Recensione
"Back to the real world..."
Se dovessi trovare una frase paradigmatica che possa descrivere l'ultimo atto della saga di "Rebuild of Evangelion" ossia "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time", l'incipit di questa recensione rappresenterebbe la summa del film e in generale della fine della tetralogia del "Rebuild" che, tra alti e bassi, ha chiuso nel 2021 la nuova saga iniziata nel 2007 con il primo film "Evangelion: 1.11 You Are (Not) Alone" e proseguito nel 2009 con "Evangelion: 2.22 - You Can (Not) Advance" e "Evangelion: 3.33 You Can (Not) Redo" del 2012. Quattordici anni dal primo atto per portare a compimento la rivisitazione di un "mostro sacro" dell'animazione nipponica (e non solo), con la quale Hideaki Anno, a mio avviso, più che raccontare una storia di fantascienza e robot, ha raccontato soprattutto se stesso e il suo più o meno doloroso percorso di elaborazione della sofferenza patita: un percorso di solitudine, smarrimento, fuga dalla realtà per trovare rifugio in una dimensione virtuale o semplicemente nell'oblio dell'incapacità di affrontare la vita.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Ho avuto la fortuna di poter visionare tutte le opere su Evangelion in un'unica sessione, senza interruzioni e attese infinite di anni. Ho anche beneficiato dell'opportunità di leggere parecchi commenti, recensioni, interpretazioni, riletture, ecc. e di farmi un'idea complessiva del progetto "Evangelion" in modo più o meno complessivo... Ebbene sì, lo ammetto: alla mia veneranda età ho iniziato a recuperare ciò che ho perso in giovinezza, e devo ammettere che certi anime (di qualità) visti da adulti acquistano un sapore diverso grazie anche alle esperienze vissute che tendono a farci comprendere e apprezzare alcune sfumature che probabilmente da "giovane" non sarei riuscito a cogliere...
Con "The end of the Evangelion" del 1997, di primo acchito, mi è parso evidente che il film non era risolutivo del percorso intrapreso da Anno; la battuta finale di Asuka sulla spiaggia a Shinji mi era parsa paradigmatica: "Che schifo!"... Shinji era ancora la zattera in mezzo ai marosi dell'oceano della vita... Ma anche nei tre successivi film non ho trovato un messaggio forte da parte dell'autore in merito ad un possibile "compimento" del significato della saga e del suo percorso, che invece sono riuscito a percepire in modo abbastanza chiaro, al di là delle metafore, richiami visivi e di dialoghi ai film e alla serie precedenti, sul percorso di maturazione di Shinji-Anno (anche se mi sembra che proprio la triade dei "chosen children" - Shinji, Rei e Asuka - a rappresentare la sfaccettata personalità di H. Anno) e degli altri protagonisti.
La novità vera di "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è rappresentata dall'evoluzione (definibile positiva) di Shinji e l'epifania di Gendo, il terribile padre-orco, assente, duro, inflessibile e insensibile, di Shinji.
A questi si aggiunge una miglior trattazione e introspezione degli altri personaggi principali della serie: da Asuka a Rei, da Misato agli amici di Shinji. Tutti, e finalmente aggiungo, vengono sviluppati e trattati realisticamente e non come le solite tormentate anime che non riescono a trovare un loro posto nel mondo...
Rispetto alla trilogia del 2007-2012, "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è del 2021. Sono trascorsi nove anni in cui Anno sembra dimostrare di aver raggiunto un punto di equilibrio più maturo e adulto, e lo dimostra in un film di oltre due ore il cui inizio è contraddistinto da un ritmo narrativo lento, quasi slice of life, in cui Shinji si ritrova a confrontarsi con i suoi amici delle superiori che nel frattempo sono diventati adulti ma anche con Asuka, che come Shinji è rimasta "imprigionata" in un fisico da adolescente...
La vita è andata avanti, per tutti i personaggi, ad eccezione di Shinji, Rei e Asuka: il timeskip attuato nel terzo film ha lasciato Shinji immutato e ancora incapace di uscire dal loop della solitudine in cui è imprigionato...
E' inutile evidenziare che la scelta narrativa attuata da Anno è metaforica. E se il terzo capitolo della saga "rebuild" non mi aveva particolarmente impressionato (tutt'altro: l'ho ritenuto il peggiore dei tre film, ritenendolo ampiamente insufficiente per le scelte narrative e registiche ripetitive e noiose), con "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" si arriva a capire (almeno credo) il perché del plot twist del timeskip e di come Shinji tenta di superarlo...
