “godi il presente in ogni sua sfaccettatura anche insignificante, senza pensare sempre al passato o al futuro, perché non si potrà più ripetere”), la serie va “goduta” per quello che realmente è (“non sembra”): una commedia romantica e, nel finale, strappalacrime.
Di fantascienza ha poco o nulla, se non nell’ambientazione un po’ distopica (ci sono automobili del tutto simili alle nostre ma con guida autonoma, dispositivi portatili futuristici ma anche tanti riferimenti al nostro presente): il pretesto di inserire nella storia le vicende di androidi “senzienti” del tutto simili agli umani anche dal punto di vista emozionale è servito solo a dare lo spunto per trattare la storia di un amore “doppiamente” impossibile, sia perché è tra un essere umano e un androide sia perché l’androide ha una prospettiva di vita limitata ad esattamente 81.920 ore (pari a poco più di nove anni e tre mesi...).

Attenzione: la seguente parte contiene spoiler

La struttura della trama nella parte “azione” sembra prendere alcuni spunti interessanti da “Blade Runner”: il protagonista Tsukasa va a lavorare in un team di recupero degli androidi “a scadenza”, in cui collaborano umani e androidi (che nell’anime sono chiamati “Giftia”). La loro mission è importantissima, perché i Giftia in prossimità della scadenza si deteriorano significativamente, diventando molto instabili e pericolosi per gli umani.
Pertanto, al termine del “servizio”, l’androide deve essere disattivato, ritirato e, a scelta del proprietario, sostituito con un altro o ricondizionato con l’installazione di un nuovo “OS” (sistema operativo). La conseguenza dello spegnimento è la perdita di tutti i ricordi sviluppati nella breve vita dell’androide nelle interazioni col proprietario e gli altri con cui si è interfacciato.
Come verrà mostrato nelle varie puntate, in alcuni casi di ritiro, il protagonista e la sua partner artificiale Isla si cimenteranno anche in una missione pericolosa che darà modo di comprendere non solo il passato di Isla, ma anche quello di Kazuki (la responsabile del team - umana) e Michiru (un altro membro del team - umana), e le interazioni che si erano sviluppate in passato per risolvere un caso analogo e molto pericoloso per l’incolumità degli umani.

È quasi inutile accennare alle incredibili potenzialità (e parallelismi con il famoso film) che si potevano generare e sviluppare per rendere il prodotto come vero sci-fi introspettivo/filosofico, mantenendone inalterate le qualità per l’intrattenimento: l’origine dei Giftia, la natura della loro personalità, la coscienza di sé e dei propri limiti, le interazioni con gli umani (creatori) e gli altri androidi, l’elaborazione dei limiti della esistenza all’approssimarsi della fine, la eventuale ribellione alla loro sorte creata dagli umani, il parallelismo con la vita umana, la possibilità di interagire con gli umani non solo a livello di compiti affidati ma anche di affettività, emozioni positive e negative, ecc.

L’anime, dopo avermi vagamente illuso, prende la piega della commedia sentimentale, concentrandosi esclusivamente sul rapporto tra Tsukasa e Isla, e facendolo in modo quasi adolescenziale, tipico di molti prodotto similari in cui lui è il solito bravo ragazzo, imbranato, impacciato, onesto e altruista, e lei (in questo caso androide) chiusa, scontrosa ma buona, sensibile e anche profonda... generando una serie di situazioni definibili comiche, un po’ (tanto) sciocche e infantili, a cui arriveranno a partecipare a vario titolo tutti i membri del team, umani e androidi.

Ecco il punto “critico” della trama: l’androide con vita limitata e consapevole del suo status a scadenza è simile ad un umano che è consapevole di morire a breve, ad esempio per una grave malattia. Qui si aggiunge solo l’ingrediente del rapporto di affetto profondo tra essere umani e artificiali.
Prendendo spunto da altri due anime che ho visto sui temi introdotti, sembra un mix, nell’ambito di altre produzioni che ho visto, tra “Voglio mangiare il tuo pancreas” e “Beatless”, dei quali mutua dal primo il concetto dell’importanza di vivere il presente in modo positivo indipendentemente dal futuro e la caducità della vita; dal secondo la possibilità che IA e umani possano stabilire relazioni affettive costruttive per un futuro migliore e non di contrapposizione.

