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In questi giorni di caldo afoso, in cui mi ritrovo con più tempo libero del solito, come non lo avevo da tre anni a questa parte, mi è sembrato di ritornare all’idilliaco periodo delle superiori. Dopo le usuali sei ore di lezione, che erano come un pugno in un occhio, la routine al suono della tanto agognata campanella era sempre la stessa: chiacchierata e partita a biliardino con gli amici fuori scuola, passeggiata di circa un quarto d’ora per tornare a casa, pranzo, compiti per il giorno dopo (non sempre) e bingewatching matto da legare, altro che Little Tony. Ad oggi, l’università ha preso il posto della scuola e gli anime hanno scalzato alla grande le serie TV, ma, nonostante il basso ritmo tenuto negli ultimi anni, considerati i miei passati trascorsi, mi sono reso conto che è impossibile cambiare la natura di un ‘bingewatcharo’ come me. Ho cominciato a farmene un’idea tempo orsono guardando “Fullmetal Alchemist: Brotherood” e me ne convinco definitivamente oggi, dopo aver terminato la visione di “Sakamichi no Apollon”. Se un anime mi conquista già al primo episodio, non ci sono orari proibitivi né impegni improrogabili che tengano, come scrivere la tesi di laurea, è cassazione che io lo debba finire in massimo due giorni, e così è stato.

“Sakamichi no Apollon” è una storia che si fonda sull'amore, sull'amicizia e sulla musica: la storia di due ragazzi, l'uno candido e l'altro riottoso, che diventano grandi sullo sfondo di una cittadina di provincia della Prefettura di Nagasaki dei tardi anni Sessanta, in concomitanza con il sanguinoso periodo delle proteste studentesche, che iniziano a divampare in Giappone, Stati Uniti ed Europa. È l'estate del 1966 e Kaoru si trasferisce da Yokosuka nel Kyushu, iscrivendosi al liceo locale. A causa del lavoro del padre, la sua famiglia continua a spostarsi di città in città, in un ciclo tristemente ripetitivo. Per Kaoru, la scuola è soltanto un luogo che gli è ostile e difficile, in cui è costretto ogni volta a doversi adattare senza riuscirci, finendo per essere perennemente l'escluso e dover sopportare tutto in ogni nuovo istituto. La vita di Kaoru cambia definitivamente quando, durante l'ennesimo primo giorno di scuola, incontra dapprima la bella Ritsuko, cui si avvicina, e poi il problematico Sentaro, teppista da strapazzo e grande batterista. Inizia per lui un nuovo capitolo della sua, fino a quel momento, triste e monotona vita, di cui la musica jazz sarà il vero filo conduttore.