L'ambientazione bucolica post-apocalittica in cui i sopravvissuti si riorganizzano in una sorta di "comune" o "kibbutz" per vivere in un modo naturale senza eccessive complicazioni organizzative, sociali e tecnologiche, costituisce il sostrato da cui Anno documenta la "trasformazione" di Shinji e Rei, ma non di Asuka. Quest'ultima, sebbene sempre a disposizione della comunità per combattere rimane sostanzialmente la stessa personalità già conosciuta in precedenza: aggiunge solo la malinconia della rassegnazione ad essere la maschera di se stessa, un mix di aggressività non solo per proteggere la propria fragilità ma anche per sfogare la propria rabbia repressa per ciò che non è, né riuscirà mai ad essere. Una caricatura grottesca di una ragazza che non si pone alcun problema a mostrarsi nuda sia a Shinji e a Kensuke e a continuare a massacrare Shinji sempre e solo nell'unico modo a lei noto fin dalla sua apparizione nella saga e che non la porterà da alcuna parte se non nel sublimarsi e realizzarsi nella guida dell'Eva02 (che poi rappresenta semplicemente la metafora del voler vivere in una dimensione "virtuale").
L'arco narrativo sulla terra per Shinji e Rei origina il punto di inizio della loro evoluzione. Rei, il clone definibile con tutti gli aggettivi possibili preceduti dall'"alfa" privativo (atarassica, anaffettiva, ecc.) inizia a provare emozioni per le cose più semplici dell'esistenza e, una volta realizzato che è senza la manutenzione-rigenerazione che le garantiva Gendo Ikari, prova anche la paura della morte... in lei nelle ultime fasi mi è parso di rivedere un po' l'atteggiamento tanto umano degli androidi Nexus6 di "Blade Runner" e la loro lotta contro il tempo e la morte per affermare la loro umanità...
Shinji dopo l'ennesimo "trauma" (la sparizione di Rei dopo il suo lento processo di "umanizzazione") si scuote dal torpore e matura la convinzione di affrontare il proprio destino: tornare in guerra a fianco di Misato, farsi di nuovo impedire di guidare l'Eva e, soprattutto, affrontare il padre... Pur nella sua semplice e un po' forzata rappresentazione, Shinji cambia "d'emblée" il suo atteggiamento: da ameba piagnucolosa perennemente rannicchiata in posizione fetale in un angolino remoto della realtà, si trasforma in una persona all'apparenza normale in attesa del momento appropriato per procedere. Verso chi o cosa a dire il vero non lo sa nemmeno lui, l'unica ad accorgersi immediatamente del suo cambiamento è il personaggio meno sviluppato e trattato del "rebuild" ossia Mari Makinami, che sebbene eccessiva, provocante e "meow" (sigh!...), afferma annusando Shinji appena rientrato sulla nave dei resistenti contro la Nerv, che sentiva profumo di "adulto"...
Ometto la descrizione del combattimento finale col padre. Mi limito a citare una battuta del padre a Shinji: "E' inutile usare la forza, non si vince con la forza"... e il film diventa nuovamente allegoria della vita di Anno attraverso Shinji e il dialogo psicotico con il padre che diventa finalmente protagonista e messo in grado di raccontare la "sua versione" per consentire a Shinji questa volta di compiere la scelta di cosa vorrà essere senza fuggire da tutti e tutto.
Il finale liberatorio e reale in cui spariscono angeli, robot, evangelion attraverso l'ascolto e la probabile comprensione di tutte le questioni irrisolte del passato (in primis: gli errori fatti dal padre, i suoi sacrifici e il senso di responsabilità verso di lui; il rapporto con la madre "assente-vittima" ma comprensiva e protettiva; la fuga senza fine da ciò che non comprendeva e non voleva affrontare) porta non solo Shinji-Anno a re-iniziare a vivere (il collare che viene tolto da Mari in stazione ad uno Shinji questa volta cresciuto e la corsa assieme a lei verso la vita e il futuro dalla stazione ferroviaria con l'animazione che si trasforma in immagini reali...) ma anche ad elaborare una visione più completa del suo percorso. Nel dialogo con Gendo a me è parso che, seppur timidamente, Anno si sia posto "dalla parte opposta", quella avversata nei 30 anni precedenti... quella del padre, come se tutti gli aspetti che Shinji non ha compreso nell'immediato, li ha acquisiti solo crescendo.
E allora mi piacerebbe chiudere un po' "contro corrente" e citare la parte finale di una bella canzone di qualche tempo fa su un ipotetico dialogo tra padre e figlio che riassumerebbe bene il senso del conflitto generazionale: "io ti dirò che un uomo/può anche sbagliare sai/[...]/Ma tu non mi ascolterai/Già so che tu non mi capirai/E non mi crederai/Piangendo tu mi stringerai" ("Un giorno mi dirai" - Stadio -2016).
