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Bojji è un principe sordo e senza poteri che non riesce neanche a brandire una spada giocattolo. Essendo il primogenito, sogna di diventare il più grande re del mondo, ma molte persone sparlano di lui alle sue spalle, dicendo che è un buono a nulla e che non potrà mai essere un re. Bojji fa allora amicizia con un'ombra di nome Kage, che in qualche modo lo capisce molto bene. Kage è l’unico membro sopravvissuto di un clan di assassini, quasi del tutto spazzato via. Non più un assassino, ora continua a vivere rubando. La storia segue così la crescita di Bojji, mentre incontra diverse persone nella sua vita, a partire dal fatidico incontro con l'ombra.

Immaginate di imbattervi per puro caso in “Ranking of Kings”, leggerne la trama, così come riportata dal sito, notarne lo stile d’animazione fiabesco, quasi infantile, e iniziarlo, nella diffidenza più totale, perché magari un qualche vostro amico ve ne ha parlato bene e qualche consiglio, ogni tanto, è bene ascoltarlo, come è capitato a me. Partendo da queste premesse, probabilmente vi aspettereste un’opera mediocre, con qualche alto, ma troppi bassi. Condita di quel fanservice che piace troppo ai Giapponesi. Per farla breve, l’ennesima tra le tante. Ma invece, andando avanti, puntata dopo puntata, scoprite di avere a che fare con un anime maturo, molto più di tanta roba che si vede in giro, in grado di farvi provare emozioni fortissime, come non succedeva da tempo. A questo punto, dopo ventitré puntate, non potrete far altro che pensare ad una sola cosa: “È proprio vero che l’abito non fa il monaco!”

Già, perché a dispetto delle apparenze “Ranking of Kings” nasconde un lato maturo e sensibile e dei personaggi, a modo loro, carismatici, destinati ad entrare nel cuore dello spettatore, come Bojji e Kage. Dietro un finto velo di semplicità, quest’opera cela quella maturità necessaria a trattare temi come diversità, disabilità, amicizia e crescita personale, che negli ultimi tempi ho riscontrato solamente in “Koe no Katachi”, anche conosciuto col titolo inglese di “A Silent Voice”, con cui “Ranking of Kings” condivide più di qualche tematica. Innanzitutto, quella della disabilità, che diventa diversità. Bojji è il figlio di uno dei re più forti in vita, le cui gesta verranno ricordate in eterno. Il principe è il discendente della stirpe dei giganti, primogenito del re Bosse e, per questo, destinato ad indossare la corona reale. Bojji, però, è sordomuto, e questo, chiaramente, fa storcere il naso al popolo, che in alcun modo crede che lui possa diventare un buon sovrano. D’altronde, come potrebbe, essendo sia sordo che muto? Le persone parlano male di lui, consapevoli del fatto che non possono essere sentite, mentre invece il piccolo Bojji capisce tutto, perché col tempo ha imparato molto bene a leggere il labiale delle persone. Sa bene di essere schernito da tutti, ma, nonostante ciò, va in giro a testa alta, anche quando indossa solamente un paio di mutande. Il coraggio di certo non gli manca, ma il peso da portare sulle spalle è troppo per lui, sordomuto senza alcuna particolare abilità nel combattimento. Ecco, dunque, che quando arriva il momento della successione, gli viene preferito il fratello più giovane, Daida. In questo frangente, matura l’idea di partire per un viaggio, in compagnia del suo amico Kage.

Il viaggio permette al principe Bojji di fare nuove conoscenze e viene usato come espediente per la crescita personale a cui va incontro. Ancora convinto di poter, un giorno, diventare re e seguire le orme del padre, al principe non resta che seguire uno speciale addestramento, per migliorare l’abilità nel combattimento, in cui palesa le sue più grandi lacune. Ma occhio a pensare che la sua crescita si limiti solo a questo. Bojji, col passare del tempo, acquisisce sempre maggior consapevolezza dei propri mezzi. Impara certamente a combattere, ideando uno stile tutto suo, che sfrutta la velocità dei riflessi, addestrati in anni e anni di letture del labiale (debolezza che si tramuta in forza), ma soprattutto viene plasmato a diventare un buon re, magnanimo e gentile, come il suo modo di essere, seppur manchevole di un pizzico di autorità. La crescita a cui va incontro è esponenziale e vederlo sedere sul trono, dopo aver affrontato numerose peripezie, non può che emozionare lo spettatore. Lui, sordomuto dalla nascita, senza alcuna abilità nel combattimento, che diventa re. Lui, a cui nessuno avrebbe dato un soldo, perseguitato dalle maldicenze del popolo, come il suo migliore amico, Kage. Una storia di crescita e riscatto che, ancora una volta, ci insegna che nella vita nulla è impossibile.

Lo stesso discorso fatto per il principe, infine, lo si potrebbe estendere a Kage. Ultimo sopravvissuto del clan delle ombre, conosciute per essere grandi assassini, costretto a subire le peggiori delle angherie e degli abusi, che lo hanno trasformato in un ladruncolo da quattro soldi. Disprezzato da tutti e destinato a vivere una vita di solitudine e insoddisfazione, almeno fino a quando non incontra Bojji. Per un motivo a noi sconosciuto, Kage riesce a capirlo, e in breve tempo i due stringono uno stretto sodalizio. Il sordomuto e l’ombra, una accoppiata a dir poco stramba. Eppure, i due si completano perfettamente. Bojji trova finalmente qualcuno con cui comunicare liberamente e una spalla su cui contare nei momenti di difficoltà. Kage trova l’amico mai avuto e a lungo cercato, che gli permette di ritornare l’ombra dolce e gentile che era un tempo. L’amicizia tra i due è solidissima e, come ci mostra il finale, va ben oltre il potere e la ricchezza, ribadendo un concetto molto conosciuto, ovvero che chi trova un amico, trova un tesoro.

Queste tematiche, trattate con la maturità delle grandi opere, contribuiscono a rendere “Ranking of Kings” un piccolo capolavoro, di certo non privo di imperfezioni. È pensiero comune che verso il terzo quarto di stagione, l’opera viva un leggero calo, dovuto alla costante ricerca del colpo di scena, che alla lunga avrebbe rischiato di rovinare tutto. Così come è innegabile la mancanza di un certo realismo e, quindi, di drammaticità, che avrebbe reso l’opera ancora migliore. Ma, nonostante tutto, il finale alla vissero per sempre felici e contenti riesce sempre a mettere d’accordo tutti. Per il resto, Wit Studio non ha praticamente sbagliato nulla. Le animazioni, seppur nella loro infantilità, si adattano benissimo alla storia raccontata, che con il fiabesco condivide più di qualche elemento. Le musiche sono stupende, come testimoniano le due opening, più che orecchiabili e ricche di significato. Ottimo il character design, semplice ma efficace. Perfetto il doppiaggio, sia quello giapponese, che quello italiano, con l’immancabile Renato Novara. In entrambi i casi, ho apprezzato molto il lavoro, per nulla semplice, fatto per la voce di Bojji.

Per concludere, vi consiglio di mettere da parte lo scetticismo e di iniziare “Ranking of Kings”, perché non ne resterete delusi.