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Correva il 2006, anno storico in cui il cielo si tingeva di blu sopra Berlino, quando nelle sale giapponesi uscì “I Racconti di Terramare”, prima regia di Goro Miyazaki, figlio del più celebre Hayao Miyazaki, regista di fama internazionale, che con le sue pellicole ha segnato la generazione di adolescenti nati a cavallo tra gli anni ’80 e i primi anni ‘00. In realtà, come forse alcuni di voi sapranno, molto prima della pubblicazione di quest’opera, Goro non era per nulla incline a seguire le orme del padre, fermamente convinto che non sarebbe mai riuscito a raggiungere il suo stesso livello, e come dargli torto. Per questo motivo, raggiunta la maggiore età, si iscrisse alla facoltà di architettura e una volta laureatosi, progettò il famoso Museo Ghibli a Mikata. Ad un certo punto della sua vita, giunse però una svolta inattesa. Toshio Suzuki, manager dello Studio Ghibli e storico collaboratore del padre Hayao, impressionato dalle capacità organizzative e decisionali del giovane, lo convinse ad aiutarlo a creare un film d’animazione. Nonostante il parere contrario del padre Hayao, Suzuki assegnò a Goro la realizzazione degli storyboard dell'adattamento animato del romanzo “Tales of Earthsea” di Ursula Le Guin e, a dispetto di incertezze e paure iniziali, il lavoro di Goro venne parecchio apprezzato da Suzuki che, a quel punto, decise di assegnargli anche la regia del film. Nacque così “I Racconti di Terramare”, prima pellicola diretta da Goro Miyazaki, ancora oggi motivo di violente discussioni, tra i suoi detrattori, che lo ritengono "una cagata pazzesca" e i suoi sostenitori, che lo considerano, invece, un buon film.

Periodo storico imprecisato. Il mondo vive un periodo di pace e tranquillità, dopo l’aspra guerra tra uomini e draghi, che lo hanno sconvolto. La storia è ambientata in un arcipelago medievaleggiante, dove quella pace, conquistata con tanta fatica e sudore, sembra vacillare con la ricomparsa dei draghi. Questi ultimi, infatti, hanno ripreso a popolare i cieli e a combattersi tra di loro. Da questo momento, iniziano a manifestarsi pestilenze e malattie di vario genere, che uccidono bestie e uomini. Protagonista della storia è Arren, figlio del re, di un regno mai nominato. Quando siamo alle prime battute del film, il giovane si macchia di un delitto indicibile e fugge da palazzo. In viaggio senza meta, fa la conoscenza di Ged, detto Sparviere, l’ultimo arci mago rimasto, che lo prende sotto la sua ala protettiva. Da questi assunti di partenza, ha inizio l'avventura dei nostri due protagonisti, che lungo la loro via incontreranno nuovi personaggi e dovranno vedersela con un altro potente e oscuro mago, Aracne.

A dispetto di tutte le pessime recensioni lette e commenti ben lungi dall’essere lusinghieri, che mi avevano leggermente intimorito prima della sua visione, ho trovato questo film stranamente piacevole. Chiamatelo effetto sorpresa, dovuto al fatto che mi aspettavo meno di zero, chiamatelo effetto "non ci capisco una mazza" o "dipendenza da Ghibli", ma, conto ogni mia più rosea aspettativa, ho molto apprezzato “I Racconti di Terramare”, di cui, ci tengo a precisare, non ho letto l’originale a opera di Ursula Le Guin, che tutti reputano superiore e per nulla paragonabile alla mediocre controparte animata. Il film scorre bene, merito di una narrazione fluida, da molti criticata per i suoi, a me poco evidenti, buchi di trama disseminati per tutto il film. Giudizio, probabilmente, dovuto alle notevoli differenze con il romanzo da cui è tratto. Nonostante ciò, riconosco anche io che il film ha vissuto un’esperienza travagliata e che, in due punti cruciali della storia, ovvero l’incipit e il finale, pecchi di chiarezza. L’indicibile delitto di cui si macchia Arren, che rappresenta l’antefatto della storia, giunge ad una spiegazione molto poco soddisfacente, per giunta a film quasi concluso. Il finale, fin troppo frettoloso, vede ricomparire i draghi, queste figure misteriose di cui si racconta solo all’inizio e alla fine e di cui mai più si parla all’interno del film. Il blocco centrale, invece, è più che solido ed è qui che si consumano i discorsi filosofici e più profondi dell’intera opera. Si discorre della vita, della morte e della necessità di vivere, pur sapendo che un giorno, su tutto questo, calerà per sempre il sipario. Un vero e proprio inno alla vita, degna di essere vissuta e tanto preziosa perché finita. A tal proposito, mi sembra doveroso riportare il discorso di Sparviere: “Devi ascoltarmi Arren. A questo mondo, esseri che continuino a vivere per l'eternità non possono esistere. La cognizione dell'uomo che un giorno arriverà la propria morte è il meraviglioso dono che tutti abbiamo ricevuto dal cielo. Ciò che possiamo avere per noi, sono tutte e soltanto cose che un giorno dovremmo perdere. In questo è il seme della sofferenza, ma anche un grande tesoro, e così pure la misericordia del cielo, e anche la nostra vita”.

Si parla dell’uomo e del suo rapporto così controverso con la natura, grande must dei film targati Ghibli. Soprattutto, però, si discute sui concetti di bene e male, due facce della stessa medaglia, che non possono fare a meno l’uno dell’altro e la cui disquisizione mi ha tanto ricordato la frase di Sirius Black: "Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire. È questo quello che siamo." Non sarà certo merito di Goro, ma è lampante che il film attinga da una materia narrativa alquanto intrigante e matura. Al netto, dunque, di alcuni errori grossolani nella sceneggiatura e chiarimenti, o meglio approfondimenti, mancati, che avrebbero arricchito la storia, il prodotto finale resta comunque di buona fattura e molto lo si deve alle animazioni, stupende ed incantevoli come sempre. Leggermente sottotono, a mio parere, invece, il comparto musicale, incapace di regalare allo spettatore una colonna sonora degna di essere ricordata, ma di cui ho apprezzato le musiche molto rievocative della trilogia de “Il Signore degli Anelli”.

Per concludere, oserei dire che siamo dinanzi al classico caso di fama, in questo caso pessima, che precede il film. “I Racconti di Terramare”, a cui ho preferito il successivo “La Collina dei Papaveri”, non sarà di certo un capolavoro, ma occhio a non farvi ingannare, né irretire da ciò che leggete in rete. D’altronde, lo sanno tutti che non bisogna giudicare un libro dalla copertina.