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6.0/10
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A distanza di mesi dalla visione di "Hazbin Hotel", il mio giudizio resta contrastante.

Serie statunitense creata da Vivienne Medrano (VivziePop), nasce come progetto indipendente su YouTube. In seguito viene sviluppata in formato televisivo grazie alla produzione A24.
Conta 8 episodi ed è un mix di animazione adulta, dark comedy e musical, rivolto chiaramente a un pubblico maturo sia per temi che per linguaggio.
Racconta la storia di Charlie, la principessa dell’Inferno che sogna di aprire un hotel per riabilitare i demoni e dar loro una seconda possibilità.

Da un lato c’è un’idea di base che mi piace: originale, audace, visivamente accattivante.
Lo stile di animazione è molto riconoscibile: colori saturi, ritmo frenetico, un’estetica che richiama certi cartoon anni 2000 ma rivisitati in chiave moderna.

Dall’altro, un uso e abuso di parolacce e volgarità talmente spropositato da sembrare un espediente per catturare l’attenzione. A lungo andare dà proprio l’idea di trovarsi di fronte a un adolescente che esagera solo per farsi notare, e questo mi ha disturbata più di quanto avrei voluto.
Non è una questione di moralismo: se la volgarità è contestualizzata può persino aggiungere spessore. Ma qui, spesso, sembra fine a sé stessa.
Per fare un paragone concreto, "Ishuzoku Reviewers" abbonda in nudità e volgarità, ma lo fa con ironia e coerenza interna, risultando godibile e persino brillante.
"Hazbin Hotel", invece, inciampa proprio dove dovrebbe brillare: nei dialoghi, nella costruzione dei personaggi, nella scelta del tono.

Un altro aspetto che non mi ha convinta del tutto è quello musicale, in stile "musical" alla Disney. Capisco l’intento di creare contrasto tra l’inferno e melodie catchy, ma il risultato è straniante, quasi dissonante. Provocazione? Forse. Personalmente non l’ho gradita: sembra un voler essere “diversi” a tutti i costi, anche a scapito della coerenza narrativa.

Tra i personaggi, Alastor spicca per carisma e mistero. È l’unico che sembra avere una vera identità, mentre gli altri restano un po’ abbozzati, come se mancasse il tempo (o la voglia) di approfondirli.
Nella seconda stagione, già uscita, forse si è pensato a dare più spazio a questo aspetto, ma non sono così curiosa da verificarlo: mi è bastata la prima.

Nota di merito: il doppiaggio italiano. Una spanna sopra quello americano, riesce a dare ritmo e personalità anche dove la sceneggiatura vacilla.

In definitiva, do un 6 alla serie.
Un voto generoso, lo ammetto, ma che premia l’idea di partenza e lo stile visivo, davvero riusciti. Tutto il resto, però, non mi ha convinta: tra volgarità usate a caso, personaggi poco approfonditi e scelte musicali discutibili, la serie finisce per sprecare il suo potenziale.
Peccato: con un po’ più di cura avrebbe potuto essere molto di più.