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Ogni Paese ha la propria data sacra ed intoccabile, quella che ha lasciato un segno indelebile nella storia, per i cambiamenti di cui si è fatta foriera e che, per questo motivo, non potrà mai essere dimenticata. Per l’Italia, questa data è il 17 marzo 1861, anno dell’unificazione nazionale. Per gli Stati Uniti, è il 4 luglio 1776, giorno dell’Indipendenza. Per il Giappone, invece, è il 14 agosto 1945, anno della resa incondizionata proclamata dall’Imperatore Showa, che sanciva la sconfitta giapponese nel secondo conflitto mondiale. Resa che si aggiungeva ai tragici avvenimenti di qualche giorno addietro, l’esplosione delle due bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki, avvenute rispettivamente il 6 e il 9 agosto. Queste tre date rimarranno ben impresse nella mente dei giapponesi ancora per molti anni. Non deve sorprendere, dunque, che nel 2014, a quasi settant’anni di distanza, un autore come Shigemichi Sugita, decida di tornare sull'argomento. A riprova di come, tutto ciò, abbia rappresentato e rappresenti ancora oggi, una ferita insanabile per ogni cittadino del Sol Levante.

A differenza di grandi capolavori del panorama nipponico, incentrati sulla guerra e sui tragici avvenimenti di Hiroshima e Nagasaki, come “Gen di Hiroshima”, “L’isola di Giovanni” di Shigemichi Sugita decide, invece, di puntare il proprio sguardo sul periodo post-bellico. Interessandosi, in particolar modo, a cosa accadde ai giapponesi che videro i propri spazi invasi dalle temibili armate russe e di come queste ultime si resero protagoniste di violenze e deportazioni. Il tutto, genuinamente filtrato, attraverso gli innocenti occhi di Giovanni e Campanella, due bambini dal cuore puro e dotati di una grande immaginazione.

Nella piccola isola di Shikotan, vivono due fratelli, Junpei e Kanta, ovvero Giovanni e Campanella, nomi dei due protagonisti di un racconto giapponese molto famoso in patria, "Una notte sul treno della Via Lattea" di Kenji Miyazawa. Nonostante la guerra stia imperversando in Giappone e nel resto del mondo, i due fratelli vivono una vita tranquilla e questo perché, da loro, la guerra non è arrivata, o almeno, non nelle sue forme più cruente. Il 14 agosto 1945, però, quando l’imperatore dichiara la resa giapponese, l’isola di Shikotan viene occupata militarmente dalle truppe russe. Da questo momento in poi, per Giovanni e Campanella, così come per gli abitanti dell’isola, le cose cambiano radicalmente. Molte famiglie sono costrette a cedere una parte della loro casa ai russi che, intanto, hanno dato inizio a continui moti di deportazione di massa. Il cibo viene razionato, le barche dei pescatori distrutte. Si innesca, ben presto, un vero e proprio scontro tra civiltà e culture diverse. Uno scontro che, soltanto grazie alla purezza e genuinità dei bambini, riuscirà a trasformarsi in incontro e nella possibilità di una convivenza pacifica con l’altro.

Ed è proprio nella convivenza con l’altro, con il nemico, che troviamo uno dei temi portanti del film. Una convivenza, invero, difficile, tra due popoli inconciliabili. Da una parte quello giapponese, un popolo prospero, che farà della solidarietà e del vivere in comunità due dei pilastri della propria società; dall’altra quello russo, un popolo dedito alla guerra, poco socievole e, da sempre, guardato con sospetto. Eppure, lì dove gli adulti vedono uno scontro certo, Giovanni e Campanella, intravedono la possibilità di conoscere l’altro e imparare a conviverci. Due veri promotori di integrazione sociale. Loro, che sono due sognatori senza speranza, spalancano le porte del proprio sogno, per farlo conoscere al mondo intero. Ecco, quindi, che a bordo del treno della Via Lattea, i due fratelli non precludono l’accesso a nessuno, nemmeno alla bellissima Tanya, la ragazza russa che insieme alla sua famiglia, si è “appropriata” della casa di Junpei e Kanta. I tre passeranno tanti momenti assieme, sia felici che tristi. Ed è attraverso le sequenze che li vedono protagonisti, che passano i messaggi più importanti dell’opera. Certo, la guerra fa schifo, perché divide i popoli e non fa distinzioni, colpendo anche i più piccoli, che la guerra non riescono a comprenderla. Certo, i vinti devono patire delle sofferenze atroci, ma i vincitori non se la passano tanto meglio, perché cambiare casa ogni anno, non è affatto facile e non lo è nemmeno integrarsi in un posto nuovo, dove tra l’altro, sei guardato con sospetto. Certo, la guerra impone delle regole rigide da rispettare, ma ai bambini delle regole non interessa nulla, specialmente a Giovanni e Campanella che, finché la loro immaginazione sarà viva, continueranno a viaggiare nell’universo sconfinato, senza catene e senza divisioni, a bordo del loro treno, aprendo le porte a chiunque vorrà entrare, perché a questo mondo si sta bene solo in compagnia, la solitudine lasciamola a chi piace alzare i muri e imporre i limiti.
D’altronde, questi sono solo nella nostra mente, mentre i sogni ci rendono liberi.