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"And the years rolled slowly past
And I found myself alone
Surrounded by strangers I thought were my friends
Found myself further and further from my home and I
Guess I lost my way
There were, oh, so many roads
I was livin’ to run and runnin' to live
Never worried about payin’ or even how much I owe

Movin' eight miles a minute and for months at a time
Breakin' all of the rules that would bend
I began to find myself searchin'
Searchin' for shelter again and again"

Bob Seger & The Silver Bullet, “Against the wind” (1980)

Verso la fine dell’Ottocento, il magnate Stephen Steel organizza la Steel Ball Run, la più grande gara di corsa a cavallo di tutti i tempi, con un percorso che attraversa l’intero territorio degli Stati Uniti. Moltissimi i partecipanti a questo evento epocale, come l’ex fantino paraplegico Johnny Joestar e il baldo J.Lo Zeppeli, che porta con sé sfere d’acciaio che, sfruttando una misteriosa tecnica rotatoria, sono in grado di compiere prodigi. Accidentalmente venute a contatto con le sfere, le gambe di Johnny riprendono misteriosamente a muoversi per pochi attimi. Il ragazzo vuole vederci chiaro e comincia a tallonare J.Lo, cercando di carpire i suoi segreti. Tra i due si instaura un rapporto particolarissimo: dapprima rivali, poi amici, poi inconsapevoli maestro e allievo l’uno dell’altro, in un cammino che porterà il povero Johnny, col quale la vita è stata ingiusta, a diventare uomo dal ragazzo che era, e J. Lo ad aprirsi maggiormente agli altri, facendo pace col particolare destino che da sempre coinvolge la sua famiglia.
Ma quella che pareva una semplice, per quanto epocale, competizione sportiva, nasconde ben più di ciò che sembra all’apparenza…

E’ un manga stranissimo (e non avevamo alcun dubbio al riguardo), Steel Ball Run. Settima parte dell’epopea de Le bizzarre avventure di JoJo, è iniziata su Shounen Jump come serie autonoma (sia pure sin da subito legata a JoJo nella mente dell’autore) nel 2004, per poi venire spostata l’anno seguente su Ultra Jump, rivista della Shueisha che esce una volta al mese (non settimanalmente come Shounen Jump) ed è diretta ad un pubblico adulto e non più di adolescenti. A partire dallo spostamento sulla nuova rivista, dove la serie è durata fino al 2011 finendo poi raccolta in 24 volumi, Steel Ball Run è poi stata ufficialmente riconosciuta come la settima serie di JoJo, e sono aumentati in maniera esponenziale gli elementi che la caratterizzavano come tale.

Dato il particolarissimo finale della precedente sesta serie, Steel Ball Run non poteva che caratterizzarsi come una sorta di “reboot” della saga di JoJo, ambientato in un universo alternativo. Si ritorna, perciò, indietro, alle origini della famiglia Joestar, all’Ottocento, ad un’ambientazione occidentale, al nobile decaduto di buon cuore ma ingenuotto Jonathan Joestar (qui soprannominato “Johnny”), al saggio maestro Zeppeli (qui un giovane quasi coetaneo del protagonista e non più uno stravagante uomo di mezza età) che lo istruisce sulla strada della vita, al perfido e implacabile Dio Brando (qui chiamato Diego e solo soprannominato “Dio”) che si oppone al nostro eroe. Steel Ball Run è un accorato omaggio alle prime tre serie del JoJo originale, di cui l’autore riprende, con nuove fattezze, ripescandoli con un nuovo ruolo o anche solo citandone qua e là il nome, personaggi ed elementi.

