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Largamente ispirato al romanzo del 1937 “E voi come vivrete?” di Genzaburō Yoshino, “Il ragazzo e l’airone” di Hayao Miyazaki si presenta al pubblico come l’ultimo, e questa volta veramente ultimo, film del regista giapponese premio Oscar. Dieci anni dopo l’ultima volta, Miyazaki ritorna sul grande schermo, probabilmente dimenticandosi di avere ottant’anni suonati, segno evidente di come l’età sia effettivamente soltanto un numero, soprattutto quando si parla di menti grandiose e geniali come la sua. A causa dei disagi legati alla pandemia di COVID-19, la produzione del lungometraggio è durata circa sette anni, un tempo lungo abbastanza da consentire al regista giapponese di lavorare in piena tranquillità, per portare a compimento quello che può considerarsi a pieno titolo come il lascito testamentario di un autore che ha segnato in modo indelebile il mondo dell’animazione giapponese e ha lasciato un’impronta nel cuore di tantissimi giovani e adulti sparsi in giro per il mondo.

Tokyo, 1943. Mentre la Guerra del Pacifico impazza, il dodicenne Mahito Maki perde la madre Hisako durante l'incendio dell’ospedale in cui lavora e l'anno successivo il padre Shoichi si risposa con Natsuko, sorella minore di Hisako. Per allontanarsi dalla guerra, la famiglia si trasferisce nella tenuta di campagna di Natsuko, dove Mahito fatica ad abituarsi alla nuova casa e soffre per la perdita della madre e per la gravidanza della zia-matrigna. Un giorno, inseguendo un misterioso airone cenerino per il bosco, trova le rovine di una torre abbandonata, a cui sembra essere legata un’oscura storia familiare. Come se non bastasse, Mahito fatica ad integrarsi nella nuova scuola, tant’è finisce col prendere parte a una zuffa con un altro ragazzino della sua stessa età. Per evitare di dover ritornare in quel luogo che sente profondamente ostile, Mahito si ferisce intenzionalmente alla testa con una pietra, costringendosi a letto. Durante la convalescenza trova una copia del romanzo “E voi come vivrete?” annotato dalla madre, che evidentemente avrebbe voluto regalarglielo quando sarebbe stato abbastanza grande. La lettura del libro viene interrotta dalle domestiche, alla ricerca della dispersa Natsuko. Mahito vede la matrigna allontanarsi in direzione della torre e la segue insieme alla domestica Kiriko. Qui, l'airone cenerino informa Mahito che, se vorrà, potrà rivedere la madre morta e ritrovare la zia, ma solo a patto di entrare nella sinistra torre. Inizia così il surreale viaggio di Mahito alla ricerca di sé stesso.

Come sostenuto da tanti altri in giro per il web, “Il ragazzo e l’airone” è un film complesso, ricco di rimandi alle opere precedenti del regista e fondamentalmente incomprensibile senza sapere ciò che egli ha rappresentato per l’animazione giapponese degli ultimi quarant’anni. Per comprendere il film, non è necessario aver preso visione dei vari “Kiki consegne a domicilio” o “La città incantata”, quanto avere qualche informazione sull’autore e regista premio Oscar Hayao Miyazaki. Onestamente, di gente che è uscita dalla sala senza aver capito nulla o quasi ne ho vista parecchia, e mentirei se io stesso dicessi di aver colto tutti i messaggi che l’autore ha voluto lasciarci. Come poche altre volte mi era capitato, al termine della visione sono rimasto completamente immobile sulla poltrona, tanto da destare la preoccupazione del mio amico vicino di posto, perché il finale e il film in generale sono stati di un impatto emotivo tale, da lasciarmi in uno stato di turbamento momentaneo mai sperimentato prima d’ora. Senza esitazione alcuna, posso affermare anche io che, sì, “Il ragazzo e l’airone” è stata una visione incredibilmente impegnativa e assolutamente non adatta a dei bambini piccoli, per quanto spesso erroneamente i genitori associno l’animazione a qualcosa che è ad esclusivo appannaggio dei più piccini.

