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Quante volte, nell’arco della mia vita, ma scommetto anche della vostra, mi sarà capitato di sentir parlare di ciclo bretone? Quante volte, nel descrivere scene di oggetti rimasti conficcati nei posti più strambi, avrò fatto menzione della famosa spada nella roccia? Quante volte, per scherzo, nel venire a capo di un indovinello, mi sarà capitato di paragonarmi a Mago Merlino? Tantissime, innumerevoli. Eppure, fino ad oggi, tutti questi oggetti e personaggi, nella mia mente, non hanno mai fatto parte di un immaginario comune, se non in maniera vaga. Questo perché vaga, fino ad oggi, è stata la mia conoscenza sulla materia di Britannia.

Come forse molti di voi sapranno, il ciclo bretone o arturiano è l'insieme delle leggende sui Celti e la storia mitologica delle Isole britanniche e della Bretagna. In particolar modo, quelle riguardanti re Artù e i suoi cavalieri della Tavola Rotonda. Ancora oggi, è considerata una delle saghe più famose di sempre, fonte inesauribile di ispirazione per il genere fantasy. Queste storie, giunteci sparpagliate, tra poesie e romanzi di origine inglese e francese, furono raccolte e riscritte da uno scrittore che avrebbe legato, per sempre, il suo nome a quello del ciclo bretone, sir Thomas Malory. Autore per noi molto oscuro, di cui si conosce incredibilmente poco, ma che ci ha tramandato, in una forma più moderna ed ordinata, tutti i testi sulla vita di Re Artù. “La morte di Artù”, la sua opera più importante, rappresenta, da questo punto di vista, un patrimonio letterario inestimabile, a cui, ancora oggi, si rifanno quanti coloro vogliono scrivere del ciclo bretone.

Tra questi, Nakaba Suzuki, autore dell’ormai celebre “The Seven Deadly Sins”, manga shounen serializzato da Kodansha in Giappone e Star Comics in Italia, nel periodo a cavallo tra il 2012 e il 2020. L’opera, che affonda le radici nei testi di sir Thomas Malory, si fa carico dell’eredità lasciata dai grandi shounen del passato, tra cui “Drangoball”, oltre che delle grandi storie cavalleresche, nel tentativo di rinnovarsi e riuscire a creare un ponte tra il classico e il moderno.

Attenzione: la recensione contiene spoiler.

La storia segue le vicende dei Sette Peccati Capitali, un gruppo di formidabili cavalieri un tempo al servizio del re, e del loro squinternato capitano, Meliodas. Sul loro conto, girano una serie di voci, per lo più tutte infondate. Tra queste, che i Sins sarebbero ormai morti e che, dieci anni addietro, avrebbero cercato di rovesciare il regno di Liones, uccidendo il comandante dei cavalieri sacri, Zaratras. La verità, però, tipico di queste situazioni, è un'altra e le voci sono destinate a rimanere tali. L’unica certezza è che i Sins, da dieci anni a questa parte, sono scomparsi dai radar e nessuno ha avuto più loro notizie. Intanto, a Liones, c’è stato un colpo di stato, organizzato dai due leader dei cavalieri sacri, per spodestare il re ed impossessarsi del regno. A questo punto, Elizabeth, una delle figlie del sovrano, parte per un viaggio alla ricerca dei Sette Peccati Capitali, con l'intenzione di reclutarli e riprendersi il suo regno, perché, in fondo, nessuno crede alle storie, che si raccontano sul loro conto.

Questi sono gli assunti di base, che ci proiettano all’interno di una storia tipicamente shounen, dove il viaggio dell’eroe è, ovviamente, il tema principale. Alla ricerca dei famigerati Sins, veniamo portati per mano in questa avventura alla scoperta di luoghi misteriosi, personaggi eccentrici e oggetti dal potere nascosto. La riconquista del regno di Liones è soltanto la punta di un iceberg enorme, formato da ben 41 volumi, e il trampolino di lancio, necessario all’autore, per raccontare una storia di guerra, che vede coinvolti il clan dei demoni e quello delle dee. Una storia appassionante ed emozionante, perché in mezzo all’esaltazione per le tante mazzate, il lettore non potrà che piangere nei suoi momenti più toccanti. Uno shounen che, più di tanti altri, ci insegna che eros e thanatos sono legati indissolubilmente e si sospingono l’un l’altro. Un’opera in grado di imprimersi nel cuore del lettore, per tanti motivi, ma soprattutto grazie al carisma dei suoi protagonisti, unici ed eccentrici. Nominarli tutti sarebbe impossibile, quindi, cito solo i miei preferiti.

