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10.0/10
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Facciamo un gioco. Voi ascoltatemi; io vi racconto una storia.
Poi, alla fine, mi dite se ci avete creduto, se vi affidate alle mie parole solo parzialmente - ecco, io ve lo dico: sarò sincero, ma con un manga del genere davanti, cui premesse sono già tutte nel titolo, "Liar Game", è davvero bene non dubitare?
Se solo dovesse arrivarvi un pacco, ecco, fate attenzione a non aprirlo, e a leggere ogni appendice e nota allegata; potreste trovarvi in guai seri se, accidentalmente...

Iniziamo. Tinte nere, gialle, variopinte, per un'atmosfera mozzafiato, che gradualmente si fa spazio, fino ad occupare ogni pertugio dello spettatore.
Liar Game è un gioco polifasico, temibile, singolare, indetto da un'organizzazione che sfugge alle solite norme legislative, nascosto dalle luci della società e della cronaca, e che viene mosso da un "Ufficio" fantasma e da coordinatori che si tengono ben lontani dal lasciar trapelare qualunque informazione circa la loro identità o provenienza (spesso, infatti, tali individui sono mascherati).

Vi è mai capitato, di fronte ad un'opera, di citarne un'altra con l'intento fare ulteriore chiarezza sul materiale che si ha sotto gli occhi, per la presenza d'intenti simili o, più semplicemente, col fine d'identificare punti in comune? Nel mio caso, con Liar Game, ho più volte sentito parallelismi con Death Note, così come io stesso durante la lettura del primo volume continuavo a ripetermi di trovarmi di fronte ad un manga dalle tinte giallastre e scure, sulla stessa linea di Meitantei Conan (o Detective Conan), celeberrimo titolo di Gosho Aoyama.

Di fronte a tale atteggiamento, ciò che ne viene fuori è solamente una misera imposizione di paletti, piantati da noi medesimi - talvolta ingenuamente, per abitudine - ed oltre i quali non riusciamo ad ergerci; accostarsi ad un'opera per descriverne un'altra, se non in occasioni particolari e strutturalmente adatte, è oltremodo scomodo. Un'opera non è altro che ciò che è, senza alcun intramezzo: cogliere brandelli simili tra una e l'altra è un gioco che può essere interessante ma, a meno che non sia finalità dell'opera stessa, tale sistema va a compromettere la sua stessa essenza.
Questo m'è stato chiaro durante la lettura del secondo volume. Mi trovavo di fronte ad un'opera straordinariamente unica, nonostante le sue basi s'alzassero su dei canoni che avevo trovato in parecchie altre situazioni. Così volutamente preciso - e così energicamente incalzante ed acuto - è il procedere degli avvenimenti, che immaginare il lavoro che vi sia dietro alla sola sceneggiatura posiziona l'autore su un palco d'avorio rilucente, sotto il quale folleggiano applausi ad ogni atto concluso.

La storia si apre con Nao Kanzaki, protagonista cui peculiarità è quella di essere un'ingenua (da qui il suo soprannome Bakasunao); un giorno qualunque le viene recapitato un pacco misterioso che ella apre senza alcuna esitazione: sul pacco erano state però aggiunte diverse appendici, che l'avvertivano del fatto che dal momento in cui lo avrebbe aperto, sarebbe stata accorpata ad uno dei giochi più gravi e ambigui, appunto il Liar Game. Le fasi del gioco entrano subito nel vivo: il contenuto del pacco era un ingente ammontare di mazzette verdi, le quali Nao doveva proteggere con estrema cura, e al contempo trovare e rubare quanti più soldi al suo rivale, cui indicazioni vengono presto fornite, e che possiede la stessa somma di denaro. Gli sviluppi, però, sono davvero imprevedibili: una ragazza così ingenua può sul serio avanzare in questo gioco? E se sì, come le sarà possibile raggiungere il secondo turno?