Il film ci racconta di un viaggio onirico alla Satoshi Kon, seppur molto meno psichedelico, tra dimensioni spaziali e temporali altre da quella che il protagonista è solito definire realtà. Un viaggio che ha il sapore di una fuga dalla realtà, durante il quale Mahito riuscirà a trovare sé stesso. Di elementi familiari ce ne sono parecchi; oltre alle citazioni esplicite ai film precedenti, si pensi ai Wara Wara, “Il ragazzo e l’airone” si distingue per la solita perizia tecnica, leitmotiv indiscusso dello Studio Ghibli, e un comparto musicale semplicemente di qualità superiore, affidato a un inarrivabile Joe Hisaishi, ancora in forma smagliante. D’altro canto, non mancano elementi di difficile lettura che, ancora adesso, destano in me dubbio e perplessità. Siamo distanti anni luce dalle trame lineari del Miyazaki a noi più familiare, limpido e fiabesco. La strada tracciata dall’autore è tortuosa e labirintica, tant’è che in molti hanno finito col perdersi. Il regista ha volutamente lasciato in ombra il fanciullino che è solito comparire in altre sue pellicole e ha fatto emergere l’uomo Miyazaki, padre deluso, regista di fama internazionale e vincitore di un premio Oscar. Questo rende “Il ragazzo e l’airone” un film molto autobiografico, al pari di “Si alza il vento”, ma dai toni decisamente più malinconici e amareggiati. Hayao Miyazaki è un uomo che ha messo tutto sé stesso nell’animazione, a cui è stato e continua ad essere profondamente devoto da quasi cinquant’anni, e che ha esaurito le cartucce nel fucile ormai da un po’ di tempo. Quello che doveva dire è stato abbondantemente detto ed è custodito nelle opere nate dalla sua immensa penna. Opere che hanno lasciato un’impronta indelebile in chiunque le abbia viste. Hayao Miyazaki è partito da una semplice passione, che gli ha consentito di creare mondi fantastici di una bellezza senza tempo, in cui si è rifugiato per evadere dalla realtà. Il tempo per vagare con la mente, però, è finito e si fa sempre più impellente la necessità di ritornare a quella realtà a tinte fosche da lui costantemente rifuggita e ripudiata. L’età avanza inesorabilmente, e questo Miyazaki lo sa bene, così come sa di aver, per colpe non sue, fallito nel trovare un erede che prendesse il suo posto e portasse avanti il nome dello Studio Ghibli, che sembra essere destinato a morire con la morte del suo fondatore. Questo è quello che traspare al termine della visione de “Il ragazzo e l’airone”, indubbiamente non il miglior film di Miyazaki, che ha deciso, per una volta, di mostrarci il lato di sé più reale e depresso.

Che lo si voglia accettare o meno, Miyazaki è stato l’animazione giapponese degli ultimi decenni, colui che con le sue storie al confine tra il reale e il fiabesco ha fatto sognare milioni di persone in ogni angolo del mondo. La fine di un’era si avvicina, e la domanda, nonché titolo originale dell’opera, “E voi come vivrete?”, suona come un’esortazione, destinata a rimanere senza risposta, perché ognuno è e sarà sempre libero di fare ciò che vuole. Nessuno può sapere cosa ci riserverà il domani e quanto ancora potremmo goderci la presenza di Miyazaki in questo mondo, per questo, poiché il tempo ancora me lo concede, porgo i miei più sinceri ringraziamenti all’uomo che più di ogni altro mi ha fatto amare l’animazione e, seppur in piccolissima parte, ha contribuito a plasmare la persona che sono oggi.

“Al creatore di mondi Hayao Miyazaki, grazie dal profondo del mio cuore.”

Firmato, un sognatore qualsiasi.