Se dovessi trovare una frase paradigmatica che possa descrivere l'ultimo atto della saga di "Rebuild of Evangelion" ossia "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time", l'incipit di questa recensione rappresenterebbe la summa del film e in generale della fine della tetralogia del "Rebuild" che, tra alti e bassi, ha chiuso nel 2021 la nuova saga iniziata nel 2007 con il primo film "Evangelion: 1.11 You Are (Not) Alone" e proseguito nel 2009 con "Evangelion: 2.22 - You Can (Not) Advance" e "Evangelion: 3.33 You Can (Not) Redo" del 2012. Quattordici anni dal primo atto per portare a compimento la rivisitazione di un "mostro sacro" dell'animazione nipponica (e non solo), con la quale Hideaki Anno, a mio avviso, più che raccontare una storia di fantascienza e robot, ha raccontato soprattutto se stesso e il suo più o meno doloroso percorso di elaborazione della sofferenza patita: un percorso di solitudine, smarrimento, fuga dalla realtà per trovare rifugio in una dimensione virtuale o semplicemente nell'oblio dell'incapacità di affrontare la vita.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Ho avuto la fortuna di poter visionare tutte le opere su Evangelion in un'unica sessione, senza interruzioni e attese infinite di anni. Ho anche beneficiato dell'opportunità di leggere parecchi commenti, recensioni, interpretazioni, riletture, ecc. e di farmi un'idea complessiva del progetto "Evangelion" in modo più o meno complessivo... Ebbene sì, lo ammetto: alla mia veneranda età ho iniziato a recuperare ciò che ho perso in giovinezza, e devo ammettere che certi anime (di qualità) visti da adulti acquistano un sapore diverso grazie anche alle esperienze vissute che tendono a farci comprendere e apprezzare alcune sfumature che probabilmente da "giovane" non sarei riuscito a cogliere...
Con "The end of the Evangelion" del 1997, di primo acchito, mi è parso evidente che il film non era risolutivo del percorso intrapreso da Anno; la battuta finale di Asuka sulla spiaggia a Shinji mi era parsa paradigmatica: "Che schifo!"... Shinji era ancora la zattera in mezzo ai marosi dell'oceano della vita... Ma anche nei tre successivi film non ho trovato un messaggio forte da parte dell'autore in merito ad un possibile "compimento" del significato della saga e del suo percorso, che invece sono riuscito a percepire in modo abbastanza chiaro, al di là delle metafore, richiami visivi e di dialoghi ai film e alla serie precedenti, sul percorso di maturazione di Shinji-Anno (anche se mi sembra che proprio la triade dei "chosen children" - Shinji, Rei e Asuka - a rappresentare la sfaccettata personalità di H. Anno) e degli altri protagonisti.
La novità vera di "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è rappresentata dall'evoluzione (definibile positiva) di Shinji e l'epifania di Gendo, il terribile padre-orco, assente, duro, inflessibile e insensibile, di Shinji.
A questi si aggiunge una miglior trattazione e introspezione degli altri personaggi principali della serie: da Asuka a Rei, da Misato agli amici di Shinji. Tutti, e finalmente aggiungo, vengono sviluppati e trattati realisticamente e non come le solite tormentate anime che non riescono a trovare un loro posto nel mondo...
Rispetto alla trilogia del 2007-2012, "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è del 2021. Sono trascorsi nove anni in cui Anno sembra dimostrare di aver raggiunto un punto di equilibrio più maturo e adulto, e lo dimostra in un film di oltre due ore il cui inizio è contraddistinto da un ritmo narrativo lento, quasi slice of life, in cui Shinji si ritrova a confrontarsi con i suoi amici delle superiori che nel frattempo sono diventati adulti ma anche con Asuka, che come Shinji è rimasta "imprigionata" in un fisico da adolescente...
La vita è andata avanti, per tutti i personaggi, ad eccezione di Shinji, Rei e Asuka: il timeskip attuato nel terzo film ha lasciato Shinji immutato e ancora incapace di uscire dal loop della solitudine in cui è imprigionato...
E' inutile evidenziare che la scelta narrativa attuata da Anno è metaforica. E se il terzo capitolo della saga "rebuild" non mi aveva particolarmente impressionato (tutt'altro: l'ho ritenuto il peggiore dei tre film, ritenendolo ampiamente insufficiente per le scelte narrative e registiche ripetitive e noiose), con "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" si arriva a capire (almeno credo) il perché del plot twist del timeskip e di come Shinji tenta di superarlo...