Un western che ha tutti gli elementi più classici del genere, dalle corse a cavallo ai nativi americani, dalle sparatorie nei saloon ai giochi d’azzardo nei casinò, dalle “sfide all’ OK Corral” a brani di musica country che sembrano risuonarci in testa durante la lettura senza che ce ne rendiamo conto, solo perché abbiamo inconsciamente assimilato il fatto che l’autore li ha citati da qualche parte. Ma è un western firmato Hirohiko Araki, perciò i personaggi sono, ovviamente, tutti fuori di testa, vestiti al buio e dotati di poteri strambi (i sempreverdi “Stand”, di cui cambia l’origine ma non la sostanza), e quella che era partita come una corsa di cavalli nell’America ottocentesca si tinge ben presto di misteri e prende una deriva mistica uscita dritta dritta da Il codice Da Vinci (del resto, la serie è stata scritta anche nel periodo tra il 2004 e il 2005 quando il romanzo a sfondo mistico-religioso di Dan Brown impazzava in tutto il mondo), col ritrovamento della salma appartenente ad un santo (con inequivocabili corona di spine e ferite da crocifissione sui palmi delle mani) che, non si sa come, sarebbe finito in America.

Forse perché finalmente libero dallo stress della serializzazione settimanale e dai freni imposti da una rivista per ragazzi, o forse perché il suo spacciatore gli ha fornito roba migliore del solito, qui l’autore spinge al massimo l’acceleratore della sua bizzarria, inserendo in quella che era partita come una “normale” corsa di cavalli sacre reliquie (!), dinosauri (!!), pellerossa che nell’America dell’Ottocento riescono a rendere reale il suono rappresentato dalle onomatopee giapponesi (!!!), una sacra casta di boia del Vaticano (!!!!) armati di sfere d’acciaio onnipotenti, la sezione aurea e la successione di Fibonacci applicate ai combattimenti (!!!!!), il presidente degli Stati Uniti più assurdo che ci sia, tentati stupri, approcci saffici, dimensioni parallele, visioni mistiche e chi più ne ha più ne metta. L’autore fa del suo meglio per mettere in scena una storia che sa tanto di testamento artistico, dato che c’è tutto quello che Hirohiko Araki ama e ci ha abituato a trovare nel suo JoJo: i poteri strambi (manipolazione del tempo, insetti cresciuti nel proprio corpo, gente che ha un argano in bocca, gente che cammina sulle gocce di pioggia, gente che fa ruotare le unghie e le spara come proiettili, e via dicendo), i combattimenti strategici e vinti con un pizzico di fortuna da parte dei protagonisti, l’America, l’Italia, la moda, il cinema (da Stringi i denti e vai a La corsa più pazza d’America, le citazioni si sprecano), la musica (si va dai Beatles a Jennifer Lopez, da Simon & Garfunkel a Santana, da Mike Oldfield ai Prodigy, dagli Outkast alla "Cavalcata delle Valchirie", da Johnny Cash ai Guns’n Roses fino ad arrivare alle Perfume e al loro discotormentone “Chocolate Disco”, con un Araki che, dopo tanti artisti occidentali di fama internazionale, comincia a citare qualcosa di più pop appartenente al suo paese).

E’ una storia assurda, quella di Steel Ball Run: ricchissima di misteri e di sottotrame, vissuta da personaggi tanto bizzarri quanto indimenticabili, si fa via via sempre più appassionante e non manca di tenerti incollato alle pagine anche nei suoi momenti più astrusi, quando l’autore si perde nel suo allucinante mondo mentale e solo lui capisce ciò che ha in mente, perché i disegni assai confusi di molte sequenze non gli permettono di trasmettere al lettore ciò che succede. Combattimenti sempre più violenti, ricchissimi di scene splatter, per un viaggio che si preannuncia sempre più mortale per i poveri, innocenti, corridori attratti da un cospicuo premio in denaro: c’è chi troverà la morte, chi si ritroverà invischiato in qualcosa di immensamente più grande di lui, c’è chi in qualche modo troverà se stesso, risolvendo i propri tormenti o suggellando legami.

