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6.0/10
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Quando si parla della Tatsunoko si pensa sempre ai suoi classici kodomo. Tentoomushi no Uta, Coccinella in Italia, è un anime del 1974 in linea con le produzioni sue contemporanee. Coccinella, la nostra protagonista (il cui nome originale è Yoko) è una bambina di cinque anni che vive con i sei fratelli nella casa lasciata dai genitori trapassati di recente. Un nugolo di personaggi più o meno sensati (alcuni proprio no) si alterna nella sua vita, fatta di piccole gioie e piccoli dolori, ed in ogni puntata, lei, la nostra piccola protagonista, diventa il perno risolutore (spesso involontario) dei problemi di qualcuno. Vuoi del fratello Kaji, perennemente nei guai e che come character design ricorda un po’ Rocky Joe. Vuoi di Kuma, l’amico paterno che gestisce lo zoo di Ueno a Tokyo, dove la serie è ambientata.

La sceneggiatura è un po’ scarna e confrontata con le produzioni del tempo (Heidi sopra tutte) sfigura e non poco. La maggior parte degli eventi sono regolati dalle azioni del potente e ricchissimo nonno dei fratelli Ishou, che rifiutano categoricamente gli aiuti del vecchio in preda ad impeti di un’altezzosa smania di orgoglio. È il 1974 s’è detto e va ricordato che in Giappone il genere “Orfano che si fa con le sue mani” tira e parecchio. I motivi sono piuttosto palesi. Il boom sta creando bolle di povertà abissali in cui i pochi arricchiti (perché il benessere arriverà fra qualche annetto) mordono la pagnotta anche degli altri. In questo clima spopolano due generi di format: l’orfano che si riscatta e lo yakuza che non perde l’onore. Siccome lo yakuza in formato kodomo non è un bel vedere le produzioni anime per bambini si fiondano sul primo genere.

Coccinella arriverà in Italia all’inizio degli anni ’80 trasmessa da tv locali e passerà un po’ in sordina con le sue 100 puntate, infatti per qualche ragione oscura nel nostro paese non arriveranno mai gli ultimi episodi. Io la ricordo con una certa nostalgia, ma per scrivere la recensione ho dovuto darle un’occhiata per rinfrescarmi le idee e c’è da dire che il prodotto è alquanto mediocre. Tuttavia di sicuro in Italia ha avuto poco mordente in quanto è uno specchio abbastanza veritiero del Giappone di quegl’anni, troppo distante dal paese di Zoff e di Andreotti.

Il disegno è in linea con la Tatsunoko degli anni ’70 e ricorda molto Ugo il re del Judo. Forse per il fatto che sono entrambe opere di Noboru Kawasa, sceneggiate e dirette dal grande Hiroshi Sasagawa. Colore interessante, pastellato, caldo. Sfondi risibili, luce assente, key animation in linea col periodo.
In poche parole un kodomo shojo evitabile, che non ha detto molto e che non è destinato a far parlare ancora di sé. Sei.