Meliodas, il peccato d’ira. Un ragazzino nelle apparenze, un uomo estremamente navigato nei fatti. Lui, da solo, ha vissuto la vita di quaranta uomini messi insieme. Sul suo passato si sa incredibilmente poco, ma non si fa fatica a capire quanto questo sia oscuro. Si specula tanto sul suo conto, ma, alla fine, conta solo l’impressione del singolo. Simpatico ed incredibilmente donnaiolo, non perde mai l’occasione di infilarsi sotto la gonna di Elizabeth, con cui ha un rapporto particolare. In Meliodas, più che in qualsiasi altro Sins, l’eros è legato indissolubilmente al thanatos. Ai momenti di piacere, corrispondo sempre quelli di dolore e morte. La guerra incombe e Meliodas è pronto a combatterla in prima linea, perché farebbe di tutto pur di difendere i suoi amici e la donna che ama. E poi, non c’è quasi nessuno che possa tenergli testa in un combattimento. Quando c’è lui, l’opera ne beneficia incredibilmente. Come nessun’altro, riesce a regalare, contemporaneamente, gioia e tristezza. Non per niente, mentre combatte il nemico, potreste trovarlo a palpare il seno di Elizabeth. A mio avviso, uno dei migliori protagonisti shounen di sempre. Incredibilmente forte, buono di cuore e dalla vena comica. I combattimenti in cui appare Meliodas sono i migliori del manga e la sua storia, tanto oscura quanto affascinante, ne è uno dei punti chiave e motivi trainanti.

Ban, il peccato d’avarizia. Un essere umano che bramava la vita eterna e, alla fine, è riuscito ad ottenerla, ma ad un prezzo altissimo, la donna da lui amata. Più volte, all’interno della storia, per Ban viene usato l’appellativo di zombie e definirlo come tale, non sarebbe del tutto sbagliato. Per tanto tempo ha vagato senza meta, dopo aver perso la persona a lui più cara. Tutto questo, almeno, fino all’incontro decisivo con Meliodas. Il sodalizio stretto con quest’ultimo e con gli altri Sins gli concedono una nuova vita, a lui che di vite ne può vivere quante ne vuole. Proprio l’amicizia con il capitano sembra essere per lui, ormai, l’unica ancora di salvezza rimastagli. I due sono più che amici e meno di fratelli. Si spalleggiano sempre e tutte le volte che si incontrano, si prendono amorevolmente a mazzate, come se si stessero dando un cinque alto. Di tempo insieme ne hanno passato e, da quest’amicizia, Ban ne ha tratto solo benefici. Alla fine della storia, è lui il personaggio più cresciuto e maturato di tutti. L’amicizia con Meliodas è una delle cose che preferisco del manga. Il loro capirsi al volo e l’essere pronti a combattere per salvare l’altro, le cose che ammiro e invidio di più.

Escanor, il peccato del leone. Figura misteriosa, che si degna di apparire circa a metà dell’opera. Un uomo in età avanzata, gracilino ed estremamente insicuro di sé. La grazia gli ha fatto dono di un potere insolito ed incredibilmente forte, che a mezzogiorno lo trasforma in uomo muscoloso, superbo come un leone e incapace di controllare la propria forza, tanto da essere considerato un pericolo pubblico. Una persona così nessuno la vuole tra i piedi. Ecco, dunque, che è costretto a fuggire dal regno e nascondersi da tutto e tutti, per evitare di combinare guai. Anche per lui, la vita cambia dopo l’incontro con Meliodas. Da quel momento in poi, i Sins rappresentano per lui la sua nuova famiglia, per cui è giusto combattere e morire, perché loro lo hanno accettato così com’è, lì dove tutti gli altri lo hanno ripudiato. Amante fedele ed eroe di guerra. La sua morte, avvenuta sul campo di battaglia, per proteggere le persone che ama, rappresenta il momento più toccante dell’intera opera, per cui parlare di lacrimuccia sarebbe riduttivo. Una morte necessaria per conferire drammaticità e veridicità alla storia. Un personaggio che è difficile non amare e che, come dice un mio amico, rappresenta il primo vero chad della storia. Quelli in cui ci sono Escanor, sono indubbiamente i momenti più epici ed iconici del manga.

