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Molte serie manga degli anni '80 sono assurte al rango di capolavori, venendo considerate da coloro che hanno vissuto quell'epoca delle pietre miliari intoccabili e prive di difetti. Tra queste opere sicuramente l'emblema della sopravvalutazione spetta a "Saint Seiya" di Masami Kurumada, opera nata a tavolino, poiché la Bandai doveva vendere i modellini dei cavalieri e quindi aveva bisogno di un manga che facesse da traino per pubblicizzali; la scelta ricadde così su Kurumada, mestierante senza né arte e né parte, che all'epoca aveva appena finito di pubblicare "Ring Ni Takero". L'opera è stata portata in Italia in più edizioni, l'ultima delle quali è la "Perfect Edition" della Star Comics, che racchiude il manga in ventidue volumi dal grande formato e muniti di pagine a colori.

La storia è semplicissima. Seiya, Ikki, Hyoga, Shun e Shiryo sono dei ragazzi che durante la loro infanzia sono stati spediti negli angoli più remoti e sperduti del mondo per addestrarsi duramente affinché assurgano al rango di Saint in modo da proteggere Saori, la dea Athena, che periodicamente si reincarna per combattere il male e la minaccia alla giustizia. Ogni Saint ha una propria armatura, che ha particolari peculiarità e poteri derivanti dalla costellazione da cui prende il nome.

Il soggetto alla base è semplice, ma al contempo molto interessante per un manga battle shonen, genere che all'epoca stava muovendo i primi passi e che era quindi bisognoso di opere che ne ponessero le basi. Kurumada ha la buona idea di unire le tradizioni orientali derivanti dal buddismo con i miti greci e classici, creando un mix per l'epoca unico. Il problema è che avere un'intuizione buona non basta a creare una buona opera se poi non riesci a svilupparla come si deve. Infatti "Saint Seiya" soffre di una trama che chiamare tale è un complimento, poiché essa è un canovaccio formato da un ammasso di numerosi quanto ripetitivi scontri dove le modalità di svolgimento sono sempre le medesime: non ci si discosterà mai dallo schema del "Saint" che, incontrando il nemico, sferrerà immediatamente un attacco così che quest'ultimo, vanificandolo, contrattacchi con la sua mossa più potente (di cui decanterà ampiamente la sua forza), la quale sembrerà mettere a tappeto il suo rivale, che invece dando tutto sé stesso, cioè bruciando il "Cosmo" interiore, riuscirà a sconfiggerlo.
Un'opera può anche avere una trama debolissima e una divisione netta in saghe (con scarni e nulli collegamenti tra di esse), però, a quel punto è costretta a puntare sui combattimenti, invece in "Saint Seiya" questo non avviene perché manca un qualsiasi senso di suspense negli scontri visto che, per quanto i nemici siano infinitamente superiori ai nostri protagonisti (decantando in modo quasi iperbolico la potenza dei loro colpi finali), i "Saint" inspiegabilmente vinceranno sempre.
Che Kurumada abbia voluto dimostrare, con l'espediente del "Cosmo" interiore che brucia sino all'estremo nei nostri protagonisti, la loro ardente volontà di superare i limiti attuali (a differenza dei nemici che sicuri e adagiati sul loro essere forti non sentono il bisogno di spingersi oltre il necessario per vincere), non c'è il minimo dubbio, e a dirla tutta il messaggio per quanto semplice risulterebbe efficace, se solo non contraddicesse le (poche) regole poste. L'autore cade nell'errore in cui sono incorsi tanti battle shonen, cioè porre delle regole che poi ci si dimostra incapaci di rispettare, finendo quindi con il ricorrere a power-up improvvisi per uscirsene. Tutto questo si poteva evitare facilmente creando dei nemici che non decantassero iperbolicamente la loro forza in modo esagerato, finendo poi con l'esser sconfitti in modo semplicistico e osceno dai "Saint".
Di poco appagamento è anche la dialettica tra gli sfidanti durante i combattimenti, dove la maggior parte delle battute pronunciate risultano degli spenti quando banali dialoghi colmi di sciocco idealismo e privi di profondità, facendo denotare così una scarsa introspezione psicologica dei personaggi (ad eccezione dell'interessante Shaka) divisi in modo manicheo tra bene e male (tranne per qualche "Gold Saint" nella saga delle dodici case) da parte dell'autore, il quale poteva invece destreggiarsi in un qualcosa di più profondo visto il soggetto di base della storia, richiamante la mitologia classica.

Da questo disastro si non riesce a salvare nemmeno il disegno, che risulta l'elemento peggiore dell'intero manga, capace di dare la mazzata definitiva a tutto l'insieme. Kurumada non è capace di disegnare (notevoli sono le mancanze dal punto di vista della prospettiva, profondità, anatomia e proporzioni) e questo, checché ne dicano i suoi sostenitori, risulta un dato assolutamente oggettivo, sebbene l'autore, di tutte queste mancanze tecniche, sia riuscito a fare un marchio di fabbrica. Neanche a livello di raffigurazione l'autore riesce a salvarsi, poiché i suoi personaggi a livello di lineamenti sono tutti uguali tra loro, differenziandosi a malapena per la diversità del colore dei capelli. I combattimenti sono rappresentati in modo statico e con pose dei personaggi assolutamente legnose ed inadatte ad uno scontro.
Le giustificazioni dei fanboy in difesa del disegno di Kurumada sono quindi da rigettarsi come infondate, poiché se vogliamo analizzare le cose per bene, molti colleghi a lui contemporanei disegnavano infinitamente meglio. L'unico punto a favore di quest'autore per quanto concerne il comparto grafico risultano le splendide quanto dettagliate armature dei "Saint" nella saga di Hades, le quali acquisiscono maggior lucentezza grazie al sapiente uso di retini. E' inoltre da lodare la precisione con cui l'autore raffigura le splendide colonne dei templi greci e lande infernali (sempre nella saga di Hades), quando gliene tiene di farlo.

Concludendo, "Saint Seiya" risulta essere il classico manga anni '80 sopravvalutato, con una struttura ripetitiva (Saori viene rapita sempre dalla divinità di turno e quindi bisogna accorrere a salvarla), monotona e con una narrazione deficitaria (le spiegazioni nella saga di Hades contraddicono molte cose).
Nonostante questi notevoli difetti, ci si ritrova innanzi ad un manga che volenti o nolenti ha avuto un successo commerciale enorme, dimostrandosi non solo capace di assurgere ad emblema di quel decennio, ma anche di fare scuola all'interno del genere battle shonen grazie ad alcuni elementi di novità (in primis la fusione di elementi orientali e mitologia classica occidentale), che però saranno ripresi in modo più efficace dalle successive serie.