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Serializzato su Kodansha a partire dal 2011 e vincitore, due anni dopo, dell'omonimo premio per la categoria shonen manga, Shigatsu wa Kimi no Uso, del poco più che debuttante Naoshi Arakawa, ottiene per conto di Fuji TV un proprio adattamento televisivo, andandosi a collocare in uno degli slot autunnali di noitaminA del 2014. Lo studio A-1 Pictures non bada a spese e confeziona un lavoro senza macchia sotto il profilo tecnico, non altrettanto perfetto sotto quello narrativo, ma quanto mai vincente, se si tiene conto del target di riferimento, e di un abbinamento tematico che affianca, ai comuni espedienti da teen drama, la messa in risalto della funzione diegetica, e insieme extradiegetica, della musica, come già si era fatto in passato, e con successo.

L'accostamento a Nodame Cantabile, ad esempio, viene naturale per una serie di coincidenze, anche se il paragone va a stroncarsi sul nascere, per una basilare differenza di targetizzazione, quest'ultima che, di fatto, impedisce a KimiUso di evolvere verso lidi più maturi: esso resta fondamentalmente un prodotto per ragazzi, che si arrangia a modo suo nel garantire, sul piano psicologico, qualcosa di più elaborato - vedasi l'insistenza su un tema, quello della perdita, da sempre ricorrente anche nella cinematografia giapponese - e che spesso - e volentieri (per esigenza di una certa fetta di pubblico) - corre il rischio di tramutare il tutto nell'ennesimo forced drama.

Fortunatamente l'epilogo scampa in parte questo pericolo, rinunciando al consueto impiego di lacrimogeni per calare il sipario in modo ugualmente drammatico e altrettanto dignitoso, anche se la strada verso la maturazione finale resta impervia di ostacoli e forse più lunga del necessario. È nella parte centrale che la serie inizia a inciampare in forzature (alcune delle quali perdonabili sempre per via del discorso sul target, ma altre decisamente un po' troppo sfrontate), ma soprattutto ad accusare un riciclaggio quasi meccanico di idee che investe insieme regia e sceneggiatura. La ridondante riproposizione dei medesimi flashsback, dei monologhi interiori impregnati di retorica, dei pianti inopportuni, delle metafore visive che accompagnano le esibizioni musicali, dell'ubicazione stessa di certi elementi all'interno di svariati episodi (perfino l'avvio di alcune soundtrack diventa "pronosticabile"): tutte queste cadute di stile scalfiscono lo spessore di un'opera che avrebbe potuto sfruttare le proprie premesse in maniera più sobria e distintiva, per tutta la sua durata, magari facendo a meno di qualche puntata superflua, o almeno dedicando maggior tempo ai personaggi che ne necessitavano davvero (Watari, Tsubaki), piuttosto che ad altri, utili fino a un certo punto (Nagi, Takeshi ed Emi).