Cos'ho trovato, allora, dentro a questo baule è complicato dirlo: sto ancora scavando, e nella rocambolesca ricerca la mia mano precipita nello scrigno, dal quale saltuariamente viene fuori un elemento indecifrabile; tanto criptico che la ricerca di un qualunque tesoro all'interno di esso diviene il piacere stesso. Trasponendo quest'esempio alla lettura, lo svisceramento graduale di ogni reticolato (enigmi, misteri, prove, critiche), parallelamente alla marcia della storia, crea una storia nella storia stessa, nella quale il lettore si diletta in una ricerca attiva, senza subire passivamente nozioni e parole.

L'incipit nel primo volume, anzi, la prima pagina stessa fu per me rivelatrice; sono stato colpito a bruciapelo da quello che già sembrava essere l'intento di raccontare due tipi di storia: una superficiale ed una velata. Esattamente come un sistema a Matrioska, la successione di eventi si fa strada nella lettura, che interpreterei davvero su due piani, così complicati da cogliere nella loro essenza che non saprei descrivere senza l'ausilio di una metafora: si tratta, in questo caso unico, di un conglomerato dinamico di situazioni che si danno la mano a vicenda, senza far vedere ciò che passa tra le mani stesse, che si scambiano bigliettini ed oggetti non definiti, anzi, oggetti mascherati, anzi, non sono oggetti, sono tutto, sono niente.
Di queste acrobazie e di tanti lirismi vorticosi, però, non se ne fa nulla nessuno - cambiamo registro, o qui ci viene il mal di testa; da un'analisi - che è più una profonda disamina - cosa ne viene dunque fuori, lo andiamo adesso a scomporre. E di seguito vediamo l'esplicazione dell'unicità di questa serie, e del modo in cui essa rasenta i livelli più alti della produttività umana in tale ambito (se non anche in altri).

Molteplici sono le ragioni per cui mi sono avvicinato a Liar Game: ovunque se ne parlasse la critica era ottima, i disegni - soprattutto le illustrazioni di copertina - circoscrivono un ambiente carico d'inquietudine, nascosti in essi vi sono differenti richiami a simboli e numeri, si tratta insomma un impatto visivo straordinariamente evocativo, prestante, profondo e sobrio; infine il nome dell'opera stessa, che congiunge i precedenti due punti, volgendoli verso un'apnea di tensione tutta da srotolare.
Piacevolissima l'edizione nostrana, seppur il lavoro degli italiani sulla copertina è da considerarsi mediocre. Nello specifico, col fine di eliminare ogni traccia di scritte giapponesi, si fa ricorso all'utilizzo del contrasto; la mano tuttavia viene calcata così tanto che ne vengono fuori brutture e spiacevoli prodotti, se confrontati con l'origine.
Esempio ridicolo e lampante è quello del Volume X, dove nella copertina Akiyama, uno dei protagonisti, sembra essere scuro di pelle a causa di suddetta lavorazione.

La natura del disegno è semplice, ma non semplicistica; le nozioni di psicologia, e così un forte simbolismo, restano impresse nelle espressioni e nelle mani, le quali spesso e volentieri indicano dei numeri precisi, nascondendo quest'intento nella gesticolazione. È evidente che Kaitani sottoponga i suoi lettori alle sue conoscenze in materia psicologica; basti avvicinarsi al campo, anche per sentito dire, che si sente spesso che il linguaggio del corpo è un codice estremamente importante nel settore.
Stando a tale affermazione, l'intervento seguente è da prendere un po' con le pinze: l'autore, col riversare le sue conoscenze della psicologia in maniera allegorica, genera dunque un fenomeno interessante; in diverse occasioni la gestualità citata, così come l'espressione dei personaggi, è così forte che sembra voler nascondere un preciso studio della postura, degli atteggiamenti e delle attitudini. A dirla tutta, a volte, ad esempio nelle copertine o nelle scene di maggior enfasi, i personaggi fanno segno con le mani indicando un numero. Mi piace supporre che sia un gioco fatto sottobanco su cui l'autore marcia e si diverte, con la speranza che qualcuno riesca a deliziarsi anche di questi piccoli dettagli più opachi e poco evidenti. È possibile vederlo notarlo anche nella prima pagina del primo volume: quello del protagonista, più che un gesto, sembra un voler indicare anche un numero che, in un modo o nell'altro, potrebbe anche essere collegato alla fine della serie stessa. Tuttavia quest'azzardo di ipotesi non porterà da nessuna parte, seppur sia gradevole immaginare che questa visione corrisponda a quella dell'illustratore.
Secondo questescamotage, il lettore - necessariamente curioso - si immerge in un'esperienza di lettura attiva, e così come i personaggi vengono messi alla prova con il Liar Game, lui viene trascinato in un intrattenimento di carattere antifrastico e turbolento.

