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9.0/10
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Akira, per tutto quello che ha rappresentato (e continua tutt'ora a rappresentare), per tutto quello che ha comportato e per tutto quello che ha creato, è senz'altro uno dei film d'animazione giapponesi più famosi, conosciuti e apprezzati del settore e come tale va rispettato.
Già, proprio così, basti pensare innanzitutto alla produzione di questo lungometraggio: nel 1988, per trasporre su pellicola l'idea di Katsuhiro Ōtomo - già creatore della controparte cartacea -, furono stanziati la bellezza di un miliardo e oltre di yen, cifra assolutamente fuori portata sia per l'epoca sia per ogni casa di produzione. Per questo ne fu creata una apposita la quale riuniva diverse singole compagnie tra cui Kodansha, Bandai e Tokyo Movie Shinsha per accollarsi quell'enorme spesa. Con un apporto del genere che ha coinvolto più di mille persone per la realizzazione di questo progetto il risultato non poteva essere che sbalorditivo. E così è stato infatti.

Ōtomo ci catapulta in una città, Neo Tokyo (nessun collegamento con Evangelion), appena uscita dalla terza guerra mondiale e che come tale risente ancora delle conseguenze soprattutto sul versante politico-religioso.
Con un governo del tutto passivo alle intemperanze di numerose bande di motociclisti che si affrontano tra loro per determinare il più forte espandendo così il proprio territorio, fra la gente comune comincia a riecheggiare un nome: Akira.
Si dice che Akira sia una specie di “salvatore”, colui che metterà la parola fine a quest'epoca di dolore e sofferenza, alla Kenshiro insomma. Se sia vero nessuno lo sa con certezza.

Tra le varie bande di teppisti motorizzati ce ne viene evidenziata una il cui capo risponde al nome di Kaneda. Egli altri non è che un semplice ragazzo dai sani principi e forse anche per questo, nonostante la sua giovane età, è molto rispettato e ben voluto dal resto della comitiva.
In quest'ultima però vi è un elemento ancora più giovane di Kaneda - infatti è il più piccolo in assoluto -, che, per quanto stimi e rispetti il suo “capo”, prova come un senso di gelosia nei suoi confronti perché vorrebbe avere più considerazione dagli altri. Per questo ambisce a prendere il suo posto quanto prima. Il suo nome è Tetsuo.
Un giorno, a seguito di una delle tante solite dispute fra bande, Testuo rimane coinvolto in un grave incidente con uno strano bambino e il suo corpo in seguito viene rilevato dalle forze dell'ordine che lo trasportano in una misteriosa struttura governativa.
Da questo momento in poi una serie di rivelazioni, abbinate a eventi indescrivibili a parole, formeranno una miscela sensazionale che porterà al finale dove tutto, o forse niente - a seconda dei punti di vista - verrà svelato.

Ancora oggi a più di vent'anni dall'uscita, questo film non risulta passare di moda o come si dice in questi casi: è un classico.
In genere però i cosiddetti “classici” hanno una particolarità: difficilmente sono ben visti dai più giovani. Gran parte delle nuove generazioni infatti tende a scartare a priori, o quasi, tutti quei prodotti datati antecedenti alla loro nascita affibbiando loro la nomea di “vecchio”. Personalmente rabbrividisco al solo pensiero di simili ragionamenti ma purtroppo tant'è. Forse sono io che comincio a invecchiare e mi sento di sottolineare una questione che probabilmente un paio d'anni fa nemmeno consideravo, ma quando mi capita di leggere in giro giudizi su opere che hanno parecchi lustri alle spalle e vengono “attaccate” soprattutto sul profilo tecnico mi viene da ridere.
Troppo semplice fare paragoni con i giorni nostri, con i nuovissimi mezzi tecnologici a disposizione, con nuove tecniche d'animazione sperimentate e collaudate. E' normale che da questo punto di vista oggi sia meglio di ieri ma non per questo bisogna sminuire ciò che è stato.

Fatta questa doverosa considerazione, generale sia chiaro, e tornando al tema centrale del discorso, Akira sotto il profilo della realizzazione grafica ha ancora il suo fascino almeno per chi come il sottoscritto riesce ancora ad apprezzarlo.
Il chara design dei personaggi obiettivamente non è proprio il massimo, ma per il resto c'è solo da inchinarsi: animazioni che si fatica a credere siano così datate, fondali splendidi, disegni minuziosi in ogni minimo particolare, colori intensi, il tutto accompagnato da una colonna sonora che soprattutto nella seconda parte del film sarà un elemento di assoluto spicco. Una meraviglia.

Detto infine che la Dynit ha svolto un lavoro più che valido per la distribuzione italiana (buono è infatti il doppiaggio), invito caldamente quanti più appassionati del genere a non perdersi questo must dell'animazione nipponica nonostante, come detto, sembrerebbe passato ormai di moda. Infondo si sa che prima o poi le mode ritornano sempre, no?