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Caso più unico che raro, insieme con “Lupin III - La prima serie”, di anime che, qui sul sito, conta un totale di zero pollici rossi in ventisei puntate, “Conan, il ragazzo del futuro” rappresenta uno di quei viaggi difficili da dimenticare, che ti segnano dentro profondamente.

Correva l’anno 1978, l’ultimo lavoro di Hayao Miyazaki risaliva al 1972 ed era stato l’episodio pilota di “Yuki no Taiyō”, serie animata che avrebbe dovuto adattare l’omonimo manga di Tetsuya Chiba, il disegnatore di “Ashita no Joe”. Il risultato finale non convinse i produttori, che, pertanto, bloccarono e annullarono la creazione della serie. Per i sei anni successivi, dunque, Miyazaki ebbe tempo a sufficienza per lavorare alla composizione e alla regia di “Conan, il ragazzo del futuro”, una serie che avrebbe completamente stravolto il mondo dell’animazione giapponese. In anni in cui i ragazzini di tutto il mondo imparavano a conoscere, per la prima volta, il nome di Capitan Harlock e gli anime seguivano uno standard tecnico medio-basso, “Conan, il ragazzo del futuro” entrò a gamba tesa a stravolgere questa tendenza. Grazie alla perizia nei disegni e all’accuratezza nella scelta dei colori, che avrebbero caratterizzato tutte le sue opere successive, Hayao Miyazaki creò, innanzitutto, un anime bello da vedere, con animazioni fluide, quasi mai riciclate, e che fa del dinamismo uno dei suoi tratti distintivi. Tutte qualità che rendono “Conan, il ragazzo del futuro” una pietra miliare dell’animazione giapponese, che non sente assolutamente il peso degli anni.

Nel mese di luglio dell'anno 2008, la razza umana sfiorò la completa estinzione. In pochi istanti, le armi elettromagnetiche cancellarono più di metà degli esseri viventi dalla faccia del pianeta. Il cataclisma causò uno spostamento traumatico dell'asse terrestre, e i continenti finirono quasi interamente sommersi dalle acque. Circa vent’anni dopo, tra il 2028 e il 2030, in un mondo post-apocalittico, il giovane Conan, ragazzino vivace e dotato di una grande forza, viaggia per ritrovare l'amata Lana, dolce ragazzina che è stata rapita e portata ad Indastria, una città tecnologicamente avanzata e guidata da un dittatore.

Liberamente ispirata al romanzo “The Incredible Tide” di Alexander Key, la serie tratta molte delle tematiche care a Miyazaki, ricordando in alcuni frangenti soprattutto “Nausicaä della Valle del Vento”, ma lo fa in una maniera completamente diversa, innovativa. Ci sono fantascienza e azione, ma non c’è fantasy, eppure Conan assomiglia di più a un supereroe dei fumetti, che a un semplice essere umano. Nonostante gli appena dodici anni, Conan è dotato di grande forza fisica, velocità e resistenza sovrumana, corre e nuota più veloce di qualsiasi adulto e ha la capacità di trattenere a lungo, circa tre minuti, il respiro sott'acqua. Molto abile con la sua fiocina, riesce a usare le dita dei piedi, dotate di una plasticità fuori dal comune, quasi come le dita delle mani, e sfrutta la sua abilità per arrampicarsi e usare gli oggetti anche senza mani e braccia. Grazie alle sue capacità riesce, in diverse occasioni, a fronteggiare persone fisicamente più grandi di lui, come i soldati di Indastria, e a sfuggire ad assalti con armi da fuoco. Insomma, come accade in molti degli anime dell’epoca, Conan sfida le leggi della fisica, piegandole al proprio volere, presentandosi come un protagonista che non brilla per originalità, ma la cui simpatia e il cui senso di giustizia, rievocativi del Perceval di Chrétien de Troyes, lo rendono un eroe perfetto per la storia che Miyazaki ci ha voluto raccontare. Conan non agisce mai per i propri scopi, ma sempre e solo per il bene altrui, che sia quello della bella Lana o del minacciato popolo di Indastria. E non è un caso che Miyazaki, come in tutti i film successivi, scelga un ragazzino come protagonista, perché questi ultimi rappresentano la vera essenza della purezza, non ancora contaminata dagli adulti e dal loro egoismo. Conan si rende protagonista del sempiterno viaggio dell’eroe, durante il quale deve affrontare numerose sfide, a guisa di principe delle fiabe, per salvare più volte la propria amata. Le avventure raccontate sono tante, alcune anche simili tra di loro, e, nonostante non si abbia mai l’impressione che Conan possa fallire, riescono a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Miyazaki racconta una storia semplice, ma dal grande impatto emotivo, di cui si serve per trasmetterci il proprio pensiero. Miyazaki ripudia la guerra in tutte le sue forme; denuncia la forte disparità sociale vigente sull’Isola di Plastica, dove Conan incontra l’amico Jimpsey, in un chiaro riferimento alla situazione che viveva il Giappone dell’epoca; loda l’amicizia più sincera e l’amore più puro e romantico; mette a nudo l’ipocrisia umana e ne apprezza la sporadica saggezza; inneggia alla vita e sostiene l’importanza della famiglia; accusa la prepotenza di certi uomini e qualsiasi forma di totalitarismo e dittatura; difende strenuamente l’idea di una convivenza pacifica con madre natura, sempre costretta a subire le malefatte dell’essere umano. “Conan, il ragazzo del futuro” è una sorta di piccola fiala, che raccoglie in sé la vera essenza del sensei. Ancor prima di “Nausicaä della Valle del Vento”, è questa la vera opera manifesto di Miyazaki e della sua poetica, in cui il bene vince e vincerà sempre sul male, perché la speranza per un futuro splendente non può e non deve assolutamente affievolirsi.

Sulla bellezza del comparto tecnico non mi dilungherò oltre, in quanto credo di essere già stato sufficientemente esaustivo. Per quanto riguarda il comparto musicale, mi basta dire che “Conan” di Giorgia Lepore ha segnato l’infanzia di migliaia e migliaia di bambini in tutto il mondo.

“…Ci sono i sogni, tutti quelli che fai,
Che non moriranno mai,
C'è la speranza, che d'ora in poi,
Un futuro avremo noi…”

Al termine di “Conan, il ragazzo del futuro”, sono stato pervaso da una grande gioia, ma anche da un dubbio esistenziale: cosa avrebbe potuto regalare Miyazaki al mondo dell’animazione giapponese, se avesse lavorato un po’ di più alla composizione di serie animate e un po’ meno a quella dei film? Probabilmente, non lo sapremo mai e, forse, è anche giusto così.