Meno parole vanno riservati ai fondali. Gli sfondi sono puliti, così come le tavole non eccedono nell'inchiostrazione, le pagine sono limpide, esibiscono tratti sottili e definiti: spesso sembra di veder scorrere le linee bianche e nere una pellicola su carta.
Una considerazione da fare è quella della maturazione dei disegni, i quali si alterano nella direzione di fattezze più dettagliate. Aprire il primo volume, e subito dopo il quinto, è il metodo più veloce per comprendere questa progressiva metamorfosi.

Trasferendoci su una sfera meno formale e più contenutistica, dobbiamo essere pronti ad assestare un altro colpo. L'esplicazione di un reticolato fitto, così come lo (de)scrivevo prima, è ahimè altrettanto complicata; può dilungarsi tanto da annoiare.
In questo ambito, parliamo di Liar Game come se fosse un acchiapparello di concetti e situazioni. Quando pensi di aver idealmente afferrato tale situazione, ecco che ne spuntano due; è un sistema che si risolve quando hai perso il conto. È proprio in questo la capacità di stupire, di creare tensione, seppur su una riga che anche se volesse non riuscirebbe a smentirsi: il crescendo in Liar Game è inarrestabile, la vicenda segue un rigore logico assopito e inverosimile, che gradualmente (con l'ausilio di spiegazioni e chiarimenti) si ribalta, e porta al pettine ogni maglia; è per tale espediente che la narrazione percorre un sentiero che va dalla meraviglia alla realtà, congiungendo due dimensioni per cui il lettore passa, e grazie alle quali la storia non risulta un misero manuale di regole, bensì un conglomerato di idee geniali, congegnate secondo un programma intenso e fitto, oltre il quale spesso nemmeno la perspicacia più acu(i)ta riesce a scrutare.
Ecco, l'imperscrutabilità, ed il suo stesso smantellamento, è il vero segreto di cui fa uso di Liar Game.

Tale processo porta con sé il peso di gravi responsabilità, ed è infatti sostenuto anche dal ritmo di personaggi cui movimenti descrivono abitudini, costumi e attitudini reali; quando questa attendibilità viene a mancare, e la realtà ci sembra lontana ed esagerata - di fronte all'intelligenza fin troppo sviluppata di alcuni personaggi, chi non si farebbe dei dubbi? - a giustificarne l'esistenza ontologica vi sono le spiegazioni a cui ho fatto riferimento poco più sopra.
Insomma, il complesso sistema con cui sono agganciati sceneggiatura e personaggi si presenta così fitto che è impossibile pensare di vedere i fili che li collegano, eppure una sicurezza narrativa di questo spessore deve a tutti i modi essere costruita su basi solidissime.
L'autore, così, si rende tanto più elevato quanto è il tempo in cui riesce a mantenere questa continua ascesa alla bellezza ed alla tensione.