L'ambientazione bucolica post-apocalittica in cui i sopravvissuti si riorganizzano in una sorta di "comune" o "kibbutz" per vivere in un modo naturale senza eccessive complicazioni organizzative, sociali e tecnologiche, costituisce il sostrato da cui Anno documenta la "trasformazione" di Shinji e Rei, ma non di Asuka. Quest'ultima, sebbene sempre a disposizione della comunità per combattere rimane sostanzialmente la stessa personalità già conosciuta in precedenza: aggiunge solo la malinconia della rassegnazione ad essere la maschera di se stessa, un mix di aggressività non solo per proteggere la propria fragilità ma anche per sfogare la propria rabbia repressa per ciò che non è, né riuscirà mai ad essere. Una caricatura grottesca di una ragazza che non si pone alcun problema a mostrarsi nuda sia a Shinji e a Kensuke e a continuare a massacrare Shinji sempre e solo nell'unico modo a lei noto fin dalla sua apparizione nella saga e che non la porterà da alcuna parte se non nel sublimarsi e realizzarsi nella guida dell'Eva02 (che poi rappresenta semplicemente la metafora del voler vivere in una dimensione "virtuale").
L'arco narrativo sulla terra per Shinji e Rei origina il punto di inizio della loro evoluzione. Rei, il clone definibile con tutti gli aggettivi possibili preceduti dall'"alfa" privativo (atarassica, anaffettiva, ecc.) inizia a provare emozioni per le cose più semplici dell'esistenza e, una volta realizzato che è senza la manutenzione-rigenerazione che le garantiva Gendo Ikari, prova anche la paura della morte... in lei nelle ultime fasi mi è parso di rivedere un po' l'atteggiamento tanto umano degli androidi Nexus6 di "Blade Runner" e la loro lotta contro il tempo e la morte per affermare la loro umanità...
Shinji dopo l'ennesimo "trauma" (la sparizione di Rei dopo il suo lento processo di "umanizzazione") si scuote dal torpore e matura la convinzione di affrontare il proprio destino: tornare in guerra a fianco di Misato, farsi di nuovo impedire di guidare l'Eva e, soprattutto, affrontare il padre... Pur nella sua semplice e un po' forzata rappresentazione, Shinji cambia "d'emblée" il suo atteggiamento: da ameba piagnucolosa perennemente rannicchiata in posizione fetale in un angolino remoto della realtà, si trasforma in una persona all'apparenza normale in attesa del momento appropriato per procedere. Verso chi o cosa a dire il vero non lo sa nemmeno lui, l'unica ad accorgersi immediatamente del suo cambiamento è il personaggio meno sviluppato e trattato del "rebuild" ossia Mari Makinami, che sebbene eccessiva, provocante e "meow" (sigh!...), afferma annusando Shinji appena rientrato sulla nave dei resistenti contro la Nerv, che sentiva profumo di "adulto"...
Ometto la descrizione del combattimento finale col padre. Mi limito a citare una battuta del padre a Shinji: "E' inutile usare la forza, non si vince con la forza"... e il film diventa nuovamente allegoria della vita di Anno attraverso Shinji e il dialogo psicotico con il padre che diventa finalmente protagonista e messo in grado di raccontare la "sua versione" per consentire a Shinji questa volta di compiere la scelta di cosa vorrà essere senza fuggire da tutti e tutto.
Il finale liberatorio e reale in cui spariscono angeli, robot, evangelion attraverso l'ascolto e la probabile comprensione di tutte le questioni irrisolte del passato (in primis: gli errori fatti dal padre, i suoi sacrifici e il senso di responsabilità verso di lui; il rapporto con la madre "assente-vittima" ma comprensiva e protettiva; la fuga senza fine da ciò che non comprendeva e non voleva affrontare) porta non solo Shinji-Anno a re-iniziare a vivere (il collare che viene tolto da Mari in stazione ad uno Shinji questa volta cresciuto e la corsa assieme a lei verso la vita e il futuro dalla stazione ferroviaria con l'animazione che si trasforma in immagini reali...) ma anche ad elaborare una visione più completa del suo percorso. Nel dialogo con Gendo a me è parso che, seppur timidamente, Anno si sia posto "dalla parte opposta", quella avversata nei 30 anni precedenti... quella del padre, come se tutti gli aspetti che Shinji non ha compreso nell'immediato, li ha acquisiti solo crescendo.
E allora mi piacerebbe chiudere un po' "contro corrente" e citare la parte finale di una bella canzone di qualche tempo fa su un ipotetico dialogo tra padre e figlio che riassumerebbe bene il senso del conflitto generazionale: "io ti dirò che un uomo/può anche sbagliare sai/[...]/Ma tu non mi ascolterai/Già so che tu non mi capirai/E non mi crederai/Piangendo tu mi stringerai" ("Un giorno mi dirai" - Stadio -2016).