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È un film molto profondo quanto crudo, duro e spietato.
Un uomo (o per meglio dire bestia e/o macchina da guerra), membro di un'unità speciale garante dell'ordine pubblico, assiste al suicidio di una ragazza nelle fogne di Tokyo, durante una manifestazione di malcontento generale, in seguito a cui viene sottoposto a un provvedimento disciplinare; comincia a interrogarsi su quale sia il ruolo nella sua vita e comincia ad avere delle visioni, sogni ad occhi aperti, oltre a qualche probabile rimorso di coscienza.
La grafica è più realistica che mai, i personaggi sono infatti ritratti con i tipici tratti dei Giapponesi, e anche l'ambientazione è più realistica. La colonna sonora è una catena di melodie dure e cupe, melanconiche e tristi, che riflettono il degrado, la disperazione, la tristezza, il dolore, l'angoscia e l'ansia, oltre alla rabbia, il senso di impotenza della società giapponese del Secondo Dopoguerra, nel periodo di transizione dalla recessione alla crescita e al boom economico del Paese a cavallo tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, il tutto coronato da manifestazioni di violenza esasperata come non mai.
La trama è lenta, ma inesorabile, sottile. Una pellicola intensa, profonda, senza peli sulla lingua né giri di parole. L'amore è rigorosamente bandito da questo film, insieme a tutto ciò che lo riguarda, se non per emergere solo alla fine della vicenda. Importante e interessante anche la presenza di allusioni/riferimenti alla favola di "Cappuccetto Rosso".