Infine, Hawk, il Gran Cavaliere degli Avanzi. Un maiale parlante, che accompagna fedelmente Meliodas e compagni nel corso della loro avventura. Hawk rappresenta la linea comica del manga, che dovrebbe stare lì tanto per divertire e nulla più. Eppure, anche lui ha una storia degna di essere raccontata, fatta di separazione e solitudine, fino all’incontro con il capitano. Il debito di riconoscenza che ha verso quest’ultimo è enorme, per questo, quando può, cerca di rendersi utile anche in combattimento, nonostante la sua scarsa abilità. Hawk rappresenta l’amico fedele su cui sai di poter contare, disposto a fare qualsiasi cosa per coloro che ama, anche cimentarsi in una battaglia, senza averne le competenze. Altro che linea comica. Hawk ci insegna che debolezza non è sinonimo di codardia e che, se lo si vuole, tutto è possibile, con un poco di impegno.

“The Seven Deadly Sins” presenta tutto ciò che si richiede ad uno shounen con la ‘s’ maiuscola. Le mazzate sono all’ordine del giorno e di altissimo livello, merito sia dei disegni puliti, seppur non sempre perfetti, del mangaka e dell’ampissimo ventaglio di tecniche sfoggiate in combattimento. In questo, Nakaba Suzuki ha dato prova del suo genio e della sua sconfinata fantasia. I temi toccati non sono poi così elaborati, d’altronde siamo al cospetto di uno shounen, ma neanche tanto banali. Oltre ai temi classici, come quello dell’amicizia e dell’amore, c’è spazio anche per quelli più profondi, come l’abbandono, la solitudine, l’accettazione di sé, il conflitto paterno e altri. Emblema di una certa maturità, acquisita dall’opera nell’arco degli anni. La storia non è né più né meno di quella tipica degli shounen. Un protagonista che parte all’avventura, in cerca di risposte e destinato a trovare altre domande. Un susseguirsi di peripezie di vario genere, che coinvolge i nostri protagonisti in questioni sempre più spinose e combattimenti all’ultimo sangue. Una storia in continuo movimento, dove non sono solo i personaggi ad evolvere, ma anche le situazioni. La bravura di Nakaba Suzuki sta proprio nel riuscire a proseguire la sua storia, intrecciando fatti vecchi e nuovi, e a mantenere desta l’attenzione e, ancor di più, la curiosità del lettore, senza mai risultare prolisso o incoerente. A tutto viene dato una spiegazione, alla fine ogni cerchio si chiude e questo è, a mio modesto parere, uno dei punti di forza maggiori del manga. Le domande trovano sempre una risposta, ma solo a tempo debito e in ogni caso, l’attesa viene ripagata degnamente, perché prevedere la mossa successiva, almeno per me, è risultato quasi sempre impossibile. Erroneamente, potreste pensare che 41 volumi siano tanti e, effettivamente, lo sono. Ma ciò, permette all’autore di tessere una trama complessa ed elaborata e, soprattutto, consente al lettore di affezionarsi, capitolo dopo capitolo, ai personaggi della storia. Il finale rappresenta, probabilmente, l’unico momento calante dell’intera opera. Discreto, ma non eccellente. Ripetitivo e a tratti frettoloso ma, alla fin fine, soddisfacente. Un happy ending che mette d’accordo chiunque e chiude discretamente una storia stupenda. Perché gli espedienti usati potranno anche essere quelli classici dello shounen, ma a fare la differenza sono sempre i personaggi e le situazioni e credetemi se vi dico che, almeno in questo caso, la fanno, enormemente.

Se non lo si fosse capito, dunque, consiglio vivamente la lettura di “The Seven Deadly Sins”. Un’opera che mi resterà nel cuore e di cui conservo ricordi bellissimi. Dai messaggi scambiati con i miei compagni di lettura, in occasione dei tanti momenti clamorosi della storia, alle speculazioni con loro intavolate, nel tentativo di predire la mossa successiva, cosa che, in molte occasioni, si è rivelata più difficile del previsto. Non è di certo una lettura leggera, né tanto meno breve, ma se avete voglia di uno shounen adrenalinico ed emozionante, questo è il titolo che fa per voi.