Come si valuta una buona Collection? Ognuno potrebbe trovare una risposta in base a ciò che ritiene più importante, quale può essere un rapporto quantità-prezzo tipo banco del pescivendolo, oppure la qualità delle conversioni tramite un’analisi tecnica. Quando però non si ha a che fare con una raccolta monotematica (come può essere quella di una saga o di una casa di sviluppo) ma bensì con una Collection massiva che si prefigge lo scopo (sulla carta alquanto improbo) di rappresentare una console storica quale è stata il Mega Drive, allora sopraggiunge un altro fattore: la varietà dell’offerta ludica ed eventualmente di approfondimento storico.


Premesso che non esiste e non esisterà mai la Collection definitiva, ad ormai quasi trent’anni dalla sua uscita sul mercato occidentale il Mega Drive ha raggiunto uno status di culto, il cui legittimo quanto un po’ svogliato sfruttamento commerciale da parte di Sega rischia però di imbrigliarlo all’interno di una bolla fatta di autoreferenzialità, non sempre in grado di dispensare, oltre una certa offerta preconfezionata, ciò che il Mega Drive rappresentò davvero per la generazione di inizio anni novanta. Rispetto alla Sega Mega Drive Ultimate Collection, uscita una decina di anni fa per PS3 e Xbox 360, la qui presente Mega Drive Classics compie qualche passo avanti (13 per l’esattezza), ma al contempo la sua softeca, fin troppo convenzionale e priva di sorprese, unita ad alcune esclusioni più o meno eccellenti, lasciano sotto la patina di questa bella cameretta virtuale anni ‘90, un po’ l’amaro in bocca.

Valutare uno ad uno i 53 titoli presenti sarebbe folle, come evidenziato all’inizio si potrebbe quindi optare per una suddivisione nei generi più popolari, e vedere quanto e con quali giochi sono rappresentati all’interno di questa Collection.


Quando si parla della generazione 16-bit viene naturale pensare immediatamente ai platform, la tipologia di giochi che indubbiamente andava per la maggiore, e Sonic the Hedgehog non poteva che esserne l’ovvia portabandiera e titolo di punta. Sega ripropone per l’ennesima volta i primi due capitoli della serie classica in versione originale (quindi niente Dash per il primo Sonic, come invece avviene sui sistemi mobile), nonché il discusso Sonic 3D Flickies’ Island di Traveller’s Tale. Risalta quindi subito all’occhio l’assenza di Sonic the Hedgehog 3 (& Knuckles) a chiudere la trilogia, un’assenza ingiustificata, per quello che da molti è considerato (non a torto) l’apice della serie, che ormai perdura su console dai tempi del Market Place di Xbox 360 e della Virtual Console di Wii. Poiché in questa Collection non mancano trilogie complete (Streets of Rage, Golden Axe), viene da chiedersi cosa caspita abbia la casa madre nei confronti di Sonic 3. Secondo alcuni sospettosi fan, Sega avrebbe il timore di azioni legali dovute ad alcune musiche le quali, come sicuramente molti sapranno, sarebbero state composte da un non accreditato Michael Jackson in persona (per maggiori informazioni si faccia riferimento a questo video); la latitanza delle ripubblicazioni di Sonic 3 coincide in effetti con la data della sua morte, avvenuta nel 2009, ma la motivazione appare comunque abbastanza forzata, dacché la versione Windows, comprendente del suo sequel/add-on Knuckles, non sembra soffrire di questo dilemma (a cui però furono cambiate alcune tracce sospette, il mistero quindi persiste).


Sonic 3D di certo non ripaga l'assurda assenza del terzo episodio, anche se va detto che, se considerato come un Sonic diverso dalla solita formula, come gioco ha le sue qualità e i Traveller’s Tales di Jon Burton sapevano sfruttare il Mega Drive come pochi altri. Come platform in alternativa al porcospino si segnalano Alex Kidd in Enchanted Castle, unico capitolo della serie ad essere apparso su Mega Drive (già all’epoca considerato abbastanza scialbo rispetto ai trascorsi Master System), il colorato e gradevole Ristar, il Kid Chameleon del Sega Technical Institute di Mark Cerny, l’assurdo DecapAttack, Dynamite Headdy e il trip allucinogeno ToeJam & Earl. Tirando le somme si può dire che il genere dei platform sia ben rappresentato; ne mancano ovviamente diversi, come Earthworm Jim o i platform targati Disney quali lo splendido Aladdin e la serie Illusion, ma quando si tratta di prodotti della casa di Topolino le beghe sulle licenze di utilizzo sono abbastanza comprensibili, mentre se qualcuno nomina il petulante Bubsy capisci che sta raschiando il fondo del barile.

Spiace non poter contare sulla stessa varietà per quanto concerne invece gli shoot ‘em up, campo su cui il 16-bit Sega poteva contare su titoli di primo piano non di rado invidiati dalla concorrenza del Super Nintendo, e il pensiero scorre immediatamente ai tre celebri Thunder Force di Technosoft, piuttosto che ad un più sofisticato Musha Aleste, qui del tutto assenti. La Mega Drive Classics propone Bio-Hazard Battle, Galaxy Force II, Space Harrier II e Super Thunder Blade (oltre all’ibrido Monster Lair), tutti buoni giochi, ma è lecito pensare che forse si poteva fare di meglio.


