Come molti già sapranno questa settimana lo sviluppatore di videogiochi Gordon Van Dyk, ex di Dice e Paradox Interactive, è salito agli onori della cronaca videoludica in Italia quando con un suo tweet ha consigliato agli aspiranti sviluppatori di non spendere soldi per la traduzione dei giochi in italiano, e di impiegare piuttosto quel budget per tradurre in russo o in portoghese/brasiliano.

Ovviamente sono bastati pochi minuti per scatenare un'ampia polemica, ma, al di là della dichiarazione in sé, viene naturale chiedersi se la realtà del mercato videoludico italiano sia davvero così poco remunerativa per gli sviluppatori/produttori come ha in sostanza affermato Van Dyk.
 

Qualsiasi analisi non può che partire dai numeri, e il primo dato rilevante è che nel corso del 2015 il mercato videoludico a livello globale ha fatturato qualcosa come 91,5 miliardi di dollari,ovvero una cifra che rende perfettamente l'idea dell'evoluzione dei videogiochi che da semplice passatempo per i nerd sono diventati un florido business con numeri da capogiro.
 

Di questo enorme mercato metà degli introiti derivano dall'Asia, in cui, grazie alle vendite elevatissime di Cina, Giappone, e Sud Corea, l'industria videoludica riesce ad inaccare ben 43,1 miliardi di dollari di introiti, con il paese del sole levante dominatore indiscusso della classifica mondiale pro capite con i suoi 12,3 miliardi di fatturato ripartiti su di una popolazione di 126 milioni di persone. L'Europa occidentale si colloca invece al terzo posto dietro il Nord America (23,8 miliardi) con introiti complessivi pari a 15,6 miliardi di dollari.

In tutto ciò l'Italia dove sta? Beh il nostro paese con il suo mnercato da 1,51 miliardi di dollari si posiziona al quinto posto nella classifica europea e al decimo di quella mondiale, e se Germania (3,65) Regno Unito (3,53 e Francia (2,46) sono abbastanza lontane (la distanza è in realtà inferiore considerando la spesa pro capite), molto vicina è invece la Spagna con 1,56 miliardi di entrate.
 

Ebbene, pur a fronte dell'immaginario collettivo che vuole l'Italia come il paese dei pirati, in realtà il mercato italiano è tutt'altro che povero e derelitto come spesso viene dipinto, ed anzi a dirla tutta è persino in crescita, con un fatturato stimato per il 2016 di circa 1,7 miliardi di dollari molto simile a quello del Canada che si posiziona al nono posto della classifica globale. Insomma, anche senza eguagliare i numeri degli altri paesi europei (numeri su cui incide anche la maggior popolazione) non v'è dubbio che l'Italia sia comunque uno dei più importanti mercati per l'industria videoludica e che proprio per questo pare alquanto difficile comprendere la politica di non investimento suggerita da Van Dyk.

Insomma, se le cose stanno così come si può affermare che localizzare in italiano sia poco conveniente? Beh di certo la posizione semplicistica del tweet da cui tutto è cominciato non è particolarmente utile per comprendere una realtà molto complessa, ma se consideriamo che il mercato italiano gode in generale di un numero di giochi tradotti inferiore a quello di Germania e Francia, che, volenti o nolenti, l'ostacolo linguistico esiste e porta sovente a non acquistare giochi localizzati, e che nonostante ciò le vendite sono più che buone, ci si può rendere conto come a livello astratto sia semplicemente assurdo escludere a priori per tutti i giochi la covenienza economica di una traduzione in italiano.
 

Si dirà, ma anche Van Dyk ha citato dei numeri a favore della sua tesi. Vero, come è anche vero che i numeri devono essere contestualizzati e che proprio in ragione del contesto varia anche la risposta sulla convenienza della localizzazione. Il ragionamento di Van Dyk, infatti, è basato sui riscontri relativi alle vendite di Kingdom e più in generale dei giochi della Raw Fury Games, ovvero una sviluppatore indie che realizza videogiochi di nicchia, che, per ovvie ragioni, non sono sostenuti da campagne promozionali in grado di attirare l'attenzione dei giocatori.

Ora proprio in ciò sta il limite del ragionamento di Van Dyk, poiché più che al mercato italiano pare evidente che a rendere poco conveniente la localizzazione in italiano (e presumibilmente in qualsiasi altra lingua diversa dall'inglese) dei giochi della Raw Fury Games siano semplicemente le caratteristiche degli stessi. In tal senso, infatti, considerando che i costi di traduzione sono inevitabilmente destinati ad incidere maggioramente sulle produzioni low budget, è solo una pia illusione sperare che la mera disponibilità della lingua possa in qualche modo portare di per sé ad un sensibile incremento delle vendite (in grado di coprire i costi sostenuti) nel paese di riferimento, se, come nel caso di specie, tale gioco è stato persino snobbato dalla stampa del settore, annegando nel mare magnun delle uscite che arriva a contare sino quasi mille uscite all'anno.
 

Insomma, la convenienza nel localizzare o meno un gioco dipende dalle caratteristiche del gioco stesso, ma in astratto e anche volendo tenere conto della diffusione di lingue come il francese e lo spagnolo, non ha alcun senso affermare che tradurre in italiano sia poco conveniente o remunerativo, perché così non è (e di certo non può essere più remunerativo il mercato russo con i suoi 1,26 miliardi di incassi). Allo stesso modo è altrettanto evidente che localizzare in italiano produzioni di nicchia e low budget ha comunque poco senso dal punto di vista economico, come d'altronde ha poco senso farlo anche in altre lingue, e ciò perché parliamo di un costo fisso, che ha senso sostenere solo laddove sia lecito aspettarsi vendite abbastanza sostenute, e, soprattutto, si ritiene che la traduzione possa portare un incremento delle vendite quantomeno pari al costo della traduzione, ovvero due condizioni che paiono alquanto difficili per indie game che, non potendo investire soldi in attività promozionali, devono il loro successo/insuccesso a fattori scarsamente prevedibili.
Fonte consultata:
NewZoo