Con “Sakamichi no Apollon” è stato amore a prima vista. Le animazioni fluide offerte dallo Studio MAPPA e i fondali sono risultati sin da subito in perfetta sintonia con l’ambientazione storica dell’anime, mentre la musica jazz e la regia del grande Shin'ichirō Watanabe mi hanno riportato alla mente i giorni in cui guardavo quella meraviglia senza tempo che è “Cowboy Bebop”. Se a delle grandi animazioni e delle musiche che fanno vibrare tutto il corpo si aggiunge la componente romantica, per quanto mi riguarda, l’opera in questione ha tutte le carte in regola per imporsi come un autentico capolavoro. Tratto dall’omonimo manga josei, “Sakamichi no Apollon” ci offre uno squarcio di vita quotidiana di tre adolescenti, che si trovano ad affrontare tutte le rogne che la loro età comporta. Oltre ai problemi di cuore e alle litigate tra amici, l’anime tratta anche temi più adulti, come si richiede a uno josei, tra cui l’abbandono e la difficoltà di essere all’altezza delle aspettative. Kaoru e Sentaro vengono da due mondi tanto diversi, quanto simili sono i problemi che li attanagliano. In questa sofferenza generale, entrambi trovano nel jazz la loro personalissima valvola di sfogo e la vera ragione per cui un teppista e un ragazzo di buona famiglia riescono a stringere amicizia. Ovviamente, la presenza della bella e candida Ritsuko crea quello che è il più classico dei triangoli amorosi, in cui lui ama lei, ma lei ama l’altro e l’altro è quasi sempre il di lui migliore amico. Quando si parla di amore e amicizia in un anime, però, il pericolo che si rischia di correre è sempre lo stesso, che questi due filoni vadano ad escludere qualsiasi altro, in questo caso quello musicale. Alcuni forse avrebbero da ridire, ma, a mio modesto avviso, alla musica non viene dato il giusto spazio; nonostante ciò, l’anime offre delle scene di grandissimo impatto acustico e visivo, difficili da dimenticare, come la jam session in stile “I sospiri del mio cuore” e l’esibizione piano e batteria di Kaoru e Sentaro al festival scolastico, che si cimentano nella loro versione jazz di “My Favourite Things”. Alla quantità si può sempre sopperire con la qualità, e di qualità ce n’è tanta, almeno nelle scene interamente dedicate al jazz. Il grande tallone d’Achille, o per meglio dire i talloni, che trasformano “Sakamichi no Apollon” da possibile capolavoro ad ottimo prodotto, sono due: l’eccessiva dose di dramma e la sua breve durata. Tutti i protagonisti, chi più e chi meno, vivono complicate situazioni familiari, tra chi è stato abbandonato dal padre e chi, invece, non lo vede mai per motivi di lavoro e ne sente terribilmente la mancanza. Magari suonerà male alle orecchie di alcuni, ma non sarebbe sbagliato etichettare questi personaggi come problematici. La vita ci insegna, però, che da situazioni di questo tipo è possibile uscirne, cercando conforto nelle poche cose che ci fanno stare realmente bene, come potrebbero essere l’amore e l’amicizia. Eppure, in “Sakamichi no Apollon”, anche ciò che dovrebbe rappresentare un’ancora di salvezza, finisce per diventare principio di altri problemi. Un po’ come giocare a jenga, togli sotto e metti sopra, fino a quando la torre non crolla. L’impressione è che l’anime tratti effettivamente temi da josei, ma sbaglia nei modi, avvicinandosi di più ad uno shojo, in cui, talvolta, certe decisioni finiscono con l’essere scontate e prevedibili. In troppe occasioni, il dramma non è solamente eccessivo, ma anche fuori luogo. Nonostante ciò, anche su questo punto il sottoscritto è disposto a chiudere un occhio, perché di familiarità con gli josei ne ho veramente poca e, magari, è usanza comune trattare certi temi in questa maniera. Ciò che veramente non posso perdonare a “Sakamichi no Apollon” è la fretta. Lo so, probabilmente, all’epoca, lo Studio MAPPA non aveva il budget per fare una serie più lunga, ma dodici puntate per adattare un manga che conta dieci volumi è un crimine contro l’umanità, che non rende onore all’opera originale. In alcuni frangenti della storia, è palese che sia stato omesso qualcosa di importante, se non addirittura fondamentale e, alla conclusione di tutto, il prodotto finisce per l’essere buono solo a tre quarti. È, ahimè, uno dei più grandi luoghi comuni della storia, che in questo caso si rivela tristemente vero: il ragazzo è bravo, ma non si applica. Quanta differenza avrebbero fatto ventiquattro puntate, invece di dodici, purtroppo, lo posso solamente immaginare.

Lo dico onestamente, la sensazione dopo aver terminato “Sakamichi no Apollon” è stata di insoddisfazione mista a delusione, colpa sicuramente delle alte aspettative che mi ero creato. L’anime parte in maniera stupenda e mantiene un livello altissimo fino ai due terzi della storia, riuscendo a coinvolgere completamente lo spettatore, merito anche della musica jazz. Proprio nelle battute finali, quelle che decidono le sorti di ogni opera, però, l’anime segnala un calo non trascurabile, senza mai sfociare nel mediocre, ma la lasciando in bocca un sapore dolceamaro e la sensazione che, forse, si sarebbe potuto fare di meglio.