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Come spiegare, a parole, l’emozione provata dopo aver visto, finalmente, al cinema “The First Slam Dunk”, il vero film conclusivo dell’anime andato in onda ormai trent’anni fa? Come trasmettere le sensazioni che si sono aggrovigliate dentro di me, nel vedere la parabola dei combinaguai dello Shohoku giungere al suo naturale compimento? Onestamente, ancora non lo so. Sono uscito dal cinema meno di tre ore fa, ma credo che questa sia una recensione da scrivere a caldo, quindi, ci provo lo stesso.

La storia, quella del manga, nonché della serie originale, è ambientata negli anni '90 ed è incentrata sulle vicende di un teppista, Hanamichi Sakuragi e della squadra di basket di cui, quasi per caso, entra a far parte, lo Shohoku. L’anime segue, molto da vicino, la crescita dei personaggi in quanto singoli, ma anche e soprattutto come collettivo. Mai come in questo caso, lo sport si tramuta in possibilità di riscatto sociale, per quelli che, almeno all’inizio, appaiono come dei teppisti di quartiere, fatta eccezione per il solo Akagi, il capitano dello Shohoku. Questi ragazzi, che fanno del basket la loro ragione di vita, si impegnano a fondo negli allenamenti e, nonostante i continui scontri interni, in particolar modo quelli tra Hanamichi e Rukawa, riescono a qualificarsi per il torneo nazionale, come rappresentati della Prefettura di Kanagawa. “The First Slam Dunk” riparte proprio da questo punto, dove anni fa si è interrotta la serie originale. Il film si concentra sul personaggio di Miyagi e racconta della partita di debutto dello Shohoku, che si trova a dover affrontare “l’imbattibile Sannoh”, la squadra campione in carica del torneo nazionale.

Il film, diretto dal creatore dell’opera originale, Takehiko Inoue, è un capolavoro assoluto. Un tripudio di emozioni difficili da spiegare a parole. Da amante del manga, che ritengo il miglior spokon mai realizzato, al pari soltanto di “Ashita no Joe”, attendevo questo film con ansia, soprattutto conoscendo quale sarebbe stato il suo contenuto. L’idea di racchiudere la parte finale del manga nella cornice rappresentata dalla storia inedita della vita di Miyagi l’ho trovata lungimirante, considerando anche che Ryochin è il mio personaggio preferito della serie. In questo modo, il film offre la possibilità di rivivere una delle partite più belle e spettacolari dello sport fumettistico giapponese, e l’opportunità di conoscere il passato di uno dei grandi protagonisti dello Shohoku, che ha incantato migliaia di lettori nel mondo con le sue giocate, Ryota Miyagi. Le scene sul parquet si alternano magistralmente ai flashback sul playmaker dello Shohoku, di cui si approfondisce la situazione familiare e il rapporto, non sempre felice, con il basket, lo sport che gli ha permesso di riscattarsi socialmente. Perché, e questo è bene ricordarlo, “Slam Dunk” non parla solamente di cinque adolescenti scontrosi che si lanciano un pallone da basket. Il capolavoro di Inoue racconta le vicende di ragazzi che all’inizio della storia sono considerati alla stregua di semplici teppisti di quartiere, come ce n’erano tantissimi nel Giappone degli anni ’90, ma che grazie al basket hanno la possibilità di far sentire la loro voce, come se dicessero: “Voi non ci prendete minimamente in considerazione, ma noi ci siamo, e prima o poi ve ne renderete conto!”. Da Miyagi a Mitsui, da Hanamichi a Rukawa, il basket sarà per loro l’unico mezzo possibile per approdare ad una forma totale di rivendicazione sociale. Da qui nascono i brividi dello spettatore nel veder cambiare il parere del pubblico sullo Shohoku, nel corso della partita contro il Sannoh, come accade nel celebre duello tra Rocky ed Ivan Drago, in Rocky IV. Le lacrime, nel rivedere, riproposte in una veste completamente nuova, quella della CGI, le scene iniziali del manga e il ciuffo ribelle di Hanamichi. Le risate provocate dalla sua spavalderia e sfrontatezza, tipiche di chi non ha paura di niente e di nessuno. La tensione, quella che nasce dal silenzio assordante dell’ultima scena, con quel pallone in procinto di entrare nella rete, ma che potrebbe anche colpire il cerchio e spezzare i sogni dello Shohoku. L’emozione inspiegabile, un misto di gioia e nostalgia, al cinque dei due grandi rivali, Hanamichi e Rukawa. Momenti spettacolari, accompagnati da un comparto musicale eccelso, che riesce a coinvolgere a pieno lo spettatore. La sensazione è quella di essere parte integrante della scena e di star assistendo alla partita non da dietro ad uno schermo, ma al fianco del coach Anzai. Sensazioni che solo un film magistralmente realizzato come “The First Slam Dunk” può far provare.

Certo, per chi ha letto il manga, il finale non è una novità, perché, come era giusto che fosse, Inoue è rimasto fedele alla sua opera. Eppure, come diceva il mitico Giorgio Faletti in “Notte Prima degli Esami”, l’importante non è quello che trovi alla fine della corsa, l’importante è quello che provi mentre corri. E quello che ci ha fatto provare Inoue, con il manga prima e il film circa trent’anni dopo, beh, quello non potrà darcelo mai nessun’altra opera.