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La conversione da TV a cinema non è sempre facile, e se si parla di anime, il discorso diventa particolarmente sfaccettato: se il Giappone ha una grossa tradizione cinematografica dal punto di vista dell’animazione, molto spesso ha anche dato vita a conversioni da piccolo a grande schermo che si limitano a realizzare una versione “allungata” degli episodi tradizionali che settimanalmente deliziano i fan nipponici di questa o quella serie.

Dopo più di sessanta puntate di grande successo televisivo, i Pokémon fanno il grande passo e raggiungono i cinema nella torrida estate del 1998, dedicando il loro primo lungometraggio alle due creature più misteriose dell’epoca: Mew e Mewtwo.
Il fascino dell’ignoto che ammanta il primo e le origini artificiali e il background un po’ “inquietanti” del secondo sono spunti ottimi per un lungometraggio, anche se, come già detto, l’approdo al grande schermo non è sempre facile.

Per una serie che, nella sua leggerezza, ha saputo affrontare, televisivamente, anche tematiche importanti, la sfida cinematografica suprema è rappresentata dal realizzare una pellicola esistenzialista, dove ogni aspetto della vicenda ruota intorno a dubbi e insicurezze di una creatura nata già adulta, terribilmente intelligente ma con una visione, inevitabilmente, limitata del mondo.
Essendo stato creato in laboratorio, Mewtwo non sa chi è, non sa come funziona il mondo degli umani, il mondo dei Pokémon e qual è il suo ruolo in entrambi, non essendo né l’uno né l’altro, ma essendo apparentemente più potente di tutti.

Fortunatamente, un elemento delle “fondamenta” del franchise tutto è particolarmente ben sfruttato in questa prima sortita nelle sale: l’ampia conoscenza di classici del cinema, in particolare degli anni ’80.
Se l’avventura di uno o più bambini in giro per il mondo, tra luoghi magici e creature ancora più magiche, è decisamente imparentata con opere come “La storia infinita” e “Stand by Me” (che i giochi originali citano praticamente subito in maniera esplicita), i tormenti di un Pokémon creato in laboratorio non possono che rifarsi ad alcune delle colonne della fantascienza cinematografica del decennio precedente, orientale e occidentale.

Appare evidente che ai piani alti dello staff della serie (e del film) c’è qualcuno particolarmente fan di “Blade Runner”, visto che non solo un episodio (precedente al film) della serie si intitola, in giapponese, “I Magnemite sognano topi elettrici?”, ma soprattutto che le domande esistenziali che Mewtwo si pone lo accostano al malessere e alle difficoltà che i “replicanti” di film e libro vivono.
L’essere stato creato dagli umani rende Mewtwo inferiore agli altri esseri viventi, in quanto artificiale?
Resosi conto che, apparentemente, sia umani che Pokémon gli sono inferiori, ha diritto di considerarsi superiore e a voler dimostrare questa superiorità all’atto pratico, sfidando gli allenatori più forti in una lotta impari?
Non è nemmeno un caso, probabilmente, che il memorabile finale del primo film sui Pokémon coinvolga ricordi che spariscono e lacrime (che invece non spariscono nella pioggia), riferimenti difficilmente casuali allo storico monologo alla fine del film di Ridley Scott.

Gli immensi poteri psichici di Mewtwo, poi, vengono rappresentati in maniera estremamente simile a quelli dei super-bambini di “Akira”, film e manga di Katsuhiro Otomo dove, di nuovo, gli esperimenti dell’uomo scatenano forze estreme per il mondo, ed essendo “Akira” un’autentica colonna del cinema e del fumetto giapponese, è indubbio che gli autori di “Mewtwo colpisce ancora” l’abbiano quantomeno preso come esempio e fonte d’ispirazione.

L’ultimo, e più “giocoso e divertito”, riferimento è anche largamente palese, sia dal sottotitolo originale stesso del film (“Mewtwo colpisce ancora”, come un certo “Impero”) sia dalla scena iniziale dell’invito, con l’ologramma di una misteriosa ragazza che porta i nostri eroi nuovamente all’avventura: “Star Wars” ebbe, d’altronde, un enorme impatto sulla cultura popolare giapponese, anche se arrivò un po’ più tardi rispetto ad altre nazioni.