Si nasconde, tra le pagine, anche la forza di sussurrare critiche rivolte alla società e ai pregiudizi, e talvolta di urlarle: l'intento è quello di sradicare le convinzioni germogliate nell'uomo.
L'individuo (in generale), idealmente e nel concreto, viene connotato nel manga come un ingranaggio: esistono ingranaggi più piccoli che sottostanno forzosamente ai più grandi, di cui non possono non seguire il moto, poiché altrimenti rimarrebbero schiacciati. Dunque, l'orologio della società, ed il suo interno, continua a girare, seppure i suoi componenti siano corrotti; qualora se ne aggiungesse uno nuovo, questo non si accorgerebbe nemmeno di far parte di un sistema: penserebbe, piuttosto, di star vivendo la realtà, così per com'è, acriticamente. Si può pertanto asserire che lo scrittore voglia gettar luce su una realtà spaventosa: la normalità. Quella che stiamo vivendo, in altre parole, è già una distopia: non interrogarsi sul nostro stato, la nostra condizione, e la nostra rotta futura, è pensiero stolto; non avere il coraggio di farlo è peggio. Il riferimento è palesemente indirizzato alla nostra epoca, essendo la stessa in cui si muovono i personaggi della storia.

I personaggi non sono altro che il riflesso di queste elucubrazioni: Shinobu Kaitani tratta ogni possibile variante all'interno del "sistema ad orologio" a cui prima facevo riferimento, nelle sue variabili così come nei suoi difetti. I personaggi secondari non vengono messi sotto una luce più o meno importante rispetto ai principali; essi agiscono per ciò che possono fare, ed è attraverso tale inquadratura che si spezza lo stereotipo del protagonista che manda avanti la storia senza alcuna possibilità di fallire o di scomparire dalla scena, d'essere l'unico in grado apportare risvolti e compiere azioni eroiche: insomma, è davvero impossibile aspettarsi qualcosa da Liar Game, se non una sorpresa dietro all'altra.
L'autore inoltre, lanciandoci nella struttura di un gioco che procede per livelli, può utilizzare l'escamotage di ripescaggi per - rispettivamente - portare in scena vecchi personaggi, o aggiungerne di nuovi, il tutto secondo un ordine che non può che apparire naturale, ergo non forzato. La continua trasformazione di scenario e personaggi accentua la tensione, rinnova l'ambiente e gioca sullo stupore.

Inteso come gioco, Liar Game non si limita allo sviluppo dell'emozione - ansia, inquietudine, tensione, indecisione... -, ma in esso si manifesta quello che potremmo definire un fenomeno nozionistico valido e non indifferente, nel quale per ogni livello del Liar Game sono presenti informazioni e sessioni di giochi esistenti, talvolta alterati rispetto a come li conosciamo, e talvolta appartenenti ad una cultura che probabilmente ignoriamo.
Anche le nozioni psicologiche sono presenti, seppur in maniera più limitata; alcuni dei personaggi hanno frequentato psicologia all'università, ed è dalle loro conoscenze che emergono considerazioni allucinanti e studi scientifici che esaminano e traducono il comportamento umano. Uno sguardo davvero interessante.
Combinate agli apprendimenti sopracitati s'individua di scorcio qualche citazione, ogni tanto.

Liar Game lancia un appello straziante, urlante, digrignando i denti ma nascondendolo dietro ad un sorriso: se vogliamo cambiare le cose, dobbiamo essere pronti a rinunciare. O, se vogliamo vederla come Kaitani, dobbiamo essere pronti riscrivere le nostre priorità [/i]sulla base di un ordine slegato dai preconcetti, e costruito sulla critica di ciò che riteniamo davvero importante, e sul coraggio di poterlo affrontare[/i].

In conclusione, Liar Game è un gioiello prezioso, ricolmo di cura e raffinatezza. Risalta nel panorama odierno, così per la sua peculiarità come per il suo dinamismo, e si conferma (s)oggetto prestante di lettura, di analisi e di approfondimenti. Il suo connubio formale e contenutistico rasenta la perfezione, e si prende la responsabilità di esibire un messaggio attraverso meraviglia e speculazioni.
Shinobu Kaitani ci ha, insomma, donato la concreta possibilità di cambiare il nostro sistema.

Cos'è, dopotutto, la vita, se non la nostra ambigua partita da giocare?
Il nostro Liar Game è iniziato da tempo.