Una storia che ha tutti i connotati del racconto di formazione, ma ci mette un po’ a farcelo capire, dato che l’insicuro Johnny e lo spavaldo J. Lo si rubano di continuo la scena a vicenda, ognuno col proprio obbiettivo, ognuno col proprio sogno, ma uniti nella loro corsa controvento, alla ricerca del proprio posto nel mondo, in un legame fatto di combattimenti mortali, gags con orribili canzoncine improvvisate e improbabili quanto eccezionali lezioni di vita che serviranno a entrambi, anche se difficilmente lo ammetteranno. Noi, però, a Johnny e J.Lo ci siamo affezionati tantissimo: un paraplegico con un ferro di cavallo in testa (che non si capisce mai come fa a muoversi, starà vita natural durante sul cavallo, o ha la sedia a rotelle pieghevole che tiene nello zaino?) e poca fiducia in se stesso e un tronfio italiano scappato dal suo passato (e dal suo stilista) con le piastrine con le lettere del suo nome a decorargli i denti, personaggi diversissimi tra loro che vivono insieme la più grande delle avventure, instaurando tra loro un profondo legame che non mancherà di farci emozionare tantissimo.

Steel Ball Run è un manga che ha tutte le caratteristiche e i pregi dei fumetti di Hirohiko Araki, ma anche i loro difetti, come una resa abbastanza confusa dei disegni nelle scene di lotta più concitate (mentre invece come illustratore e character designer l’autore non si smentisce mai, creando dei personaggi straordimente iconici nella loro bizzarria) e un finale assurdo, anticlimatico eppure emozionante, dove l’autore prende la parola “autocitazione” e la porta ad un nuovo, impensabile livello, e lascia i lettori a bocca aperta, tra rimandi al passato ormai palesi e la nuova riproposizione di una lotta ancestrale, che ha attraversato anche i reboot e le dimensioni parallele, ma ancora una volta si svolge sul filo dell’anticlimax nonostante i molti momenti esaltanti. Un finale che in qualche modo fa da ponte alla successiva serie Jojolion, a cui si rimanda per sapere i destini di alcuni protagonisti, ma se ne riparlerà a tempo debito.

Un po’ il testamento artistico di Hirohiko Araki, che inserisce in questo manga un po’ tutte le sue passioni e le sue bizzarrie, creando una storia tanto assurda quanto appassionante, che porta all’estremo tutta la follia dell’autore eppure mantiene sempre un certo fascino, mentre spazia dal western al mistico, dal combattimento a riflessioni etiche, politiche e sociali di una certa profondità grazie anche a personaggi che, in un modo o nell’altro, ti restano nel cuore. La corsa a cavallo più pazza che ci sia, per un manga che ancora una volta ci ricorda perché amiamo JoJo, questa storia assurda, trash, eppure epica e meravigliosa che ci incanta ormai da tanti anni. Sarà un po’ difficile, data la sua natura di “reboot” e certi temi un po’ spinosi per la tv, e in ogni caso ci vorrà del tempo, ma non sarebbe affatto brutto vederne una versione animata, che renderebbe giustizia alla splendida atmosfera country emanata dalle pagine del fumetto e renderebbe un po’ più comprensibili certe sequenze fumose durante gli scontri.

Intanto, però, godiamoci questo manga unico e (per fortuna) inimitabile, con un consiglio: essendo ambientato in un differente universo rispetto alle precedenti serie, può essere usato come “starting point” per avvicinarsi a JoJo, ma penso sia meglio leggerlo come “settima serie”, in modo da godere appieno di tutte le citazioni sparse qua e là che si fanno via via sempre più pressanti man mano che ci si avvicina al finale, e in modo da poter godere in maniera “graduale” della discesa verso un trashissimo abisso di follia da parte dell’autore, che qui ha raggiunto il suo culmine, anche se sappiamo benissimo che riuscirà a superarsi con le sue storie future. Ma noi lo amiamo anche e soprattutto per questo, e sotto sotto ci auguriamo che trovi prossimamente qualcosa da raccontarci che sia ancor più epico ed esagerato di questa assurda e bellissima miscela in salsa country di cavalli, Gesù Cristo, presidenti e dinosauri.