A proposito di altre nazioni, com’era costume con certe opere nipponiche giunte da noi attraverso il filtro statunitense dell’epoca, anche “Mewtwo colpisce ancora” ha ricevuto diversi rimaneggiamenti da parte dei licenziatari occidentali, per arrivare da noi con alcuni cambiamenti.
Nel caso specifico di questo film, i cambiamenti consistono in una colonna sonora orchestrale che abbandona le tracce tipiche di serie e videogiochi per creare qualcosa di più “personale”, una serie di brani di nomi anche notevoli della scena pop dell’epoca (Britney Spears, Christina Aguilera, gli NSYNC) a sostituire l’unica canzone presente in originale, a parte la storica sigla iniziale “Mezase Pokémon Master” (“Kaze to Issho ni”, o “Together With the Wind”, cantata da Sachiko Kobayashi), e soprattutto in un cambiamento di tematiche.

I dubbi esistenziali di Mewtwo vengono infatti sostituiti con una più forte determinazione a vendicarsi di un mondo che l’ha creato solo per sfruttarlo, e tutto il messaggio di etica esistenziale originale viene sostituito da un sottotesto pacifista che, nel mezzo di un’autentica guerra tra Pokémon, esalta piuttosto la pace e la fratellanza tra tutti gli individui.
Cambiamenti e censure non piacciono a nessuno, ma c’è anche da dire che questo genere di modifiche ha avuto come fine ultimo (col senno di poi, pienamente riuscito) di rendere il film più “digeribile” a un pubblico occidentale che, almeno oltreoceano, si stava appena appena affacciando al mondo degli anime e manga.

Se è vero, come è vero, che noi Italiani eravamo già belli svezzati in questo senso, lo stesso non si può dire di Statunitensi e tante altre popolazioni dal mercato potenziale enorme ma che degli anime sapevano poco, a parte che fossero violenti e facessero male ai bambini, e un messaggio non violento, quindi, era la pezza perfetta per far apprezzare il film a un pubblico molto più ampio.
C’è stato chi si è lamentato lo stesso, ma quello è un po’ inevitabile.
Il fine ultimo era, comunque, quello di rendere il film dei Pokémon, come la serie, un successo internazionale, e un successo internazionale fu, nonostante i cambiamenti vari, impercettibili per lo spettatore “non attrezzato”, senza contare che brani di generi più familiari alle orecchie degli spettatori e con nomi grossi permettono di attirare e farsi ricordare più facilmente dallo spettatore medio, che è sempre e comunque il target a cui bisogna puntare, se si vuole arrivare al successo.
Sarebbe, più che altro, il caso di avere a disposizione una “Japan Cut” e una “International Cut” del film, come è successo per tante altre pellicole, ma mai dire mai.

Da qualunque lato lo si guardi, il primo film dei Pokémon riesce ad avere una forte personalità sul grande schermo, dimostrando di saper imbastire una vicenda interessante e toccante qualunque sia la sua versione, con una profonda attenzione ai “grandi del passato” che potevano fornire spunti interessanti per la pellicola (anche in versione americana: la sensazione di “superiorità” di Mewtwo come diretta conseguenza dei traumi della sua infanzia, e la sua intenzione a “soppiantare” le specie da lui ritenute più deboli con i suoi simili come modo per cicatrizzare il dolore, ricorda estremamente da vicino Magneto, personaggio degli X-Men che avrebbe debuttato l’anno dopo al cinema interpretato da Ian McKellen, e che, ironia della sorte, nella sua “versione animata” più celebre è doppiato, in italiano, da Mario Zucca, che presta la voce anche a Mewtwo in questo film), e rielaborando il tutto con professionalità e unicità, versando il dovuto tributo alle leggende del cinema muovendo i primi, timidi passi all’interno di quel mondo.
Non è un caso, quindi, che per ben due volte negli ultimi anni alcune delle scene più iconiche del film, o il film per intero, abbiano rifatto capolino al cinema in reinterpretazioni più moderne.
Buona la prima, insomma, per Pikachu, Mew, Mewtwo e tutti gli altri, sia che si tratti della “Japan Cut” o della “International Cut”.