Senza dilungarmi troppo su aspetti che non sembrano appartenere all’anime, c’è invece un elemento del personaggio di Isla che potrebbe essere degno di nota e che spicca rispetto agli altri Giftia dell’anime: la reazione, profondamente umana, di chiudersi alle emozioni e alle interazioni con gli umani, per evitare di soffrire e far soffrire gli altri una volta che non esisterà più. Ma anche e soprattutto come reazione di rifiuto alla sua “triste” condizione..., che poi, mutatis mutandis, è anche quella degli umani...

Tsukasa, anche con l’aiuto dei colleghi, riuscirà nella “titanica” impresa di convincere Isla a “lasciarsi andare” e a condividere per i pochi giorni che le restano con lui la pienezza di un rapporto di affetto alla pari e non di “master/slave”, nel senso che l’androide è un mero “strumento” a servizio degli umani nell’ambito dei task affidati.
E quest’ultimo aspetto è di novità rispetto ad altre produzioni: i Giftia, per le loro caratteristiche molto avanzate nell’ambientazione dell’anime, sembrano godere di diritti e considerazione quasi pari a quelli degli umani, tanto da far venire meno ogni loro forma di ribellione agli essere umani...

Nelle ultime due puntate, Isla, come una bambina che anela a crescere immediatamente con la complicità di Tsukasa, cerca di recuperare tutto il tempo perduto: ed evolve in modo molto significativo dal punto di vista della personalità, arrivando ad elaborare in modo positivo la sua prossima dipartita.
L’ultima puntata mette a durissima prova anche i più “insensibili”: potrei scrivere solo che il tutto è descritto con molta “poesia” e dignità.

Monologo di Isla: “È quasi ora che questo sogno finisca/Vorrei che finisse qui/Prima che la ruota completi il suo giro/Va bene?/[...]/ È la prima volta che vedo le tue lacrime/Ti sei trattenuto tutto questo tempo, vero?/Perché sei il tipo di persona che lo fa sempre/Grazie/Grazie di piangere per me”

L’apprezzamento da parte di Isla delle lacrime di Tsukasa per lei è il preludio al tanto agognato primo bacio e alla sua successiva e immediata “morte”... Una soluzione narrativa che, sebbene si tratti di un’opera di fantasia, fa commuovere per la sua drammaticità: l’immagine di Tsukasa che regge in braccio Isla ormai definitivamente “addormentata” davanti a Kuzumi e la contemporanea lettura delle lettere di ringraziamento a tutto il team da parte di Isla è toccante e lirica.

Oltre a Isla, gIi altri personaggi, incluso il coprotagonista Tsukasa (che non brilla sicuramente per originalità, profondità, drammaticità, visto il suo ruolo...), non mi sono sembrati un granché: tutti molto stereotipati e scontati, utili solo allo svolgimento della trama verso il finale strappalacrime. Anche gli altri Giftia, che potevano aggiungere un po’ di contenuti, si limitano a svolgere il compitino, ad eccezione di Zack (partner di Michiru), che con la sua personalità impertinente e dispettosa costituisce un quid pluris comico per ravvivare la trama.

Su reparto tecnico e musicale nulla da dire: mi sembra un prodotto nella media che non eccelle, né difetta in modo particolare.

Ordunque, si giunge alla chiosa finale: se ne consiglia la visione?
Mah, scriverei di sì, se non si nutrono grandi pretese sull’anime e cercare di soddisfare aspettative o attribuirgli significati e contenuti che non gli sono propri.
Anche nell’ambito del dilemma su “quale senso attribuire ad una esistenza così limitata” dei Giftia, l’anime non sembra dare neppure potenzialmente una risposta, come invece accadeva in “Blade Runner” (versione classica e non quella del “Director’s Cut”). I replicanti del capolavoro di Ridley Scott vivevano lo stesso dramma dei Giftia, mirabilmente riassunto nel monologo finale di Rutger Hauer/Roy Batty: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: [...]. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.
Ma almeno il film si chiudeva con Deckard/Harrison che scappa con Rachel, sperando nelle nuove prospettive di vita del replicante e nell’illusione di potersi fare una vita assieme...
In “Plastic Memories” questo possibile scenario non si percepisce: i ricordi di Isla (o meglio il suo “ghost”) sarebbero potuti essere trasferiti in un nuovo Giftia? Chissà... E così non ci resta che consolarci con la frase di commiato di Tsukasa (mutuata da quella che Isla utilizzava allo spegnimento dei Giftia da ritirare): “Spero che un giorno/il destino possa guidarti/di nuovo verso la persona che ami”.