Decisamente migliore la situazione per chi ai proiettili preferisce le sane mazzate. Le due trilogie di Streets of Rage e di Golden Axe sono al completo, con tutto il loro repertorio di indimenticabili musiche, skyline e iconici personaggi. Ad essi si aggiungono Altered Beast, all’epoca titolo di lancio non proprio invecchiato benissimo, mentre per la pura azione orizzontale si ha a disposizione ampia scelta con i frenetici Shinobi, Gunstar Heroes, Vectorman, Alien Storm, Alien Soldier, ESWAT, lo stiloso Comix Zone e lo stealth Bonanza Bros. Virtua Fighter 2 (la versione pezzotta 2D) è invece il solo rappresentante dei picchiaduro ad incontri, a meno che non si voglia considerare tale anche la modalità Duel di Golden Axe.

Eccellente l’offerta di RPG, forse il genere meglio rappresentato in questa collection. Avere a disposizione in un colpo solo Phantasy Star II, III, IV, Shining in the Darkness, Shining Force, Shining Force II, Fatal Labyrinth e Sword of Vemilion, si traduce in una quantità incalcolabile di ore di gioco, a cui si aggiungono gli ottimi action rpg isometrici Landstalker e Light Crusader, e gli action adventure Ever Oasis e Wonder Boy in Monster World, insomma ce n’è per tutti gli appassionati.


Se invece si amano i racing, allora la Mega Drive Classics non è la collezione adatta; spiace ed è in un certo senso ironico, per la console che si vantava della sua velocità di calcolo sulla diretta concorrente con la campagna di marketing “blast processing”, non trovare neanche un gioco di corsa, le assenze di un quasi ovvio Super Hang-On, oppure di un qualche OutRun, lasciano quantomeno perplessi. È probabile che Sega li ritenga ancora all’altezza di essere venduti separatamente, questo però non giustifica l’omissione di giochi di questo calibro da una raccolta che dovrebbe simboleggiare il Sega Mega Drive nel modo più completo possibile. A tal proposito, pesa abbastanza anche l’assenza di uno dei maggiori successi del Natale 1992, presente invece nella precedente raccolta, ossia lo splendido Ecco the Dolphin.

Sul fronte puzzle ritroviamo Columns, Columns III (il secondo fu esclusiva arcade) e Dr. Robotnik’s Mean Bean Machine. Columns nacque con lo scopo di dotare il Game Gear del “suo” Tetris, ma non sfigurò affatto sulla console maggiore, anche se di lì a poco verrà superato (almeno in Giappone) da Puyo Puyo di Compile, molto più divertente in due giocatori, e che in occidente divenne appunto Dr. Robotnik’s Mean Bean Machine.


Rispetto alla Mega Drive Ultimate Collection, in questa nuova raccolta è presente il multiplayer online in alcuni selezionati giochi, sia competitivo (Columns, Virtua Fighter 2) sia cooperativo (Streets of Rage, Golden Axe, Monster Lair..). Filtrando dallo scaffale virtuale i giochi che ci interessano allo scopo, il sistema di matchmaking effettuerà la ricerca di altri giocatori in background, durante la quale possiamo continuare a giocare per conto nostro. La collection include inoltre una ventina di sfide, ognuna dedicata ad un diverso gioco, che richiedono di raggiungere determinati requisiti oltre ai classici trofei/obiettivi, aggiunta che tuttavia sopperisce solo in parte l’assenza extra di interesse retrospettivo avvistati in altre raccolte affini, come scan di vecchi manuali, player musicali o filmati documentaristici di vario genere.

Per quanto riguarda le impostazioni, la Mega Drive Classics non si fa mancare quasi nulla, dai diversi filtri per i pixel (con tanto di simulazione di schermo CRT), alla possibilità di selezionare la versione giapponese per alcuni giochi, passando ovviamente ai salvataggi istantanei con 4 slot disponibili per ognuno di essi. Tramite i tasti R2 e L2 possiamo mandare avanti veloce o indietro il gioco simulando una videocassetta; se la prima funzione può risultare davvero molto utile per velocizzare, ad esempio, gli scontri degli RPG, la seconda può essere facilmente utilizzata per “barare” rimediando ad fatale un errore tramite il riavvolgimento del tempo a mò di Prince of Persia: The Sands of Time. Fortunatamente hanno ben pensato di non implementare questa funzione nelle challenge, altrimenti non avrebbero avuto alcun senso.
 

 

Sì, in definitiva è stato molto “manca questo” e “potevano mettere quest’altro”, il che con 53 classici a disposizione può apparire pretenzioso. Ma questo è il destino di ogni mega raccolta e codesta Sega Mega Drive Classics non fa eccezione: tanti classici intramontabili, opzioni dilettevoli al loro posto, emulazione impeccabile, si avverte però la totale penuria di esaltazione, di sensazioni di riscoperta di qualche gemma perduta al di fuori dei soliti noti, per le quali non avremmo rinunciato alle note urbane di Yuzo Koshiro di Streets of Rage, che meritano imperitura memoria, ma ad uno dei Golden Axe (il terzo), o alla ennesima riproposizione di Altered Beast e Wonder Boy, forse sì. Nel suo operato di riproposta del passato, Sega potrebbe anche sforzarsi di essere un po’ meno prevedibile di un palinsesto serale di Rete 4.