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8.5/10
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Ricorrentissimo nei suoi lungometraggi, da “Laputa - Il Castello nel Cielo” passando per “Il mio vicino Totoro”, il tema del volo, in particolare quello umano, ha da sempre interessato il sensei Hayao Miyazaki. Un amore naturale, dovuto al fatto che il padre era il direttore della Miyazaki Airplane, azienda che produceva componenti aeronautici, con cui il giovane Miyazaki ebbe a che fare sin dalla più tenera età. Per quanto le opere sopracitate trattino questo tema, però, lo fanno solo in modo estremamente marginale. A conti fatti, sono due i lungometraggi in cui il tema del volo è trattato compiutamente, fungendo da fulcro della vicenda narrata: “Porco Rosso” e “Si Alza il Vento”. Due film profondamente diversi, il primo più avventuroso e totalizzante, il secondo più adulto e lento nella sua narrazione. E se il lungometraggio del 2013 non è riuscito nell’intento di catturare appieno il mio interesse, costringendomi a una pausa nel mezzo della sua visione, quello pubblicato nelle sale cinematografiche nel 1992 gli è stato di gran lunga superiore. D’altronde, non è un mistero che il Miyazaki di quegli anni fosse in forma smagliante.

La storia è ambientata nell'Italia degli anni '20. Marco Pagot è un ex-pilota sopravvissuto alla Grande Guerra, che, al termine di quest’ultima, si è misteriosamente trovato con le sembianze di un maiale, probabilmente colpito da una fattura o un maleficio. Ora si guadagna da vivere dando la caccia ai pirati che spadroneggiano sui cieli dell'Adriatico ed è diventato famoso con il nome di battaglia di “Porco Rosso”. Ormai stanchi delle sue intrusioni, i pirati del cielo hanno deciso di metterlo fuori gioco, affidando l’incarico al pilota americano Curtis, il quale vuole farsi un nome abbattendo il suo temuto idrovolante rosso. A causa di una serie di circostanze fortunate, Curtis riesce nel suo intento, abbattendo Marco e costringendolo a un atterraggio di fortuna. Per riparare il suo povero idrovolante, Marco lo porta a Milano, presso la ditta del suo amico Piccolo, dove fa la conoscenza della giovane Fio che, nonostante i suoi diciassette anni, è un genio nella progettazione degli aerei e si propone per riprogettare il suo idrovolante. Anche in questa città, però, Porco Rosso non ha vita facile. Per troppo tempo ha manifestato apertamente la sua contrarietà al regime fascista e ora è diventato un ricercato. Costretto a una rocambolesca fuga, durante la quale si deve portare dietro anche Fio, fa ritorno sull'Adriatico, dove dovrà vedersela con Curtis e con i pirati del cielo che lo stanno aspettando per regolare i conti in sospeso.

Un po’ realista, un po’ fantastico, il film porta chiaro e preciso il marchio di Miyazaki. Ambientato in Italia, nel periodo a cavallo tra le due Guerre Mondiali, mentre il fascismo si impossessa del Paese intero, “Porco Rosso” offre la possibilità al sensei di trattare, seppur di sfuggita, il tema della guerra, disprezzata in ogni sua forma. Celebre, a tal proposito, la frase pronunciata da Marco: “Piuttosto che diventare un fascista meglio essere un maiale”. Immancabile la componente fantasy, unica nota dolente, ma neanche troppo, del film. Marco è un essere umano, che ha preso le sembianze di un maiale. Alcuni dicono che sia stato per via di un maleficio, altri perché non abbia tenuto fede a un patto, ma nessuno conosce la verità, che mai verrà svelata. È chiaro che al sensei serviva un espediente per fare del suo protagonista un maiale e poterlo chiamare Porco Rosso. Il mistero rimane tale, irrisolto, laddove si sarebbero potuti, invece, offrire dei chiarimenti. Favolosa l’ambientazione sull’Adriatico, che con il suo colore azzurro ha creato lo scenario perfetto su cui far sfrecciare l’idrovolante rosso Ferrari di Marco. Ancora più suggestivo l’isolotto sperduto in mezzo al mare, su cui si erge l’Hotel Adriano, assiduamente frequentato da Porco, dai suoi “colleghi” aviatori e dalla bella Gina, che sembra ricalcare la conformazione dell’isolino di San Giovanni nel Lago Maggiore. Quella rappresentata da Miyazaki è un’Italia patrimonio di luoghi idilliaci e poetici, come l’isolotto su cui si è rifugiato Marco, nei pressi della costa croata, bella fuori e brutta dentro, nel momento più buio di tutta la sua storia. Poco da dire sulla narrazione, scorrevole e appassionante, come solo il sensei sa fare. La vita di Porco è un continuo avvicendarsi di avventure pericolose, talvolta bizzarre, come la scazzottata finale con l’americano, e non manca il tempo di tessere, seppur in maniera molto abbozzata, le fila di una storia d’amore che coinvolge il protagonista, come a voler sottolineare che la bellezza è tutta dentro. Il cliffhanger finale, poi, è la ciliegina sulla torta, che lascia libera interpretazione allo spettatore, speranzoso che il futuro possa sorridere al buon vecchio Marco. Sono tutte queste cose messe insieme che fanno di “Porco Rosso” un film piacevole, da vedere tutto d’un fiato, in compagnia delle musiche stupende del maestro Joe Hisaishi, anche lui in quegli anni nel meglio della propria carriera da musicista.

Un cult vero e proprio, da vedere assolutamente.