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Un argomento che per vent’anni di vita vissuta ha costantemente suscitato il mio interesse è, strano a dirsi, la caduta dell’Impero Romano. Non solo perché, più in generale, la Storia Romana, dalle origini di Roma fino al suo lento declino, rappresenta una delle materie da me studiate con maggior interesse, ma anche perché, entrando proprio nello specifico, mi ha sempre affascinato il racconto delle vicende che hanno portato alla caduta di una delle potenze più forti mai esistite, che governava su buona parte del mondo allora conosciuto. Eppure, soltanto all’università, quando lo studio diventa comprensione vera e propria, ne ho scoperto le cause, che, al netto di ciò che pensavo fino a qualche tempo fa, non risiedono nella venuta delle popolazioni barbariche e la presa di potere di Odoacre, o almeno, non solo in queste. Le motivazioni risalgono molto più addietro e riguardano la storia più antica del mondo, l’uomo contro sé stesso. Già, perché se i Romani erano riusciti a conquistare e sottomettere chiunque non obbedisse loro, lo dovevano solo ed esclusivamente alla loro forza e all’incessante bramosia di potere e ricchezze. Quella stessa bramosia che, di lì a poco, avrebbe portato alla loro rovina. D’altronde, come dicevo prima, questa è la storia più vecchia del mondo. L’uomo non è mai soddisfatto di ciò che ha e cerca sempre di avere di più. Il risultato lo conosciamo tutti. Ecco che, in “Laputa - Il castello nel cielo”, il buon vecchio Miyazaki, allora appena trentacinquenne, riprende questi insegnamenti così cari all’uomo, perché li conosce, ma non li mette in pratica, e dà vita a un’opera che esenta completamente dai lungometraggi Ghibli a cui ho preso visione più di recente.

Proiettati in questo mondo fantastico, grande marchio di fabbrica Ghibli, e a tratti distopico, facciamo la conoscenza dei due protagonisti. Pazu è un aiutante che lavora nella vicina miniera di carbone, dove la fatica è tanta e la soddisfazione poca. Orfano di entrambi i genitori, Pazu è un ragazzo umile, ma ambizioso, che vive nel mito del padre, colui che qualche tempo prima aveva visto Laputa, il mitico castello fluttuante nel cielo. Nonostante i continui racconti che se ne facevano, però, nessuno dette credito alle sue parole, tranne il figlio. Deriso da tutti e morto senza poter provare ciò che affermava, quest’uomo lascia al figlio un’eredità importantissima, ancor più del mero denaro. Il sogno di Pazu, che non ha mai messo in dubbio le parole del padre, infatti, è trovare la leggendaria Laputa. Una speranza, simile a una fiammella, che alimenta la sua vita monotona. Sheeta, come il piccolo Pazu, ha perso entrambi i genitori in tenera età e l’esercito l’ha presa sotto custodia. Un giorno, però, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, riesce a fuggire e, del tutto casualmente, mentre la cercano sia i soldati che i pirati del cielo, giunge presso la casa di Pazu. Da qui nasce il sodalizio e la promessa che li terrà legati insieme, così come il destino ha voluto: trovare Laputa, il mitico castello nel cielo, ed entrarvi mano nella mano. Le peripezie da affrontare saranno tante, ma grazie all’aiuto di Mama Dola e alla sua strampalata ciurma di pirati, sarà tutto più divertente e avventuroso.

Il cielo è il palcoscenico che ospita la nostra storia. Immersi in questo blu immenso, che ricorda molto il mare, attraversato da nuvole bianche e grigie, dominano mezzi di locomozione volanti di varia grandezza. Tra questi, il Goliath, che, quando solca il cielo tra le nubi, assomiglia tanto a un’orca in mezzo al mare. Tutti elementi che strizzano l’occhio alla narrativa fantastica steampunk e ci ricordano della passione per l'aviazione, esternata in "Si alza il vento", di Miyazaki. Al volante i nostri protagonisti, artefici di un’avventura unica, che cambierà per sempre le loro vite. Un’avventura per certi versi innovativa e che fa da preludio ad opere di più grande fama come “Il castello errante di Howl” e “La città incantata”. L’avventura è tutto e contribuisce a rendere la narrazione alquanto movimentata. Il ritmo è serrato e, tra un colpo di scena e l’altro, non c’è tempo per pensare. In questo, siamo molto lontani dal passo lento di un capolavoro come “Il mio vicino Totoro”. Molti rivolgimenti sono telefonati, ma lo stupore è sempre pronto a palesarsi sul volto dello spettatore, perché le animazioni sono stupende e di gran lunga superiori a tutto ciò che l’industria dell’animazione giapponese produceva in quegli anni, e le musiche, di strumenti a corda, tra cui il violino, e a fiato, come il flauto, riescono sempre a colpire nel segno. A dirigere l’orchestra il grandissimo Joe Hisaishi, icona dell’animazione giapponese anni ’80 - '90. L’arrivo a Laputa è magico. Il verde e il blu dominano i fondali, e ciò che più stupisce è la maturità dell’allora non ancora sensei, Hayao Miyazaki. Un talento senza pari, che riesce a dare il meglio di sé sia nelle animazioni, che nella sceneggiatura. Il finale è il carico da novanta e lascia due insegnamenti che non andrebbero mai dimenticati. Quando l’uomo è mosso dalla bramosia di potere e ricchezze, nulla di buono potrà accadere, come diceva il buon Lucrezio, e da allora sono intercorsi circa ventuno secoli. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, e questi poteri, materiali o immateriali che siano, l’uomo non è in grado di maneggiarli. Ancora una volta, Miyazaki riesce a fare centro.

In conclusione, “Laputa - Il castello nel cielo” è un film che ho apprezzato tantissimo. Trasuda Ghibli da ogni poro, nella scelta di puntare sulla componente amorosa e, ancor di più, su quella fantastica e, ovviamente, nelle animazioni. Specialità della casa, destinate a rimanere un must delle opere di Miyazaki. Adatto a tutti, ma soprattutto a chi cerca una storia avventurosa, verso una terra lontana.