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“Angolmois: Record of Mongol Invasion”, adattamento dell’omonimo manga di Tadataka Kawasaki, è una serie anime di ambientazione storica e composta da dodici episodi. Prodotta dallo studio NAZ é andata in onda nell’estate 2018.
Il tempo è l’autunno del 1274, il teatro dell’azione è l’isola di Tsushima nello stretto di Corea, i protagonisti della vicenda sono un gruppo di uomini condannati all’esilio e trasportati via mare da Kamakura. Sull’isola questo gruppo eterogeneo si troverà ad affrontare una battaglia per la sopravvivenza combattendo al servizio degli isolani, all’inizio sicuramente controvoglia, contro le truppe mongole che danno il via, proprio da Tsushima, a un assalto per la conquista del Giappone. Dodici episodi per raccontare gli avvenimenti di una manciata di tragici e concitati giorni.

Fra gli esiliati c’è il protagonista: Kuchii Jinzaburo, un samurai che era vassallo dello shogun di Kamakura e che si ritrova ad essere esiliato a seguito di un incidente che verrà spiegato nel corso della serie. È un uomo capace, intelligente e rude, il suo aspetto è rozzo (e glielo faranno ripetutamente notare) ma è un guerriero esperto e addestrato e intorno a lui si muovono una serie di personaggi ben caratterizzati e, nel complesso, gradevoli. La sola eccezione è quella di Teruhi, principessa di Tsushima, che non si capisce bene se debba fornire un intermezzo comico o una sottotrama romantica, fallendo, secondo me, in entrambi i casi. La caratterizzazione dei personaggi è in generale ben fatta, almeno per quello che riguarda gli esuli e gli isolani, rimangono invece un un po’ nell’ombra i mongoli , almeno fino alle battute finali.
Dire di più sui personaggi sarebbe difficile senza eccedere con gli spoiler. Meglio, quindi, commentare altri aspetti: mi sembra che la caratteristica migliore sia il tono equilibrato utilizzato per parlare della guerra. La serie illustra come non ci sia solo l’aspetto “epico” della guerra, non solo cioè l’adrenalina della battaglia, ma anche profughi stremati in cerca di un riparo, feriti che devono essere trasportati e assistiti in condizioni precarie, uomini, donne e bambini affamati. Sono portati sotto gli occhi dello spettatore anche i boschi, le coltivazioni e gli edifici distrutti dal fuoco, i morti da seppellire. Non viene nascosto come ogni esercito sia formato da predoni in cerca di “premi di guerra”: preziosi e donne, principalmente. C’è parecchio sangue, tanti sono modi di morire e non sono belli da vedere, ma il sangue non è qui pornografia della violenza, è documento, testimonianza, è mostrato senza compiacimento. Jinzaburo e gli altri personaggi sono immersi in questo mondo crudele, non sottovalutano cosa sia la guerra, ma non l’esaltano e, ho molto apprezzato, sono comunque lontani da una sensibilità moderna, lontani da ogni tentazione “pacifista/buonista” che avrebbe costituito una stonatura dal punto di vista storico.
Altro aspetto che è efficacemente illustrato è come i comandanti (di entrambi gli opponenti) guidino le truppe usando l’astuzia e l’inganno nei confronti dei sottoposti, andando a far leva non solo su nobili sentimenti ma anche sull’avidità e sulla superstizione. I personaggi si muovono in un mondo adulto, e le loro contraddizioni e debolezze emergono bene, i confini fra bene e male non sono mai netti.

Il character design mi è piaciuto molto, le animazioni non sono sempre all’altezza, mentre gli sfondi sono belli. Un elemento grafico su cui non sono riuscita a farmi un’idea definitiva è quella del filtro utilizzato: c’è un filtro che sembra riprodurre della carta martellata ed è costantemente presente. Da un lato non mi spiace perché dà una sorta di “patina” di antico che ben si sposa con l’ambientazione storica, dall’altra dà un po’ il “mal di mare” perché le animazioni si muovono su uno sfondo che rimane fisso e a volte disturba un po’, soprattutto nelle scene in notturna. La OST è efficace e decisamente belle sono sia l’opening che l’ending.

In definitiva, credo che il voto obiettivo potrebbe essere un 7,5, ma Jinzaburo è un uomo che per comprendere come muoversi traccia (o si fa tracciare) mappe dei territori per terra e, data la mia passione per la cartografia, non posso non aggiungere un mezzo punto per la simpatia: quindi 8 per questa serie.

Un’ultima nota la merita al bizzarro termine “Angolmois” contenuto nel titolo: non deriva dalla cultura nipponica, ma è citato in una delle quartine delle centurie di Nostradamus, una di quelle che viene più spesso citata per assicurare che il “profeta” francese avesse predetto qualcosa: il “grand Roy d'Angolmois” è di volta in volta individuato in un “re d’Angoulême”, o un re “inglese”, un re “angloamericano” con riferimento alla guerra del Kosovo, ma non manca chi è riuscito a riferire l’espressione ad Al Gore, alle bombe nucleari, ad una meteora o, ancora, agli aerei delle stragi dell’11 settembre 2001. Kawasaki sposa la lezione che si tratti di una sorta di anagramma del termine “Mongolais”, abitanti della Mongolia.